Riflessioni
Scontento immaginario e Reddito di
Cittadinanza
Crediamo che il dibattito in corso sul Reddito di Cittadinanza non sia che un tentativo di dare una risposta surreale a un problema surreale. Spieghiamo subito perché.
Le
società si basano sulla reiterazione: il giorno dopo si fa quello che si è
fatto il giorno prima, nulla sembra essere cambiato, nel bene come nel male. Si chiama stabilità sociale: prevedibilità che domani sarà come oggi. Però,
più una società, come insieme di stili
di vita, è stabile, più le persone perdono contatto con la realtà.
Danno per scontato ciò che hanno e fanno. Nel senso che la percezione della
propria situazione viene falsata dall’eccesso di normalità, come somma di atti
reiterati, che, come vedremo, ne favorisce la critica.
Per
fare un esempio, durante l’ultima guerra mondiale, l’anormalità della vita
sociale, regredita a livelli di sopravvivenza, coincideva, con la normalità della percezione di condurre
una “cattiva vita”. Per contro, dove la
vita è buona, sorge la percezione errata che essa sia cattiva, perché la normalità, degli stili di
vita, lascia spazio all’immaginazione e
agisce, diluendoli su tempi della memoria sociale. Semplificando: chi "oggi" si lamenta per le tariffe dello smartphone,
quasi mai ricorda che "ieri" il nonno non aveva un paio di scarpe. Il
che spiega quella discrasia, fonte di disperazione per gli economisti, tra parametri economici positivi e giudizi
negativi della gente.
Paradossalmente, l’alto
grado di stabilità di una società
produce i suoi critici, attraverso quello
che si può definire lo scontento
immaginario: lo sguardo sazio sul presente, si concede il lusso di rivolgersi a mondi immaginari, si forma così un' "immagine immaginaria" che finisce per influire sulla concezione collettiva e reale del presente. Piano piano, senza che nessuno se ne avveda, si scivola in un mondo surreale.
Ovviamente, tra il livello minimo (percezione della cattiva vita che risponde alla realtà di una cattiva vita) e il livello massimo ( percezione di una cattiva vita che invece è buona) esiste una scala "cromatica" che rinvia alle sfumature sociali delle percezioni intermedie.
Ovviamente, tra il livello minimo (percezione della cattiva vita che risponde alla realtà di una cattiva vita) e il livello massimo ( percezione di una cattiva vita che invece è buona) esiste una scala "cromatica" che rinvia alle sfumature sociali delle percezioni intermedie.
Il fenomeno quindi non è così facile da delimitare concettualmente, figurarsi, come si dice tecnicamente, la sua "operalizzazione". Di conseguenza, la
sociologia o non lo studia o lo analizza in modo
residuale. Non esiste, se non in misura
ridottissima, una letteratura
scientifica ed empirica al riguardo. Ci si limita, quasi sempre - senza prendere in
considerazione il rapporto tra solidificazione degli stili di vita e gassosità
della protesta ( o voice per
usare la terminologia di Hirschman) - a
dare per buone le percezioni degli intervistati (in via diretta o indiretta).
Non
annoierò ulteriormente il lettore, introducendo
questioni di ordine
metodologico sugli strumenti per misurare la discrepanza tra conduzione di una vita buona e percezione di una vita cattiva.
Strumenti che, a dire il vero, come accennato, attendono ancora di essere formalizzati. Ammesso e non concesso che, una volta formalizzati, i politici li prendano in considerazione...
Resta
però un fatto: le cosiddette società del benessere, solo al primo sguardo, anche fuggevole, impressionistico, hanno prodotto uno dei
tassi più alti di scontento immaginario
dell’intera storia umana. Che cos’è il ’68 se non la protesta immaginaria
di "bambini" viziati e capricciosi? Non si voleva forse portare addirittura l’immaginazione al potere? Altro esempio: il ciclo riformista prova che la richiesta di alti salari, statisticamente, esplode dopo la crescita economica, quanto lo stile di vita è già migliorato, non prima.
Qual
è stata la reazione dei politici alla
crescita dell’immaginario dello scontento? In Italia, ad esempio, lo si è assecondato, anche per effetto delle
tradizioni pauperiste di
matrice cattolica e socialista. Ma anche, come avviene in tutte le democrazie,
dai tempi di Atene, per non perdere voti.
Insomma, un grande miglioramento delle condizioni economiche e sociali ha dato vita a uno scontento immaginario, ma
istituzionalizzato perché recepito dai partiti, che ha condotto negli ultimi
anni addirittura alla nascita di un partito “dedicato” allo scontento immaginario
come Cinque Stelle.
Ora dovrebbe essere chiaro perché il
dibattito in corso sul Reddito di Cittadinanza sia un tentativo di dare
una risposta surreale a un problema surreale.
Come
uscirne? Purtroppo la sociologia ha le
sue regolarità: la stabilità, favorisce la reiterazione, la reiterazione, libera l’ immaginazione, che
falsa il giudizio sulla stabilità, che
scioglie a sua volta le ali dello scontento, che si auto-rafforzano attraverso
la percezione falsata della realtà. Il che alla lunga rischia di minare la produttività economica e recidere, altre ali, non immaginarie però,quelle del benessere.
Qualcosa però si può fare: la politica non dovrebbe assecondare lo scontento immaginario. Anche le tradizioni culturali potrebbero
dare una mano: nelle società anglo-americane, dove l’appello al senso di
responsabilità individuale e la presa sulla realtà sono
più forti, lo scontento immaginario trova terreno meno fertile. Come del resto nell’Europa continentale dove
il merito, la ricchezza e il successo personali sono apprezzati.
E
in Italia? Quasi 11 milioni di scontenti immaginari
hanno votato Di Maio.
Carlo Gambescia