sabato 17 febbraio 2018

Il tumore di Nadia Toffa
Un po’ di ottimismo non guasta mai…



Francamente il giornalismo tipo Iene non è nelle nostre corde. E’ superficiale, antipolitico e complottista:   una replica,  sul piano televisivo, oggi potenziato dall'effetto moltiplicatore dei Social,   dell’esperienza storica del giornalismo giallo americano, scandalistico.  Nulla di nuovo all’orizzonte. Anche se, ripetiamo, la differenza, riguarda la potenza riproduttiva del mix web+tv,  legata allo zoccolo durissimo della credulità collettiva, che non è cambiata dai tempi di William Randolph Hearst,  il padre del  giornalismo giallo.
Alla luce di quanto detto, come interpretare le dichiarazioni di Nadia Toffa, inviata di punta delle  Iene? Che a telecamere accese  ha annunciato  di avere sconfitto il cancro in due mesi? (*)
Un cancro, come ben sanno medici e pazienti non si sconfigge in due mesi. Magari. Quindi siamo dinanzi  a una semplificazione in stile Iene.  La Toffa,  inoltre,  aggiunge  che le uniche cure che contano contro il cancro sono  chemioterapia e  radio, oltre che, come si evince, terapia chirurgica e  medicina preventiva. Un' asserzione che dal punto di vista della medicina  istituzionalizzata non fa una piega, ma che in qualche misura contrasta -  agli occhi però di chi non conosca la forza di gravità sociale -  con il tipo di giornalismo, anti-istituzionale praticato dalle Iene.  
Astraendo dagli aspetti cospirativi (perché queste dichiarazioni? ha avuto veramente il cancro?  è pagata da medici e industrie farmaceutiche?)  quale può essere -  considerato anche il seguito del programma -  l’effetto di ricaduta sociologica delle dichiarazioni di Nadia Toffa?
Sicuramente, in questo caso,  si tratta di una superficialità positiva: si trasmette un messaggio ottimista, che non guasta, fa morale,  e soprattutto,  si mettono in guardia le persone (famiglie e pazienti) dalle cosiddette cure alternative.  Mettere in guardia, ovviamente non significa vietare. Resta il fatto che nessun medico o istituzione obbliga il paziente oncologico a curarsi secondo "i protocolli". Certo, esiste, una pressione sociale al comportamento istituzionalizzato,  proprio alcuni giorni fa scrivevamo della società di massa  e del rischio del conformismo individuale.  Anche se,  in ultima istanza, il macigno della decisione resta sulle spalle del singolo, che dovrà  scegliere se e come curarsi. Insomma, cosa fare della propria vita.
Molti, tuttavia,  lasciandosi fare per così dire dolce violenza,  preferiscono “scaricare” la libertà delle proprie decisioni sugli altri, o meglio sull’altro istituzionalizzato, sia si tratti  di adesione o rifiuto (il capitalismo, "il grande vecchio", il comunismo, la democrazia,  il potere, ritenuto  salvifico o meno, di questa e di quella istituzione, eccetera, eccetera).  Si chiama "neutralizzazione sociale", allevia il peso della scelta e aiuta a vivere meglio. Ed è qualcosa  che prescinde dal regime politico o storico, qualcosa che si potrebbe avvicinare alla forza di gravità sociale delle istituzioni: si può  essere pro o contro,  ma si deve far  parte a prescindere, di un qualche gruppo (istituzionale, o in via di istituzionalizzazione, dal momento che il destino inevitabile di ogni movimento, se non vuole sparire, è quello di trasformarsi in istituzione).   Se ci si passa la battuta: "Più siamo (a dir la stessa cosa), meglio stiamo", perché il gruppo istituzionalizzato, garantisce un percorso protetto (regolare, ripetitivo, prevedibile), anche a un gruppo di rivoluzionari. Ad esempio Lenin, il rivoluzionario per eccellenza, conosceva benissimo i segreti forza di gravità sociale. E ne fece uso. Pessimo secondo alcuni.
Ovviamente, l'ambito non è quello fisico, quindi  non è un principio valido in assoluto. Resta il fatto però, che in linea pratica - sociologica se si vuole - l'esonero dalla scelta è l'opzione sociale, per così dire, di gran lunga preferita.   Più la decisione è importante più l'individuo cerca l'esonero, conformandosi a un qualche "percorso istituzionale" (pro o contro).   Anche quando crede di criticare le istituzioni vigenti e   anche  dove la  "neutralizzazione" resta più difficile se non impossibile.  Infatti,  la malattia, un poco come la morte,  riguarda l’individuo. Che si trova da solo a decidere. E non potrebbe non essere così, perché si muore sempre in solitudine (muoio "io", non "tu").
Come si vede la realtà -  quella dell’individuo che deve decidere, eccetera, eccetera -    è complicata: l'esonero istituzionale con  una mano dà con l'altra toglie.  Del resto, non tutti riescono  a reggere il carico da soli,  probabilmente la maggioranza delle persone.  L'uomo, alla fin fine, è un animale politico, dunque istituzionalizzato, perciò a tendenza conformista, proprio per difendersi dalla doppia morsa del caso e della necessità. Sicché, per farla breve, gli uomini passano le istituzioni restano:  il progressista diventa conservatore, poi di nuovo progressista; il giornalista anti-istituzionale, istituzionale, poi anti-istituzionale, e così via. Sono tutte forme di "esonero": perfino chi si professi anti-istituzionale, è costretto a istituzionalizzarsi,  per essere tale, pena l'invisibilità.  La libertà è vista come un peso, e in fondo è per pochi,  mentre  lo spirito gregario, o comunque il comportamento iterativo, prevedibile e rassicurante, delle istituzioni,  attrae molti, quasi in modo naturale.   
Di qui la necessità di un "aiutino", magari anche dal Vip, con il suo carisma sociale. E senza fare troppe elucubrazioni sul perché individuale,  ricadendo nel classico errore di chi privilegia il dito che indica, rispetto alla Luna. Anche il Vip è un essere sociale, stretto tra caso e necessità.  Perciò ben vengano, in un mondo secolarizzato,  gli appelli, benché superficiali, di Nadia Toffa.  Non guariscono ma aiutano a sopportare le cure.
Semplificando:  un po’ di ottimismo non guasta mai. E' l'ultima "religione" del nostro tempo. 

Carlo Gambescia