Palermo, pestato un dirigente di Forza Nuova
Violenza e vuoto politico
Violenza e vuoto politico
Quando
inizia (o sta per iniziare) la cosiddetta spirale
della violenza - e il dirigente di Forza Nuova pestato a Palermo ha valore di segnale - si apre subito, per poi dilagare, la discussione mediatico-politica su chi abbia cominciato per primo.
Per quale ragione? Perché l’ attribuzione delle responsabilità ha sempre una ricaduta politica: il
responsabile può essere trasformato in capro espiatorio e quindi in veicolo, per
contrasto, di sempre possibile consenso politico. Ovviamente, la parte “incriminata”, pur non di
perdere voti e simpatie, rovescia le accuse sui suoi avversari o nemici.
E così via. Fino alla creazione
di narrazioni, spesso leggendarie (criminali o meno), tese a favorire la legittimazione
politica, ad uso dei diversi attori politici. Sicché, finché si resta sul piano delle spiegazioni utili a legittimare i politicamente "opposti", non se ne esce. A meno che non si accetti, politicamente, una delle spiegazioni avanzate dagli attori, mostrando un amore sconfinato per il lato retorico della politica, che pure ha la sua importanza, ma come mezzo, non fine. Mai dimenticarlo.
Il
vero problema da indagare, è invece rappresentato dalle matrici sociali della violenza: il perché, improvvisamente,
appaia e
cresca paurosamente il rischio della trasformazione dei voti in pallottole.
Su
questo piano, non va mai dimenticato che l’Italia
ha prima subito una tremenda guerra civile, poi una lunga tradizione di conflitti politici e sociali, implicanti lo scontro fisico, infine un terrorismo, feroce e tribale, la cui
eco non si è ancora spenta. Si può dire che la violenza ha attraversato, non sempre episodicamente, l'intera storia della Prima Repubblica. Quanto alla Seconda Repubblica (per semplificare), va posto
l’accento soprattutto sul linguaggio politico,
distinto da una violenza, nei toni,
superiore a quella in uso nel discorso pubblico della Prima. Sicché le tradizioni, per così dire, di
violenza fisica praticata nella Prima, sono
andate a sommarsi, alla violenza simbolica, evocata a parole nella Seconda. In qualche
misura, la Seconda Repubblica , mostra di evocare una violenza che però, a differenza della Prima, rischia di non saper saggiamente governare.
Qualche esempio? Esasperare
la questione immigrati, favorendo il protagonismo
dei gruppi estremisti, “rossi” e “neri”; dipingere in modo irrealistico la
situazione economica; compiacere il
vittimismo giustizialista delle folle; evocare improbabili tramonti o albe
epocali, ignorando che la vera politica è arte del possibile.
Insomma,
in poche parole, favorire aspettative antipolitiche irrealizzabili, se non a prezzo di violenze
e conseguenti involuzioni autoritarie. E
qui si scorge la differenza di qualità,
soprattutto politiche, tra la classe di governo (in particolare i partiti, due in primis, Dc e Pci) della Prima Repubblica, capacissima di governare la violenza, talvolta cavalcandola, talaltra blandendola, per poi spegnerla (come impone il realismo politico), e quella della Seconda, totalmente
impreparata (o almeno in larga parte) a gestire politicamente una violenza
sociale, evocata, scioccamente, a colpi di magiche parole d'ordine.
Perché? Si è avuto un ricambio quantitativo (come attestano le ricerche), ma
non qualitativo. E come di regola capita, il passaggio dal professionismo politico, di
alto livello, a un professionismo, se non improvvisato, ancora immaturo, ha semplificato e impoverito il linguaggio politico, favorendo, nei fatti, le più stupide e pericolose tematiche dell' antipolitica: siamo dinanzi a una classe politica che sembra remare, e con inspiegabile piacere, contro se stessa. Fino al punto di aprire vuoti
di potere e favorire la formazione di sacche sociali di fittizia protesta, non meno pericolose, fondate sulla presunta mancata risposta a
quelle aspettative sociali, puramente narrative, evocate da una classe politica, come detto,
improvvisata o comunque ancora immatura. E
i fatti di Palermo, ma anche di Macerata, Como, e così via, sono solo
il portato di questo vuoto politico.
La politica, non ammette vuoto, e la violenza è uno dei mezzi per colmarlo. Provvisoriamente, s'intende. Perché poi il potere, passata per così dire la bufera , viene comunque raccolto da qualcuno.
E non è detto sia sempre quello giusto.
E non è detto sia sempre quello giusto.
Carlo Gambescia