lunedì 17 aprile 2017

Referendum in Turchia, vince Erdogan di misura
Dopo di lui,  il diluvio?





Sul referendum turco il massimo della stupidità mediatica  è rappresentato da quei  titoli,  dove con stupore,  si parla di una Turchia  divisa  sul 51 per cento di Sì alla riforma Erdogan. Insomma,  come di un evento inaspettato.
Di regola, i  referendum sono "divisivi" (51 per cento) o plebiscitari (100 per cento dei voti): si chiama democrazia diretta. Molto amata dai dittatori, o aspiranti tali, perché se  perdono, ricorrono alla forza, se vincono, si beano del consenso del  popolo bue.  I referendum sono l'extrema ratio della democrazia.  Spesso la nemesi.  Cautela, quindi.  E soprattutto, ripetiamo, non è il caso di stupirsi.
In effetti, il "presidenzialismo", approvato ieri, conferisce a Erdogan ( nonché a chi gli succederà, attenzione)  poteri quasi assoluti.  Però il vero problema -  la costante della politica turca  sfuggita a molti osservatori occidentali -  è costituito dal totale ridimensionamento del ruolo dei militari. Un processo concretizzatosi in particolare nel referendum del 2010 (dove, per la cronaca,  i Sì furono  il 58 per cento): voto che ridusse, fino a renderli puramente formali, i poteri del Consiglio di Sicurezza Nazionale.  Un' istituzione, concepita  da Mustafa Kemal ( per tutti Atatürk, ossia  "Padre dei Turchi"), attraverso la quale i militari, quando necessario,  potevano intervenire in difesa  della laicità dello stato: il lascito politico di Atatürk, vero rivoluzionario, certamente nazionalista (quindi con dei limiti, eccetera), ma  grande modernizzatore della società turca.   
Pertanto, la vera svolta risale al 2010. E con il voto di ieri Erdogan  rimane l’unico uomo al comando. Dopo di lui?  Ecco il punto.  Il diluvio?  Islamista?

Carlo Gambescia