Il tumore di Nadia Toffa
Un po’ di ottimismo non guasta mai…
Francamente
il giornalismo tipo Iene non è nelle nostre corde. E’ superficiale, antipolitico e complottista: una replica, sul piano televisivo, oggi potenziato
dall'effetto moltiplicatore dei Social, dell’esperienza
storica del giornalismo giallo americano, scandalistico. Nulla di nuovo all’orizzonte. Anche
se, ripetiamo, la differenza, riguarda la potenza riproduttiva del mix
web+tv, legata allo zoccolo durissimo
della credulità collettiva, che non è cambiata dai tempi di William Randolph Hearst, il padre del giornalismo giallo.
Alla
luce di quanto detto, come interpretare le dichiarazioni di Nadia Toffa, inviata di punta delle Iene? Che a telecamere accese ha annunciato di avere sconfitto il cancro in due mesi? (*)
Un
cancro, come ben sanno medici e pazienti non si sconfigge in due mesi. Magari. Quindi siamo dinanzi a una semplificazione in stile Iene. La
Toffa , inoltre, aggiunge che le uniche cure che contano
contro il cancro sono chemioterapia e radio, oltre che, come si evince, terapia chirurgica e medicina preventiva. Un' asserzione che dal punto di vista della medicina istituzionalizzata non fa una piega, ma che
in qualche misura contrasta - agli occhi però di chi non conosca la forza di gravità sociale - con il tipo di giornalismo, anti-istituzionale
praticato dalle Iene.
Astraendo
dagli aspetti cospirativi (perché queste dichiarazioni? ha avuto veramente il
cancro? è pagata da medici e industrie
farmaceutiche?) quale può essere - considerato anche il seguito del programma - l’effetto di ricaduta sociologica delle dichiarazioni di Nadia Toffa?
Sicuramente,
in questo caso, si tratta di una
superficialità positiva: si trasmette un messaggio ottimista, che non guasta,
fa morale, e soprattutto, si mettono in guardia le persone (famiglie e
pazienti) dalle cosiddette cure alternative.
Mettere in guardia, ovviamente non significa vietare. Resta il fatto che
nessun medico o istituzione obbliga il paziente oncologico a curarsi secondo "i protocolli". Certo, esiste, una pressione sociale al comportamento istituzionalizzato, proprio alcuni giorni fa scrivevamo della società di massa e del rischio del conformismo
individuale. Anche se, in ultima istanza,
il macigno della decisione resta sulle spalle del singolo, che dovrà scegliere se e come curarsi. Insomma, cosa fare della
propria vita.
Molti, tuttavia, lasciandosi fare per così dire dolce violenza, preferiscono “scaricare” la libertà delle proprie decisioni sugli altri, o
meglio sull’altro istituzionalizzato, sia si tratti di adesione o rifiuto (il capitalismo, "il grande vecchio", il comunismo, la democrazia, il potere, ritenuto salvifico o meno, di questa e di quella istituzione, eccetera, eccetera). Si chiama "neutralizzazione sociale", allevia il peso della scelta e aiuta a vivere meglio. Ed è qualcosa che prescinde dal regime politico o storico, qualcosa che si potrebbe avvicinare alla forza di gravità sociale delle istituzioni: si può essere pro o contro, ma si deve far parte a prescindere, di un qualche gruppo (istituzionale, o in via di istituzionalizzazione, dal momento che il destino inevitabile di ogni movimento, se non vuole sparire, è quello di trasformarsi in istituzione). Se ci si passa la battuta: "Più siamo (a dir la stessa cosa), meglio stiamo", perché il gruppo istituzionalizzato, garantisce un percorso protetto (regolare, ripetitivo, prevedibile), anche a un gruppo di rivoluzionari. Ad esempio Lenin, il rivoluzionario per eccellenza, conosceva benissimo i segreti forza di gravità sociale. E ne fece uso. Pessimo secondo alcuni.
Ovviamente, l'ambito non è quello fisico, quindi non è un principio valido in assoluto. Resta il fatto però, che in linea pratica - sociologica se si vuole - l'esonero dalla scelta è l'opzione sociale, per così dire, di gran lunga preferita. Più la decisione è importante più l'individuo cerca l'esonero, conformandosi a un qualche "percorso istituzionale" (pro o contro). Anche quando crede di criticare le istituzioni vigenti e anche dove la "neutralizzazione" resta più difficile se non impossibile. Infatti, la malattia, un poco come la morte, riguarda l’individuo. Che si trova da solo a decidere. E non potrebbe non essere così, perché si muore sempre in solitudine (muoio "io", non "tu").
Come si vede la realtà - quella dell’individuo che deve decidere, eccetera, eccetera - è complicata: l'esonero istituzionale con una mano dà con l'altra toglie. Del resto, non tutti riescono a reggere il carico da soli, probabilmente la maggioranza delle persone. L'uomo, alla fin fine, è un animale politico, dunque istituzionalizzato, perciò a tendenza conformista, proprio per difendersi dalla doppia morsa del caso e della necessità. Sicché, per farla breve, gli uomini passano le istituzioni restano: il progressista diventa conservatore, poi di nuovo progressista; il giornalista anti-istituzionale, istituzionale, poi anti-istituzionale, e così via. Sono tutte forme di "esonero": perfino chi si professi anti-istituzionale, è costretto a istituzionalizzarsi, per essere tale, pena l'invisibilità. La libertà è vista come un peso, e in fondo è per pochi, mentre lo spirito gregario, o comunque il comportamento iterativo, prevedibile e rassicurante, delle istituzioni, attrae molti, quasi in modo naturale.
Ovviamente, l'ambito non è quello fisico, quindi non è un principio valido in assoluto. Resta il fatto però, che in linea pratica - sociologica se si vuole - l'esonero dalla scelta è l'opzione sociale, per così dire, di gran lunga preferita. Più la decisione è importante più l'individuo cerca l'esonero, conformandosi a un qualche "percorso istituzionale" (pro o contro). Anche quando crede di criticare le istituzioni vigenti e anche dove la "neutralizzazione" resta più difficile se non impossibile. Infatti, la malattia, un poco come la morte, riguarda l’individuo. Che si trova da solo a decidere. E non potrebbe non essere così, perché si muore sempre in solitudine (muoio "io", non "tu").
Come si vede la realtà - quella dell’individuo che deve decidere, eccetera, eccetera - è complicata: l'esonero istituzionale con una mano dà con l'altra toglie. Del resto, non tutti riescono a reggere il carico da soli, probabilmente la maggioranza delle persone. L'uomo, alla fin fine, è un animale politico, dunque istituzionalizzato, perciò a tendenza conformista, proprio per difendersi dalla doppia morsa del caso e della necessità. Sicché, per farla breve, gli uomini passano le istituzioni restano: il progressista diventa conservatore, poi di nuovo progressista; il giornalista anti-istituzionale, istituzionale, poi anti-istituzionale, e così via. Sono tutte forme di "esonero": perfino chi si professi anti-istituzionale, è costretto a istituzionalizzarsi, per essere tale, pena l'invisibilità. La libertà è vista come un peso, e in fondo è per pochi, mentre lo spirito gregario, o comunque il comportamento iterativo, prevedibile e rassicurante, delle istituzioni, attrae molti, quasi in modo naturale.
Di
qui la necessità di un "aiutino", magari anche dal Vip, con il suo carisma sociale. E senza fare troppe elucubrazioni sul perché individuale, ricadendo nel classico errore di chi privilegia il dito che indica, rispetto alla Luna. Anche il Vip è un essere sociale, stretto tra caso e necessità. Perciò ben vengano, in un mondo
secolarizzato, gli
appelli, benché superficiali, di Nadia Toffa. Non guariscono
ma aiutano a sopportare le cure.
Semplificando: un po’ di ottimismo non guasta mai. E' l'ultima "religione" del nostro tempo.
Semplificando: un po’ di ottimismo non guasta mai. E' l'ultima "religione" del nostro tempo.
Carlo Gambescia