L’inutile dibattito sui “vitalizi”
Il sesso degli angeli
Quanto
guadagna un parlamentare italiano? Più o
meno come un alto dirigente d' azienda. Siamo intorno ai 180-190 mila euro all’anno, all'incirca sei volte la fascia medio-bassa dei trentamila euro (come illustra
la tabella sotto il titolo).
Diciamo
che, stando ai valori di mercato, l’Azienda Italia, per così dire la più importante in assoluto, per attirare i più bravi dovrebbe addirittura offrire qualcosa di più. Anche perché, come è noto, nel mercato privato ad alti
stipendi corrispondono, quasi sempre, elevate capacità manageriali. E qui cominciano i problemi. Perché?
In ambito politico, purtroppo non sceglie la mano invisibile del mercato, ossia la "manona" dei milioni di consumatori, attenti a non farsi fregare, ma, in
ultima istanza, quella fin troppo visibile dell’elettore: qualcosa di completamente diverso. Innanzitutto, l'elettore in genere
non è un’aquila, se ci si passa l'espressione, e sceglie sulla base di criteri extra-economici, come vedremo. Perciò, quando si grida al cattivo funzionamento della meritocrazia, come selezione dei migliori "prodotti" politici, l’elettore, per primo, dovrebbe farsi il classico esame di coscienza.
Cosa alla quale neppure pensa, perché
per un verso è blandito dalla democrazia
stessa, che ne ha bisogno dal punto di vista della legittimazione (di qui la sopravvalutazione retorica, di cui l'elettore si pavoneggia, auto-convincendosi della sua capacità di scelta in chiave extra-economica, solo se, come si ripete a pappagallo, fosse messo nelle condizioni, eccetera, eccetera); per l’altro invece l’elettore partecipa della mediocrità dell uomo comune, totalmente immerso nelle faccende quotidiane, spesso imbevuto di superficiale moralismo o più semplicemente del conformistico spirito del tempo (nel bene come nel male). Perciò l'analisi - per usare una parola grossa - che precede la decisione per chi votare, anche nel caso di voto di scambio, è sempre sommaria. Semplificando al massimo, l'elettore mette più cura nella scelta di un televisore che in quella di un parlamentare. Così è, piaccia o meno, per la stragrande maggioranza dei "consumatori politici".
Di conseguenza, immaginiamo, quel che può accadere, aggiungendo confusione a confusione quando, come sta avvenendo in Italia, si aizzi, un giorno sì l'altro pure, l’elettore contro i “vitalizi” e i “privilegi della casta”, solleticando l’invidia, mai sopita, dell’uomo comune. Che tenderà, come il
rancoroso Tersite omerico, a fare
di tutta l’erba un fascio, confondendo le istituzioni parlamentari con il
regime castale indiano.
Un
piccolo inciso, per i cultori della destra antiparlamentare dura e pura. In Italia, l’indennità parlamentare
(in senso ampio, comprensiva di altre voci) venne introdotta da Giolitti nel 1912 (lo Statuto
Albertino, aristocraticamente, la vietava): all’epoca ammontava a circa lire 6000. Durante il fascismo, venne portata a lire
24 mila (proprio negli anni in cui si cantava “Se potessi avere 1000 lire al
mese”), e poi legata, con la
trasformazione della Camera dei Deputati
in Camera dei Fasci e delle Corporazioni, all’appartenenza al
Partito Nazionale Fascista. Se non si era iscritti
non si poteva farne parte, né percepire la cospicua indennità (*). Quando si dice il caso...
Pertanto,
per tornare sul punto, la rispondenza tra performance e qualità della
retribuzione è tanto più perfetta quanto
più ci si avvicina a un’economia di mercato ( per dirla con Pareto, al massimo
dell' utilità per una società, qualcosa di oggettivo, misurabile), quindi alla possibilità di verificare concretamente
profitti, costi e ricavi, ovviamente tenendo sempre presenti le imperfezioni (scollamenti allocativi e informativi) legate, ad esempio, alle pratiche oligopolistiche (**).
Nel
caso dei parlamentari, mancando rilievi
oggettivi (il massimo dell' utilità per una società) ed essendo tutto rimesso, come del resto
impone la democrazia, alle valutazioni
soggettive (il massimo dell' utilità di una società, fattore ideologico, non economico, per scomodare ancora Pareto), di un elettore, mediocre "consumatore" di "prodotti" politici, assai distratto, spesso facile preda del risentimento
sociale, le indennità potranno essere giudicate, di volta in volta, alte o basse in base a valori, come ora dovrebbe essere chiaro, extra-economici, difficilmente quantificabili. Pertanto, figurarsi: 1) la difficoltà di analizzare il voto in base al metro economico dei costi-ricavi e 2) il pallidissimo valore dei raffronti internazionali tra differenti indennità parlamentari.
Insomma, tutto il dibattito sui “vitalizi” e “sui
privilegi della casta” è fondato sul
nulla . Si discute, come certi teologi medioevali, intorno al sesso degli angeli. Alzare o abbassare gli "stipendi" dei parlamentari, stante
l’inattendibilità dei criteri di valutazione, ripetiamo, extra-economici e le basse capacità di scelta non economica in ambito politico dell'elettore, non serve a niente. Se non - ecco il lato pericoloso - a surriscaldare il clima politico e favorire
ingiustamente quei movimenti politici antiparlamentari di destra
e sinistra, che, come prova il caso dei
fascismo, una volta giunti al potere, si
trasformano in casta di nome e di fatto.
Carlo Gambescia
(*) Sul punto, ma anche per quadro accurato della
questione, si veda Giuseppe Contini, Indennità
parlamentare (II), in AA.VV. Enciclopedia
del diritto, Giuffrè Editore, Milano
1971, vol. XXI, p. 110.
(**) Sulla questione della misurabilità alcuni accenni, però non sempre pertinenti, qui: http://www.lavoce.info/archives/43526/tagli-agli-stipendi-dei-politici-non-e-tutto-oro-quello-che-non-luccica/