Il Festival di Sanremo?
Un enigma racchiuso in un mistero
Il
Festival di Sanremo non è mai stato lo “specchio fedele” dell’Italia, come dicono, compiaciuti, i professori di televisione. Sanremo è una rappresentazione dell’Italia, di come la si immagina, di come la si vorrebbe: un dover essere che rispecchia i discontinui misteri della pedagogia politica. Dal democristianismo
di Pippo Baudo e Mike al buonismo, intinto in salsa grillina-liberieuguali
di Baglioni e Favino. Solo Berlusconi, il più politicamente ingenuo di tutti, si mise nelle mani di quel simpaticissimo cazzaro di Tony Renis.
Insomma, la musica non conta. Tutti, dal cantante sfigato all’impegnato, vogliono successo e quattrini. Persino i compagni dello “Stato sociale” (con
tanto di blog sul “Fatto Quotidiano”). Nulla di male, per carità, è il business musicale. Iniziò nell’Ottocento con l'Opera. Insomma, pure Rossini, Verdi e Puccini tenevano famiglia.
E gli
italiani? In milioni, guardano,
commentano, discutono, cambiano canale, si divertono, si annoiano. Insomma, vivono. In
realtà però, nessuno sa cosa frulli nelle loro teste. L’Italia va avanti da sola. Con o
senza Sanremo. E come? Lo Stivale, forse, è la prova vivente dell’esistenza della mano
invisibile, non proprio quella teorizzata da Adam Smith, ma qualcosa che
permette al birraio e al macellaio di
vivere a spese dello stato.
Quindi
inutili scervellarsi sul significato sociologico di Sanremo. Di più: rompersi il capo per capire gli
italiani. Il che è amaro per chiunque
studi sociologia. Parafrasando
ciò che disse Churchill, a proposito del comunismo, l’Italia, citiamo a
memoria, è un enigma racchiuso in un mistero.
Carlo Gambescia