Dibattiti
Italia, una
modernità politica incompiuta
Ieri dopo il
mio articolo sulla Sobrietà
politica e i suoi nemici (*)
ho ricevuto su Fb i commenti di Roberto Buffagni, Fabio
Brotto, Gianfranco Rutigliano, Massimo Mariani, Piero Visani Carlo Gobbi, Carlo Pompei
(**).
Roberto Buffagni individua le origini
della crisi della democrazia rappresentativa nella mancanza di un
centro morale, sconosciuto al liberalismo, di qui la sua debolezza sistemica.
Gianfranco Rutigliano, collega la
mancanza di un centro morale allo sviluppo del risentimento sociale, frutto di
una profonda differenza di lessico politico, tra l’universo
liberale e i suoi nemici.
Fabio Brotto, riconduce la crisi all’assenza di un
centro sacro, necessario a ogni società anche la più laica, in Italia
rappresentato dal Parlamento borghese liberale, ora però defenestrato o quasi.
Piero Visani, ha invece contestato in blocco "questa società" definendola totalitaria. Di qui, la sua visione della crisi italiana come naturale sbocco di una società, politica, economica, civile, culturale che tutto sarebbe eccetto che liberale.
Massimo Mariani designa le ragioni della crisi nella
deriva impolitica e giustizialista, frutto velenoso di una decadenza culturale e valoriale che
abbraccia governanti e governati: questi ultimi, addirittura travolti
da pulsioni autoritarie ed estremiste “un tempo
inimmaginabili”. A suo avviso, manca una cultura repubblicana
delle istituzioni.
Carlo Gobbi, dopo aver sottolineato che la deriva
demagogica della democrazia è fenomeno teorizzato fin dai tempi antichi, e che quindi il nostro non è un periodo storico
peggiore di altri, scorge la causa principale della crisi - tra le altre, ovviamente - nell’ostilità degli italiani al cambiamento, frutto della
“percezione che nulla cambi”. Di qui, la necessità di accettare la sfida di “un cambiamento
culturale epocale”, che però a suo parere, proprio per la natura degli italiani, impone tempi lunghi.
Carlo Pompei, dopo avere
evidenziato tutto il suo scetticismo analitico a proposito del
difficile equilibrio tra virtù, ideologia e necessità,
scorge nelle idee di Pino Rauti -
sull'importanza di “un cambiamento culturale epocale”
- la direzione da intraprendere. In senso però contrario rispetto a quello auspicato dal Fondatore di ON: un cambiamento rivolto al perseguimento “di una
democrazia compiuta che
vada oltre la sola possibilità di aprire bocca (o digitare) parole in libertà,
come stiamo facendo”.
Ovviamente ho dovuto
sintetizzare, quindi fare torto alla ricchezza espositiva di alcuni
commenti.
Io direi di
distinguere tra cause di breve e lungo periodo.
Sul breve periodo
(in senso storico, ovviamente), la crisi politica attuale
è un portato della svolta giustizialista del 1992-1994, delle
mancate riforme costituzionali, economiche e naturalmente dell’inevitabile
ingresso nell’Euro, fonte di scosse di assestamento, sul quale si è innestata
la crisi economica del 2007- 2008.
Sul lungo
periodo, possiamo ricondurre la crisi attuale alla mancanza di un "centro" politico-morale, al “carattere” degli italiani, alla non buona, o comunque rapsodica, formazione-selezione delle classi politiche, alla debolezze e al
parassitismo di certo capitalismo italiano, purtroppo storicamente latecomer.
Ovviamente, di cause
a breve e lungo termine ne esistono molte altre. La nostra è una velocissima e incompleta ricognizione.
Quel che però, di decisivo, è
mancato all’Italia, al punto di risentirne tuttora, è la riserva storica nei
riguardi delle istituzioni liberali, soprattutto politico-parlamentari. Gli italiani non hanno mai metabolizzato la democrazia
parlamentare e dei partiti: un esperimento, come abbiamo scritto, unico, che
caratterizza , per linee portanti, il nostro tempo storico, dunque la modernità.
Sotto questo
profilo, piaccia o meno, potremmo parlare di modernità politica incompiuta.
Altro che post-modernità... L' "epocalità", della crisi,
probabilmente, risiede proprio in questo fatto: non aver
condotto a termine la rivoluzione moderna sul piano delle istituzioni
rappresentative; non aver compreso e apprezzato fino in fondo il carattere pluralistico della rivoluzione
moderna per eccellenza: quella fondata sulla libertà di parola,
soprattutto politica (anche di digitare su una tastiera, perché no? Lo si
chieda a venezuelani, cinesi, cubani, coreani).
Il rifiuto del
proiettile per la scheda e soprattutto per il discorso pubblico che deve
precedere la deliberazione, in Italia non è mai stato netto. O
comunque oggetto di pesantissime riserve mentali.
Accettare la logica
politico-parlamentare e il pluralismo politico significa rifiutare tutto quello che è estraneo a questa logica, o peggio ancora, eversivo dell'ordine liberale: il feudalesimo sindacale, la democrazia diretta, il
welfarismo, il protezionismo economico e sociale, il culto plebiscitario dell’uomo
della provvidenza.
Ci riusciremo mai?
Carlo Gambescia
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