sabato 10 marzo 2018

Riflessioni
Scontento immaginario e Reddito di Cittadinanza


Crediamo che il dibattito in corso sul Reddito di Cittadinanza non sia  che un  tentativo di dare una risposta surreale a un problema surreale. Spieghiamo subito perché. 
Le società si basano sulla reiterazione:  il giorno dopo si fa quello che si è fatto il giorno prima, nulla sembra essere cambiato, nel bene come nel male.  Si chiama stabilità sociale: prevedibilità che domani sarà come oggi.  Però, più una società, come insieme di  stili di vita,  è stabile,  più le persone perdono contatto con la realtà.  Danno per scontato ciò che hanno e fanno.  Nel senso che la percezione  della propria situazione viene falsata dall’eccesso di normalità, come somma di atti reiterati,  che, come vedremo,   ne  favorisce la critica.
Per fare un esempio, durante l’ultima guerra mondiale, l’anormalità della vita sociale, regredita a livelli di sopravvivenza, coincideva,  con la normalità della percezione di condurre una “cattiva vita”.  Per contro, dove la vita è buona, sorge la percezione errata che essa sia  cattiva, perché la normalità, degli stili di vita,   lascia spazio all’immaginazione e agisce, diluendoli su tempi della  memoria sociale. Semplificando: chi "oggi"  si lamenta per le tariffe dello smartphone, quasi mai ricorda che "ieri" il nonno non aveva un paio di scarpe.   Il che spiega quella  discrasia, fonte di disperazione per gli  economisti,   tra parametri economici positivi e giudizi negativi della gente.   
Paradossalmente,  l’alto  grado di stabilità di una società produce i suoi critici,  attraverso quello che si può  definire lo scontento immaginario: lo sguardo sazio sul presente, si concede il lusso di rivolgersi a mondi immaginari, si forma così un' "immagine immaginaria"  che finisce per influire sulla concezione collettiva e reale  del presente. Piano piano, senza che nessuno se ne avveda,  si scivola in un mondo surreale.
Ovviamente, tra il livello minimo (percezione della cattiva vita che risponde alla realtà di una cattiva vita) e il livello massimo ( percezione di una cattiva vita che invece è buona) esiste una scala   "cromatica"   che rinvia alle sfumature  sociali delle percezioni intermedie.  
Il fenomeno quindi non è così facile da delimitare concettualmente, figurarsi, come si dice tecnicamente, la sua "operalizzazione". Di conseguenza,   la sociologia  o  non lo studia o lo analizza in modo residuale.  Non esiste, se non in misura ridottissima,  una letteratura scientifica ed empirica al riguardo. Ci si limita, quasi sempre -  senza prendere in considerazione il rapporto tra solidificazione degli stili di vita e gassosità della protesta ( o voice per usare la terminologia di Hirschman) -    a dare per buone le percezioni degli intervistati (in via diretta o indiretta).
Non annoierò ulteriormente il lettore, introducendo  questioni  di ordine metodologico  sugli strumenti  per misurare la discrepanza tra conduzione di una vita buona e percezione di una vita cattiva. Strumenti che, a dire il vero, come accennato, attendono ancora di essere  formalizzati. Ammesso e non concesso che, una volta formalizzati, i politici li prendano in considerazione...
Resta però un fatto: le cosiddette società del benessere,  solo al primo sguardo, anche fuggevole, impressionistico, hanno prodotto uno dei tassi più alti di scontento immaginario  dell’intera storia umana. Che cos’è il ’68 se non la protesta immaginaria di "bambini" viziati e capricciosi? Non si voleva forse portare  addirittura l’immaginazione al potere? Altro esempio: il ciclo riformista prova che  la richiesta di alti salari, statisticamente, esplode dopo la crescita economica, quanto lo stile di vita è già migliorato,  non prima. 
Qual è stata  la reazione dei politici alla crescita dell’immaginario dello scontento? In Italia, ad esempio, lo si è  assecondato, anche per effetto delle tradizioni pauperiste di matrice cattolica e socialista.  Ma  anche, come avviene in tutte le democrazie, dai tempi di Atene, per non perdere voti.
Insomma, un  grande miglioramento delle condizioni economiche e sociali ha dato vita a uno scontento immaginario, ma istituzionalizzato perché recepito dai partiti, che ha condotto negli ultimi anni addirittura alla nascita di un partito “dedicato” allo scontento immaginario come Cinque Stelle.  
Ora dovrebbe essere chiaro perché il dibattito in corso  sul Reddito di Cittadinanza sia  un  tentativo di dare una risposta surreale a un problema surreale.
Come uscirne?  Purtroppo la sociologia ha le sue regolarità: la stabilità, favorisce la reiterazione,  la reiterazione, libera l’ immaginazione, che falsa il giudizio  sulla stabilità, che scioglie a sua volta le ali dello scontento, che si auto-rafforzano attraverso la percezione falsata della realtà.  Il che alla lunga rischia di minare la produttività economica e recidere, altre ali, non immaginarie però,quelle del benessere.
Qualcosa però si può fare: la politica non dovrebbe assecondare lo scontento immaginario.   Anche le tradizioni culturali potrebbero  dare una mano: nelle società anglo-americane, dove l’appello al senso di responsabilità individuale e la presa sulla realtà  sono  più forti, lo scontento immaginario trova terreno meno fertile.  Come del resto nell’Europa continentale dove il merito, la ricchezza  e  il successo personali sono apprezzati.
E in Italia?  Quasi 11  milioni di scontenti immaginari hanno votato Di Maio.

Carlo Gambescia