martedì 13 marzo 2018

Dibattiti
Due parole sul Reddito di Cittadinanza



Nella prima  metà  anni Novanta, con un gruppo di studiosi, tra i quali ricordo il filosofo della politica Giuliano Borghi, elaborai, su invito di un sindacato italiano,  uno studio  sulla  fattibilità  del  Reddito di Cittadinanza.  All'epoca nessuno ne parlava.  Pensavo di ricavarne un libro, per agitare le acque. Però, una volta studiata la materia, rendendomi conto, sulla base di una scrupolosa disamina della spesa sociale italiana, dei costi colossali da affrontare,  ripiegai su una relazione dove esponevo, laicamente, cosa si dovesse fare, qualora eccetera, eccetera.  La mia  relazione  fu  subito avvolta, credo giustamente, viste le cifre, dal  silenzio più assordante.  E non solo a livello sindacale. 
Mi accorsi che, tecnicamente,  per implementare il  Reddito di Cittadinanza,  a parità di bilancio,  o andavano tagliate alcune voci della spesa sociale (a cominciare dalle pensioni minime,  di guerra, invalidità,  fino ad alcuni tipi di assegni sociali), o si doveva far crescere la spesa sociale,  finanziando il reddito attraverso l’emissione di appositi  titoli, quindi indebitandosi.  Ovviamente, nei miei calcoli, da studioso serio,  non prendevo in considerazione, alcun fantomatico recupero dell’evasione fiscale, né possibili  micro o macro-crescite del Pil.     
Non erano maturi i tempi? No, semplicemente si trattava di un progetto, ieri come oggi, economicamente irrealizzabile,  che già allora  si aggirava  intorno a una cifra annua di quarantamila miliardi di lire pari a una ventina di miliardi di euro.  Un peso insostenibile,  a priori,  per qualsiasi economia, figurarsi quella italiana.
Ora, il vero problema, resta  non  tanto ( o solo),  la questione del reddito di cittadinanza in sé, quanto il fatto che oggi se ne parli come di una misura fattibile creando aspettative e falsando il dibattito politico.  
E qui occorre fare una precisazione.  Una cosa è il   Reddito di Cittadinanza,  un'altra   i redditi temporanei, come le varie forme di sussidio sociale e di inserimento lavorativo. La nostra puntualizzazione ha suo fondamento,  dal momento che proprio in questi giorni  la  confusione sembra regnare sovrana.
Il Reddito di Cittadinanza,  cosa che  chiarivo  nel mio studio,  è  qualcosa di separato dall’attività lavorativa,   che va a  integrare (non sostituire)  i proventi da lavoro in base al reddito percepito (cosa non sempre facile  d'attuare  per la labilità e soggettività dei princìpi di equità sociale applicati ai redditi percepiti).  Di conseguenza,  la sua introduzione,  secondo il mio  progetto, dipendeva dall'eliminazione, come già anticipato,  di tutte le altre forme  di erogazione sociale strutturata, esclusa però - semplificando -  la cassa integrazione,  considerata come misura, seppure temporanea, alternativa al  reddito di cittadinanza,  perché da  ricondizionare, così proponevo,  all'avviamento al lavoro.   Si trattava, insomma,  di un'autentica  rivoluzione per l’Inps (come mi si fece ufficiosamente sapere).
Il concetto era, e resta,  che il Reddito di Cittadinanza integra  ma non sostituisce  il  reddito da lavoro  o da pensione. Insomma, per dirla brutalmente,  non si  può  vivere  a sbafo, magari fingendo di cercare un lavoro.  E soprattutto, ripetiamo, il Reddito di Cittadinanza, se concetti e parole hanno un senso, non può non essere  alternativo ai redditi  da disoccupazione o inserimento.
Il Reddito di Cittadinanza,  secondo  Giuliano Borghi,   è filosoficamente, oltre che sociologicamente, qualcosa che  spetta  a ognuno di noi in quanto civis , sempre  che, come detto,  non  si tratti di soggetti già "diversamente" aiutati dalla communitas  (redditi di inserimento e/o disoccupazione).  Quindi, ripetiamo,   non un reddito di "emergenza",  vincolato all'avviamento obbligatorio al lavoro.      
Insomma, parliamo non di una misura assistenziale, ma  di qualcosa che riguarda tutti i  cittadini italiani, in quanto tali,  senza tenere conto delle origini o etnia.  Qualcosa che distingue e valorizza la nazionalità, come valore che si può trasmettere, in termini di un surplus monetario che va a integrare i redditi ordinari,  a prescindere dal colore della pelle.  Il che,  può piacere o meno, ma è assolutamente coerente con il principio di cittadinanza come legale  appartenenza a una comunità. Un surplus "onorario"  di cittadinanza economica,  che ha una sua filosofica coerente nobiltà,  che tuttavia  ha un costo elevatissimo,  perciò di difficile realizzazione, eccetera, eccetera.
Ma detto questo, che c’entra il Reddito di Cittadinanza con il reddito di inserimento o disoccupazione?   Di che cosa si parla in questi giorni?  Di tutto,  eccetto che del vero Reddito di Cittadinanza. 

Carlo Gambescia