Un quasi elogio di Massimo Carminati
Roma continua a far la stupida
I
ventotto anni chiesti dal Pm per Carminati,
i ventisei per Buzzi e le pene non meno severe per gli altri imputati,
sembrano molto pesanti: tanti anni,
forse troppi. Vedremo, cosa deciderà il giudice.
Ma
non è questo il lato interessante della questione. La vicenda, anzi la rappresentazione politico-mediatica di “mafia
capitale” con le immagini di Carminati
che saluta romanamente, in perfetta solitudine, da un auletta del carcere dove
è rinchiuso, roba da ultimo giapponese perdutosi nella
giungla, è distonica rispetto a una
certa Roma voltagabbana, che oggi si improvvisa, moralista, giustizialista e grillina. Di più: in contrasto con le diverse “Rome” che si sono avvicendate nel Novecento. E che, di volta in volta, hanno continuato a fare le stupide, per dirla con la famosa canzonetta. Un camaleontismo che non fa rima con moralismo (oppure sì...), che meriterebbe un libro in chiave di sociologia del
costume politico. Soprattutto dopo
l’avvento del cinema e della televisione.
Si
pensi ai Cinegiornali Luce: Roma sommersa da un mare in orbace, saluti romani a volontà, vincere e vinceremo, credere, obbedire, combattere. Il tutto, ovviamente, pianificato dall’alto, dallo stato
totalitario. Roma in camicia nera.
In
realtà, i romani non erano tutti
fascisti, come ci si proponeva ai piani alti, per la gioia del duce. Cosa del resto provata dai successivi filmati sull’ingresso degli Alleati, dove i romani, tutti
contenti, - e giustamente - ballavano al
suono delle cornamuse e del boogie-woogie. Roma liberata e antifascista.
Anche allora i romani applaudivano, ma non erano tutti filo-americani. Eppure, impressionano
ancora le immagini del linciaggio del
direttore fascista del carcere di Regina Cieli.
Come le immagini del glaciale silenzio intorno al recupero dei corpi degli
antifascisti - alcuni senza sapere neppure di esserlo - massacrati dai nazisti alle Fosse Ardeatine. Roma Mater dolorosa.
E
cosa pensare dei cinegiornali sulla Roma
degli anni Cinquanta e Sessanta? Una
città che cresceva, per la sinistra
troppo. Piena di romani tutti motorizzati, o comunque a passeggio, bar, tavolini, ristoranti, granite di caffè con la panna, tanti bambini
intorno; i romani sembravano aver vinto alla lotteria, tutti gaudenti. Ergo, tutti democristiani. Roma del benessere ritrovato.
E
apprezzato? No, perché, negli anni Settanta, i romani votarono compatti per il partito comunista. Ma
di quale comunismo si trattava? Quello dell’assessore alla cultura Nicolini. I romani dissero basta al terrorismo, alla Roma dei "morti ammazzati" e della “sana guerriglia urbana". Rinacque una città nuova e antica al tempo stesso. Roma dell'effimero.
Dopo Nicolini, i romani vollero continuare a divertirsi con Veltroni, però “a modino”, senza esagerare, al massimo andando a tutta velocità sulle piste ciclabili. Roma
politicamente corretta.
Veltroni
forever? No, perché poi i romani votarono
in massa per Alemanno: si rimpiangeva l’ordine mussoliniano. Tutti di nuovo fascisti? No, perché, al grido di una
parola nuova per Roma (onestà), almeno secondo alcuni, oggi, mentre scriviamo, i romani votano compatti Grillo. Roma
a Cinque Stelle.
Carrellata
veloce, che però non spiega il saluto romano di Carminati. Oppure sì. Spiega, spiega. Perché l’esponente
dei Nuclei Armati Rivoluzionari, non è romano, è nato a Milano. La geografia, anche se frutto del caso, talvolta aiuta a decifrare la storia (personale). E, a Carminati, al di là
delle idee stralunatissime, solo per la lezione di coerenza, dimezzeremmo la pena… Un quasi elogio il nostro? Diciamo un elogio
della follia (non nel senso erasmiano però). E i romani? Ci penserà Grillo. Oppure no? Boh…
Carlo Gambescia