venerdì 16 marzo 2018

Ci risiamo...
Aldo Moro,  sequestrato (ideologicamente)  dai  cinquestelle?



Sì,  la diciamo fuori denti.  Per capire  a quale razza di analfabeti politici potrebbe andare la Presidenza della Camera,  invitiamo  a leggere  sul  “Fatto Quotidiano” la rievocazione  di Moro scritta da  Gianluca Ferrara,  editore e fresco senatore pentastellato. E sottolineiamo editore. 
La tesi è questa: nel 1948 vinse la Dc grazie all'aiuto determinante  dei servizi segreti americani,  che, in seguito, si riservarono il diritto di  riscrivere la storia della Repubblica. Scopo: evitare l’ingresso del Pci al governo. Sicché  la morte di Moro, non fu che un momento di questa strategia. Ecco le liriche conclusioni del senatore a cinque stelle:

«Sono trascorsi 40 anni da quando, io bambino di 6 anni, vidi aprirsi lo spiraglio di quella porta, una porta che poi col tempo ho raggiunto e valicato fino ad addentrarmi in un mondo, quello della politica, dove troppo spesso emergono le peggiori pulsioni egoiche dell’uomo. Moro fu ucciso materialmente dalle BR, ma paradossalmente i mandanti sono gli architetti di un mondo monopolare che oggi si è declinato in un inquietante pensiero unico a cui occorre ribellarsi. Le parole di Aldo Moro risultano un monito ai tanti Zaccagnini, Andreotti, Cossiga e Kissinger di oggi: “Io ci sarò ancora come un punto irriducibile di contestazione e alternativa”».  (1)

Che dire?  Moro sequestrato due volte. La seconda, ideologicamente, dal Movimento Cinque Stelle... Esageriamo?  Un passo alla volta. 
Intanto, sulla natura fantasiosa di questa  ricostruzione storica,   rinviamo  Gianluca Ferrara alla Storia della Repubblica Einaudi: lavoro  al di sopra di ogni sospetto, perché scritto da storici di sinistra. Dove si  spiega, con dovizia di particolari (economici, politici, sociali e culturali), il complesso sviluppo delle vicende politiche italiane, irriducibile all’ infantile lotta tra il Pensiero Unico americano  e le Forze del Bene, reincarnatesi, nell’ultima puntata della  fiction per bambini, in un quarantenne  senatore pentastellato. 
Dicevamo, una storia complessa, dove, eventualmente, i servizi segreti in azione furono due, l'americano e il sovietico ( e, se per questo, probabilmente anche altri).  Ma senza alcun  ruolo dirimente.   Dal momento che dalle  elezioni politiche del 1948   gli italiani votarono  e scelsero sempre  liberamente. E in milioni -  una volta  posti  dinanzi alla scelta tra libertà e oppressione -  preferirono, regolarmente, al Pci,  la Democrazia cristiana e le forze moderate.   
Quindi lasceremmo fuori  il  "piamose Roma" in modalità Cia…  In subordine, consigliamo la lettura di un’altra storia d’Italia, sempre pubblicata da Einaudi, quella del Ginsborg,  storico non sospetto di destrismo: un’opera  attentissima alla storia sociale e alla ricostruzione  di quella  gigantesca e libera volontà di rinascita che distinse,   pur tra contraddizioni  culturali e politiche, la grande crescita del dopoguerra italiano.
Insomma,  l’Italia scampò alla sorte  della  Polonia, dell'Ungheria, della Cecoslovacchia, eccetera, eccetera.  E per sua libera scelta.  Fortunatamente,  non  finì  schiacciata sotto il tallone di ferro sovietico. Quello era Pensiero Unico. E invece di rallegrarsi della cosa, si inseguono fantasie cospirative a scoppio ritardato... 
Quanto a Moro, per andare al di là della retorica rievocativa,  gli va assegnata la palma d’oro del peggiore statista (parola grossa, diciamo politico) del dopoguerra. Se avesse fatto, veramente,  il compromesso storico, la Dc si sarebbe mangiata  anche il Pci.  Altro che «democrazia compiuta» e fine del «bipartismo imperfetto» come  ritiene invece  il senatore pentastellato, ma a orecchio, perché cita Galli senza averlo letto.  Oppure,  se lo ha letto,  gli è sfuggita la parte dove lo storico dei partiti evidenza  l'enorme  difficoltà culturale, per il Pci togliattiano, ancora prima del praticare, di comprendere il modello Westminster. 
Moro, a proposito del centrosinistra, come scrive Galli della Loggia (per inciso,  storico accusato di simpatie grilline), ridusse «in breve tempo […] a poca cosa  la spinta riformatrice  che avrebbe dovuto caratterizzar[lo]». In realtà, in cinque anni,  dal 1963 al 1968,  «i suoi governi si limitarono a varare una nuova legge sulle pensioni e l’introduzione della “giusta causa nei licenziamenti. Tutto qui». Per contro, «le maggiori realizzazioni riformatrici degli anni Sessanta, comunemente attribuite ai governi di centro-sinistra (nazionalizzazione dell’energia elettrica, introduzione della scuola media unica, delle cedolare d’acconto sui titoli azionari, […] furono tutte compiute prima nel biennio 1961-62, dal governo Fanfani» (4).  Altro  che «punto irriducibile di contestazione e alternativa», come scrive l’inclita Gianluca Ferrara, tentando  di  sequestrare Moro per la seconda volta. Il politico democristiano  ripetiamo, chiedendo scusa per  la caduta di stile, si sarebbe pappato anche il Pci…
Capito?  Che pozzo di scienza,  il  senatore a cinque stelle? Ed è pure editore. 
Figurarsi gli altri…  
 Carlo Gambescia
  

(2)  F. Barbagallo (coordinatore),  Storia dell’Italia Repubblicana, Einaudi Torino, 1994 sgg., 10 voll. in particolare i primi due, molto documentati: La costruzione della democrazia. Dalla caduta del fascismo agli anni Cinquanta.
(3) P. Ginsborg. Storia d’Italia 1943-1996. Famiglia, società. Stato, Einaudi, Torino 1998, l’opera raccoglie i due interessanti volumi dedicati dallo storico di origine britannica alle vicende italiane.
 (4) E. Galli della Loggia, Credere Tradire Vivere. Un viaggio negli anni della Repubblica, il Mulino, 2017, pp. 107-108, nota 11. 




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