domenica 11 febbraio 2018

Il Festival di Sanremo?
Un enigma racchiuso in un mistero



Il Festival di Sanremo non è mai stato lo “specchio fedele” dell’Italia, come  dicono, compiaciuti, i professori di televisione.  Sanremo è una rappresentazione dell’Italia, di come la si immagina, di come la si vorrebbe: un dover essere che rispecchia i discontinui misteri della pedagogia politica. Dal democristianismo di Pippo Baudo  e Mike al  buonismo, intinto in salsa grillina-liberieuguali  di Baglioni e Favino. Solo Berlusconi, il più politicamente ingenuo di tutti,  si mise nelle mani di quel simpaticissimo cazzaro di Tony Renis.        
Insomma, la  musica non conta. Tutti, dal cantante  sfigato all’impegnato,   vogliono successo e quattrini.  Persino i compagni dello “Stato sociale” (con tanto  di blog sul “Fatto Quotidiano”).   Nulla di  male, per carità,  è il business musicale.   Iniziò  nell’Ottocento con l'Opera. Insomma, pure Rossini, Verdi e Puccini  tenevano  famiglia.       
E gli italiani?  In milioni, guardano, commentano, discutono, cambiano canale, si divertono, si annoiano.  Insomma,  vivono.   In realtà però,  nessuno sa  cosa  frulli nelle loro teste.  L’Italia va avanti da sola.  Con o senza Sanremo.  E come? Lo Stivale,  forse,   è la prova vivente dell’esistenza della mano invisibile, non proprio quella teorizzata da Adam Smith, ma qualcosa che permette al birraio e al macellaio  di vivere a spese dello stato.       
Quindi inutili scervellarsi sul significato sociologico di Sanremo.  Di più: rompersi il capo per capire gli italiani.  Il che è amaro per chiunque studi sociologia.  Parafrasando ciò che disse Churchill, a proposito del comunismo, l’Italia, citiamo a memoria, è un enigma racchiuso in un mistero. 

Carlo Gambescia