venerdì 23 febbraio 2018

Dibattiti
Italia, una modernità politica incompiuta




Ieri  dopo il mio articolo sulla Sobrietà politica  e i suoi nemici (*) ho ricevuto su Fb  i commenti di  Roberto Buffagni,  Fabio Brotto, Gianfranco Rutigliano, Massimo Mariani, Piero Visani  Carlo Gobbi, Carlo Pompei (**).
Roberto Buffagni   individua le origini della crisi della democrazia rappresentativa nella  mancanza di un centro morale, sconosciuto al liberalismo, di qui la sua debolezza sistemica. 
Gianfranco Rutigliano, collega la mancanza di un centro morale allo sviluppo del risentimento sociale, frutto di una profonda differenza di   lessico politico, tra l’universo liberale  e i suoi nemici.  
Fabio Brotto,  riconduce la crisi  all’assenza di un centro sacro, necessario a ogni società anche la più laica,  in Italia rappresentato dal Parlamento borghese liberale, ora però defenestrato o quasi.
Piero Visani,  ha invece  contestato in blocco  "questa società"  definendola totalitaria. Di qui, la sua visione della crisi italiana  come naturale sbocco di  una società, politica, economica, civile, culturale che tutto sarebbe eccetto che liberale.
Massimo Mariani  designa le ragioni della crisi   nella deriva impolitica e giustizialista, frutto velenoso di  una decadenza culturale e valoriale che abbraccia governanti e governati:  questi ultimi, addirittura travolti da pulsioni autoritarie ed estremiste  “un tempo inimmaginabili”. A suo avviso, manca una cultura repubblicana delle istituzioni.
Carlo Gobbi, dopo aver sottolineato che la deriva demagogica della democrazia è fenomeno teorizzato fin  dai tempi antichi,  e che quindi il nostro non è un periodo storico peggiore di altri,  scorge  la causa principale  della crisi - tra le altre, ovviamente -   nell’ostilità degli  italiani al cambiamento, frutto della “percezione che nulla cambi”.  Di qui, la necessità  di accettare la sfida di “un cambiamento culturale epocale”,  che però  a suo parere, proprio per la natura degli italiani,  impone tempi lunghi.
Carlo Pompei, dopo avere evidenziato tutto il suo  scetticismo analitico a proposito del difficile equilibrio tra virtù, ideologia e necessità,    scorge  nelle idee di Pino Rauti -  sull'importanza di  “un cambiamento culturale epocale” -  la direzione da  intraprendere.  In senso però contrario rispetto a quello auspicato dal Fondatore di ON: un cambiamento  rivolto   al  perseguimento “di una democrazia compiuta  che vada oltre la sola possibilità di aprire bocca (o digitare) parole in libertà, come stiamo facendo”.
Ovviamente ho dovuto sintetizzare,  quindi fare torto alla ricchezza espositiva di alcuni commenti. 
Io direi di distinguere tra cause di breve e  lungo periodo. 
Sul breve periodo (in senso storico, ovviamente),  la crisi  politica attuale  è un portato  della svolta giustizialista del 1992-1994, delle mancate riforme costituzionali, economiche e naturalmente dell’inevitabile ingresso nell’Euro, fonte di scosse di assestamento, sul quale si è innestata la crisi economica del  2007- 2008.
Sul lungo   periodo, possiamo ricondurre la crisi attuale alla mancanza di  un "centro" politico-morale, al “carattere” degli italiani, alla non buona, o comunque rapsodica, formazione-selezione delle classi politiche, alla debolezze e al  parassitismo di certo capitalismo italiano, purtroppo storicamente latecomer.
Ovviamente, di cause a breve e lungo termine  ne esistono molte altre. La nostra è una velocissima e incompleta ricognizione.
Quel che però, di decisivo,  è mancato all’Italia, al punto di risentirne tuttora,  è la riserva storica nei riguardi delle istituzioni liberali, soprattutto politico-parlamentari. Gli italiani non hanno mai metabolizzato la democrazia parlamentare  e dei partiti:  un esperimento, come abbiamo scritto, unico, che caratterizza , per linee portanti, il nostro tempo storico, dunque  la modernità.
Sotto questo profilo, piaccia o meno, potremmo parlare di modernità politica incompiuta. Altro che post-modernità...    L' "epocalità", della crisi,  probabilmente,  risiede  proprio in questo fatto: non aver condotto a termine la rivoluzione moderna sul piano delle istituzioni rappresentative; non aver compreso e  apprezzato fino in fondo il carattere pluralistico della rivoluzione moderna per eccellenza: quella fondata  sulla libertà di parola, soprattutto politica (anche di digitare su una tastiera, perché no? Lo si chieda a venezuelani, cinesi, cubani, coreani). 
Il rifiuto del proiettile per la scheda e soprattutto per il discorso pubblico che deve precedere la deliberazione,  in Italia  non è mai stato netto.  O comunque oggetto di pesantissime riserve mentali.
Accettare la logica politico-parlamentare e il pluralismo politico  significa rifiutare  tutto quello  che è estraneo a  questa logica, o peggio ancora,  eversivo dell'ordine liberale:  il feudalesimo  sindacale,  la democrazia diretta,  il welfarismo,  il protezionismo economico e sociale, il culto plebiscitario dell’uomo della provvidenza.  
Ci riusciremo mai?  

Carlo Gambescia 
          





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