Un eroe dei nostri tempi, Lorenzo Pianezza
L’eroismo
non è più di moda da un pezzo. Anzi, diciamo pure che nell’ epoca "della
ribellione delle masse", classicamente tratteggiata da Ortega quasi un secolo fa, l’uomo collettivo teme l’eroismo, perché
rinvia al singolo e a qualità soggettive (di indole) che non si possono
socialmente trasmettere. Di qui rassegnazione, invidia e volpino disprezzo per ciò che non si può avere, dal momento che l’eroismo, contrariamente a quanto ritiene certa vulgata romantica, non si insegna a scuola: c'è o non c'è. Eroi si nasce. Il che spiega, perché oggi, in nome di un collettivismo
bovino di stampo pacifista, elevato a mediocre
religione del nostro tempo, l’eroismo è liquidato come pericoloso. Per cavarcela con la battuta di un celebre comico: "E' tutta invidia!".
A
questo pensavamo, ieri, a proposito del giovane studente milanese, Lorenzo
Pianezza, che senza pensarci un attimo,
ma con grande freddezza, si è incuneato tra i binari della metropolitana,
riuscendo a salvare la vita di un bimbo.
Infatti, che
tipo di reazioni si sono avute? Sul
posto - una banchina della metro -
nessuno si è mosso. A male pena, una persona - forse due - ha allungato le braccia per prendere il bambino e aiutare
il giovane a risalire. Dopo di che, sui
Social, come sempre, ci si è divisi, non sull’eroismo (da
pochi, apprezzato come gesto eroico in sé; dalla maggioranza, definito come un
gesto normale), ma sulle cause: sulla mamma poco attenta, sull’assenza di
guardie giurate, sulla mancanza di sicurezza,
sui pochi investimenti, quindi sulle colpe della classe politica - nessuno rida - che discrimina i bimbi in metropolitana.
Un
inutile bla bla bla collettivo, che non porta da nessuna parte e che normalizza la figura dell’eroe, liquidandola come un epifenomeno
della normalità. O comunque, come qualcosa
- l’attività eroica - a cui l’individuo è costretto quando “lo
stato non funziona”. Pertanto, per cosi
dire, la filosofia sociale del nostro
tempo tende a reputare eroe chi prende la metropolitana tutti i giorni e non chi si lanci contro di essa per salvare un bimbo. Lo stesso Pianezza - si rifletta sulla forza del conformismo sociale - ha definito il suo gesto, non eroico, ma normale...
In
fondo, perché stupirsi? Siamo o non siamo, per tornare al grande Ortega,
nell’epoca "della ribellione delle masse"? E le masse in fondo non amano gli eroi. O meglio, non apprezzano chiunque, nella passività collettiva quotidiana, mostri improvvisamente tali qualità,
rischiando la vita e sottolineando, ecco il punto, l'altrui "inerzialità". O se si vuole, mediocrità.
Come
si spiega allora che le “masse” tendono invece a deificare i personaggi famosi? Addirittura, come mostra la storia del
Novecento, capi politici che non nascondono la propria temerarietà? Fin
quando l’eroe, o chi si atteggi tale, non
impone il sacrificio altrui della vita, l’eroismo resta o socialmente neutro o fonte di ricreazione sociale. Appena però il capo impone il sacrificio collettivo, dal momento che l’eroismo
non si può insegnare a scuola, la
massa si ritrae, perché l’eroismo, come abbiamo detto, è dote individuale. Il che spiega la stabile ammirazione per le cosiddette élite senza potere (cantanti, attori, conduttori, giornalisti, divulgatori eccetera) che a masse in cerca di capi non impongono sacrifici umani. Il sognare, per così dire, è la virtù dei molti, il fare dei pochi.
Insomma, le società eroiche sono le aristocratiche società di individui, di pochi individui: si pensi, solo per fare qualche esempio al mondo dell’Iliade, alla società cavalleresca e alle Crociate, all’universo delle navi da corsa, al cosmo degli esploratori, inventori e dei primi capitani d’industria, la "cavalleria economica", come la definì l'economista Marshall.
Il che, e concludiamo, dovrebbe far riflettere sulla natura individualistica che si tende ad attribuire, con grande superficialità euristica, alle nostre società. Che tutto sono, come abbiamo cercato di spiegare, eccetto che individualistiche.
Insomma, le società eroiche sono le aristocratiche società di individui, di pochi individui: si pensi, solo per fare qualche esempio al mondo dell’Iliade, alla società cavalleresca e alle Crociate, all’universo delle navi da corsa, al cosmo degli esploratori, inventori e dei primi capitani d’industria, la "cavalleria economica", come la definì l'economista Marshall.
Il che, e concludiamo, dovrebbe far riflettere sulla natura individualistica che si tende ad attribuire, con grande superficialità euristica, alle nostre società. Che tutto sono, come abbiamo cercato di spiegare, eccetto che individualistiche.
Carlo Gambescia
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