mercoledì 21 febbraio 2018

Palermo, pestato un dirigente di Forza Nuova
Violenza e vuoto politico



Quando inizia (o sta per iniziare) la cosiddetta  spirale della violenza -  e il dirigente di Forza Nuova pestato a  Palermo ha valore di segnale -  si apre subito, per poi dilagare, la discussione mediatico-politica su chi abbia cominciato per  primo.  
Per quale ragione? Perché l’ attribuzione delle responsabilità ha sempre una ricaduta politica:  il responsabile può essere trasformato in capro espiatorio  e quindi in  veicolo, per contrasto, di sempre possibile consenso politico.  Ovviamente,  la parte “incriminata”, pur non di perdere voti e simpatie, rovescia le accuse sui suoi avversari o  nemici.  E così via.   Fino alla creazione di narrazioni,  spesso leggendarie (criminali o meno), tese a favorire la legittimazione politica, ad uso dei diversi attori politici. Sicché, finché si resta sul piano delle spiegazioni utili a legittimare i politicamente "opposti",  non se ne esce. A meno che non si accetti, politicamente, una delle spiegazioni avanzate dagli attori, mostrando un amore sconfinato per il lato retorico della politica, che pure ha la sua importanza, ma come mezzo, non fine. Mai dimenticarlo. 
Il vero problema da indagare, è  invece rappresentato dalle  matrici sociali della violenza: il perché, improvvisamente, appaia  e  cresca  paurosamente  il rischio della trasformazione dei voti in pallottole.
Su questo piano,  non va mai  dimenticato che l’Italia  ha  prima subito  una tremenda guerra civile, poi una lunga tradizione di conflitti politici e sociali, implicanti lo scontro fisico, infine un terrorismo, feroce e  tribale,  la cui eco non si è ancora spenta.  Si può dire che la violenza  ha attraversato, non sempre episodicamente,  l'intera storia della Prima Repubblica. Quanto alla Seconda Repubblica (per semplificare),  va posto l’accento soprattutto sul linguaggio politico,  distinto da una violenza, nei toni,  superiore a quella  in uso   nel discorso pubblico della  Prima.   Sicché le tradizioni, per così dire, di violenza fisica  praticata  nella Prima, sono andate a sommarsi, alla violenza simbolica,  evocata a parole nella Seconda.  In qualche misura,  la Seconda Repubblica,  mostra di evocare una violenza che però, a differenza della Prima,   rischia di non saper saggiamente governare. 
Qualche esempio?  Esasperare la questione immigrati, favorendo il protagonismo dei gruppi estremisti,  “rossi” e “neri”;  dipingere in modo irrealistico la situazione economica;  compiacere il vittimismo giustizialista delle folle;  evocare improbabili tramonti o albe epocali, ignorando che la vera politica è arte del possibile.
Insomma, in poche parole,  favorire aspettative  antipolitiche irrealizzabili,  se non a prezzo di violenze e conseguenti involuzioni  autoritarie. E qui si scorge la differenza  di qualità, soprattutto politiche,  tra la classe di governo (in particolare i partiti, due in primis,  Dc e Pci) della Prima Repubblica, capacissima di governare la violenza, talvolta cavalcandola, talaltra blandendola, per poi spegnerla (come impone il realismo politico),  e   quella della Seconda, totalmente impreparata (o almeno in larga parte) a gestire politicamente una violenza sociale,  evocata,  scioccamente, a  colpi di magiche parole d'ordine.   
Perché? Si è avuto un ricambio quantitativo (come attestano le ricerche), ma non qualitativo. E come di regola capita,  il passaggio dal professionismo politico, di alto livello, a un professionismo, se non improvvisato, ancora immaturo,  ha  semplificato e  impoverito il linguaggio politico, favorendo, nei fatti, le più stupide e pericolose tematiche dell' antipolitica: siamo dinanzi a una classe politica che sembra remare, e con  inspiegabile piacere,  contro se stessa.  Fino al punto di   aprire  vuoti di potere e favorire la formazione di sacche sociali di fittizia protesta, non meno pericolose, fondate sulla presunta mancata risposta a quelle aspettative sociali, puramente narrative,  evocate da una classe politica, come detto, improvvisata  o comunque  ancora immatura. E i fatti di Palermo, ma anche di Macerata, Como, e così via,  sono solo  il portato di questo vuoto politico. 
La politica, non ammette vuoto,  e la violenza  è uno dei mezzi per colmarlo. Provvisoriamente, s'intende. Perché poi il potere, passata per così dire la bufera , viene comunque raccolto da qualcuno.
E non è detto sia sempre quello giusto. 
Carlo Gambescia