venerdì 28 aprile 2017

Un quasi elogio di Massimo Carminati
Roma continua a far la stupida 



I ventotto anni chiesti dal Pm per  Carminati,   i ventisei per Buzzi e  le   pene non meno severe per gli altri imputati, sembrano molto pesanti:  tanti anni, forse troppi.  Vedremo,  cosa deciderà il giudice.
Ma non è questo il lato interessante della questione. La vicenda, anzi la rappresentazione politico-mediatica  di  “mafia capitale”  con le immagini di Carminati che saluta romanamente, in perfetta solitudine, da un auletta del carcere dove è rinchiuso, roba da ultimo giapponese perdutosi nella giungla,  è distonica rispetto a una certa  Roma voltagabbana,  che oggi si improvvisa,  moralista, giustizialista e grillina.   Di più: in contrasto  con le  diverse “Rome”  che si sono avvicendate nel Novecento.  E che, di volta in volta,  hanno continuato a fare le stupide, per  dirla con la famosa canzonetta.  Un camaleontismo che non fa rima con moralismo (oppure sì...), che   meriterebbe un libro in chiave di sociologia del costume politico.  Soprattutto dopo l’avvento del cinema e della televisione.
Si pensi ai Cinegiornali  Luce:  Roma sommersa da un mare in orbace,  saluti romani a volontà, vincere e vinceremo, credere, obbedire, combattere. Il tutto,  ovviamente,  pianificato dall’alto, dallo stato totalitario. Roma in camicia nera.  
In realtà, i  romani non erano tutti fascisti, come ci si proponeva ai piani alti,  per la gioia del duce. Cosa del resto  provata dai successivi filmati sull’ingresso  degli Alleati, dove i romani,  tutti contenti, - e giustamente - ballavano al suono delle cornamuse e del boogie-woogie. Roma liberata e antifascista.
Anche allora i romani applaudivano, ma non erano tutti filo-americani. Eppure, impressionano ancora le immagini del  linciaggio del direttore fascista del carcere di Regina Cieli.  Come le immagini del glaciale silenzio intorno al recupero dei corpi degli antifascisti -  alcuni senza sapere neppure di esserlo -   massacrati dai nazisti  alle Fosse Ardeatine.  Roma Mater dolorosa
E cosa pensare dei cinegiornali  sulla Roma degli anni  Cinquanta e Sessanta? Una città  che cresceva, per la sinistra troppo. Piena  di romani  tutti motorizzati,  o comunque a passeggio,  bar,  tavolini, ristoranti,  granite di caffè con la panna,  tanti bambini intorno;  i romani  sembravano aver vinto alla lotteria,  tutti gaudenti.  Ergo, tutti democristiani. Roma del benessere ritrovato.
E apprezzato? No, perché, negli anni Settanta, i romani  votarono compatti per il partito comunista. Ma di quale comunismo si trattava?   Quello dell’assessore alla cultura  Nicolini.  I romani dissero  basta  al terrorismo,  alla Roma dei "morti ammazzati"  e della  “sana guerriglia urbana". Rinacque una città nuova e antica al tempo stesso.  Roma dell'effimero.  
Dopo Nicolini, i romani vollero  continuare  a divertirsi con Veltroni, però “a modino”,  senza esagerare, al massimo andando a tutta velocità sulle  piste ciclabili.    Roma politicamente corretta.
Veltroni forever? No,  perché poi i romani  votarono in massa per Alemanno: si rimpiangeva l’ordine mussoliniano.  Tutti di nuovo fascisti?   No, perché, al grido  di una parola nuova per Roma (onestà), almeno secondo alcuni,  oggi,  mentre scriviamo, i romani  votano compatti Grillo. Roma a Cinque Stelle.
Carrellata veloce, che però non spiega il saluto romano di Carminati.  Oppure sì. Spiega, spiega. Perché l’esponente dei Nuclei Armati Rivoluzionari, non è romano, è nato a Milano. La geografia, anche se frutto del caso,  talvolta aiuta a decifrare la storia (personale).  E, a Carminati, al di là delle idee stralunatissime,  solo per la lezione di coerenza,  dimezzeremmo la pena… Un quasi elogio il nostro? Diciamo un elogio della follia (non nel senso erasmiano però).  E  i romani?  Ci penserà Grillo. Oppure no? Boh…

Carlo Gambescia