Sociologia dei Social
Il trionfo di Narciso
Il trionfo di Narciso
La
letteratura scientifica sui Social Network è considerevolmente aumentata
negli ultimi anni. Mancano però le tipologie interpretative, nel senso di una
entomologia sociologica delle varie specie di fruitori delle Reti Sociali. E
soprattutto è assente, forse per il timore di dire cose spiacevoli a livello
scientifico, l’individuazione di una categoria-base, concettualmente
parlando, che possa sintetizzare il “profilo medio” del fruitore. Nulla però di
generico o impressionistico (come il titolo, anticipiamo, potrebbe far pensare).
Da dove cominciare? Innanzitutto, anche nei Social,
inevitabilmente, la struttura è piramidale: è la quantità di like a
indicare le gerarchie. Il che però, da fattore assai sollecitante
per l'Ego, fluttuando tra i contenuti (i più diversi), polarizza e potenzia la preferenza per l'Io dei fruitori.
Avrà più like - o consenso - chi
riuscirà a parlare al mondo. E come si parla al mondo? Compiacendolo.
Insomma, si dicono quelle cose che il mondo vuole sentirsi dire.
Come asseriva Ortega, il miglior conferenziere - tanto per far
notare che la struttura sociologica degli uomini non cambia - è
quello che dice cose gradite al suo pubblico. Attenzione però, si
compiace, anche dispiacendo. Il pro e il contro qualcosa, dal punto di
vista della formazione dei gruppi sociali, sono strutturalmente uguali.
Ogni Pagina di Fb, ad esempio, grazie alla mano invisibile delle
affinità e degli interessi dei singoli, si trasforma in una specie di cassa di risonanza
delle idee condivise da un gruppo di persone. Sicché, secondo il criterio
hobbesiano, le varie pagine non comunicano, anzi collidono,
salvo temporanee alleanze tattiche. Quindi il contesto è pre-sociale
(nel senso del contratto), tribale e divisivo. Nulla di nuovo, si
ripete su di un piano diverso, quel fenomeno, che qualche anno fa
Maffesoli, definì tipico delle nuove tribù sociali, legate alle mode, ai
bisogni immateriali, quindi diverse (per contenuti) ma uguali (per struttura).
In questo quadro strutturale, che non facilita
l’approfondimento, ma soltanto la ricerca di conferme alle proprie
idee, qual è la categoria concettuale, l’"etichetta", se
si vuole, sotto la quale raggruppare i “fruitori medi”?
Il narcisismo sociale, nel senso dell’auto-convinzione di
dire cose originali e interessanti su di sé e sul mondo. La tipica
sovra-rappresentazione di se stessi, che rinvia al deserto di coloro che
non hanno conoscenze approfondite, cosa del resto non alla portata di
tutti: la cultura, soprattutto se specialistica, è naturalmente aristocratica (altro che intrattenimento...). Insomma, non è questione di like. Il resto del "lavoro" sui
Social viene svolto, come in tutti i processi sociali, dalla mano
invisibile degli interessi e delle affinità.
E qui va fatta una osservazione interessante.
In letteratura, da quasi un quarto di secolo, si parla sempre più
di centralità del lettore rispetto alla centralità dello scrittore.
Esiste, insomma, un populismo letterario, che ha radici, almeno negli
anni Settanta (“L’immaginazione al potere”) che, molto prima del grillino
“uno vale uno” (in nome quindi di un principio politico di tipo
democratico), ritiene il lettore come un soggetto creativo capace di "reinventare" il libro che legge.
E questo, senza avere alcuna preparazione specifica ( se prima non si conosce la sintassi, poi non si può reinventarla). Cosa
sarebbe, spesso invece si legge , un libro senza lettori? Il che ha un suo
fondamento economico, ma non letterario. Come del resto prova
la storia della fortuna di molte opere che è storia di
libri e autori, dimenticati, poi riscoperti.
In realtà, esiste un populismo letterario che deriva
dal populismo politico, così come esiste, quale prolungamento dei
primi due, il populismo Social. E le origini del fenomeno,
sono in quella rivoluzione del narcisismo mondiale giovanile che fu il
Sessantotto.
La centralità del lettore, del cittadino
"democratico", del fruitore dei Social, come auto-consapevolezza data
(“Io sono Io”), in realtà resta un argomento puramente retorico,
una forma di manipolazione per persone comuni ( che attraversa le diverse coorti, dai millennial agli esodati), persone che non aspettano
altro, pur di essere soddisfatte nell’Ego. Si potrebbe
parlare, di un naturale processo di istituzionalizzazione
dell’auto-convincimento di massa a sfondo narcisistico. E se è di massa, che individualismo è? Che valore può avere la formuletta "Io sono Io"?
In fondo, Facebook è il risultato delle osservazioni sociali di due personalità geniali: Adam Smith e Mark Zuckerberg. Un processo che però lungo la strada ha incontrato la vulgata democratica pura. Diciamo pure che tra Smith e Zuckerberg si è intrufolato quel "complessato" di Rousseau. Infatti, ciò che si dice delle aristocrazie, come trappole per narcisi ( e che vale per i periodi di decadenza), in realtà va ricondotto al concetto di democrazia pura, diretta, come forma di narcisismo di massa, dove, semplificando, in nome dell’uno vale uno, e quindi di una inevitabile e coerente logica interna, non si può non dare la parola a tutti, anche al più imbecille. E i Social, ne sono l’ultima, per alcuni peggiore, manifestazione.
In fondo, Facebook è il risultato delle osservazioni sociali di due personalità geniali: Adam Smith e Mark Zuckerberg. Un processo che però lungo la strada ha incontrato la vulgata democratica pura. Diciamo pure che tra Smith e Zuckerberg si è intrufolato quel "complessato" di Rousseau. Infatti, ciò che si dice delle aristocrazie, come trappole per narcisi ( e che vale per i periodi di decadenza), in realtà va ricondotto al concetto di democrazia pura, diretta, come forma di narcisismo di massa, dove, semplificando, in nome dell’uno vale uno, e quindi di una inevitabile e coerente logica interna, non si può non dare la parola a tutti, anche al più imbecille. E i Social, ne sono l’ultima, per alcuni peggiore, manifestazione.
Si dirà, è il prezzo che la virtù (democratica) deve pagare al vizio (l'imbecillità). Giusto. Però dove si ferma l'imbecillità? Esiste la parola fine? Sul punto, la logica democratica tace.
Ovviamente, poi la storia, che è aristocratica, si vendica.
Ovviamente, poi la storia, che è aristocratica, si vendica.
Carlo Gambescia
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