I rimproveri di un “amico
americano”
Dialogo su Cinque Stelle
( e sui massimi sistemi)
( e sui massimi sistemi)
Ieri
un amico italiano che
insegna scienze politiche negli Stati Uniti,
ora in Italia per le festività, mi chiedeva ragione, stupito, quasi rimproverandomi, dell’eccessiva durezza verso il movimento pentastellato. Aggiungendo che in America, negli ambienti
colti, liberal, pur ritenendolo un movimento populista, non lo si considera politicamente pericoloso, a differenza di tutto quel che invece si muove alle spalle di Trump.
Qual
è stata la mia risposta all’ "amico americano"?
Che
negli Stati Uniti la politica, in
particolare il sistema istituzionale, ha radici molto salde. Come provano, ad
esempio, gli ostacoli che sta trovando sulla sua strada un leader
semi-autocratico come Trump. E che quindi ci si può permettere il lusso di mandare alla
Casa Bianca un personaggio politico, stupido ma inquietante, come l’attuale Presidente americano.
In
Italia, oltre a non esistere un valido sistema di check and balance (si pensi
solo al ruolo politicamente debordante
della magistratura), a differenza degli Stati Uniti, esiste una solida - purtroppo - tradizione antidemocratica. L’Italia ha
inventato il fascismo, fenomeno dalle profonde radici populiste. Inoltre, le culture cattolica e marxista hanno sempre
profondamente disprezzato le istituzioni e i valori liberal-democratici. Per non parlare dell' economia di mercato...
Di
conseguenza, un movimento politico, privo
di democrazia interna (teleguidato da un comico e da un web-manager), che si ritiene depositario, per scienza infusa, di verità assolute, a cominciare dal monopolio dell'onestà e del bene nazionale per ogni singolo individuo, non può non
preoccupare chiunque abbia a cuore il destino democratico del
Paese.
Al
che l' "amico americano" ha notato che è buona regola delle
democrazie liberali - “da te difese a
spada tratta”, ha ironizzato -
includere i diversi, i politicamente diversi, per metterli alla prova,
facendoli governare.
Una
puntualizzazione - ho subito sottolineato - sicuramente esatta in linea di
principio. Tuttavia, una tesi del genere
- ho aggiunto - se portata alla estreme conseguenze
condurrebbe le liberal-democrazie all’autodistruzione. Perché i suoi nemici potrebbero approfittare della libertà, messa generosamente a disposizione di tutti, per agguantare il potere e smantellare tutto.
Sapete,
cosa mi ha risposto l’amico professore ? Che è un rischio che le
liberal-democrazie devono accettare, per un vincolo di coerenza. Altrimenti non
sarebbero tali. Inoltre - ha aggiunto
- su che basi stabilire ciò che è liberal-democratico da ciò che non è?
Devo
dire, che mi sono sentito stretto nell’angolo, almeno dal punto di vista della correttezza
dell’argomentazione. In effetti, la prima parte del ragionamento
fila. Come del resto, dal punto di vista
di una visione pacificata e pragmatica della politica, dunque liberale, ha senso l’accettazione del rischio di
governo. Ma se l’avversario non è
pacifico né liberale? Vale la pena
accettare il rischio dell’autodistruzione?
Qui - punto divisivo sul quale però ci siamo trovati d’accordo
- la scelta dipende dalle
rispettive antropologie politico-morali. Ovviamente, tra noi due, molto differenti, se non addirittura opposte.
L' "amico americano” crede fermamente nella possibilità
di insegnare la virtù e di poterla
trasmettere a tutti attraverso la conoscenza. Quindi, la sua,
è una vera e propria fede nel nesso identitario virtù-conoscenza. Di qui, l’accettazione del rischio, come
veicolo pragmatico, per giungere alla conoscenza, e dunque alla virtù. A suo avviso, non esistono uomini buoni o
cattivi per definizione, ma uomini perfettibili, grazie all’apprendimento della
virtù. Quindi attraverso il dialogo, mai con la forza.
Io
invece, non credo che la conoscenza sia
virtù, e se lo è, solo per
pochissimi. E soprattutto non ritengo si
possa trasmettere a esseri sociali, per costituzione, più disposti al credere (qualunque cosa)
che al capire ( e bene, solo alcune cose fondamentali). Di qui, il pericolo di
mettersi, anche democraticamente - via elezioni - nelle mani di un pugno di ignoranti, addirittura così fieri della propria ignoranza,
fino a farne una virtù, quindi capacissimi di distruggere quelle conoscenze,
anche politiche, esistenti (e l’esperimento liberal-democratico, per ricaduta cognitiva, è fra queste). Pertanto, esistono uomini cattivi, per definizione, che rifiutano la conoscenza-virtù. E dunque il
dialogo. Dai quali dobbiamo difenderci. Anche con la forza, se necessaria.
Dopo di che, con l' "amico americano" consapevoli delle nostre differenze, e comunque coscienti di averle argomentate bene, ci siamo salutati. Con il calore di sempre.
Ma, avviandomi verso casa, ho pensato: argomentare bene, può bastare?
Ma, avviandomi verso casa, ho pensato: argomentare bene, può bastare?
Carlo Gambescia