Micro-terrorismo
agli Champs-Élysées
Two è sempre meglio che three
“Non
finisce mai”. Ecco la reazione di Trump, in compagnia di Gentiloni, all'arrivo di cattive nuove da Parigi (*). Purtroppo,
il rischio c’è. Ed è quello del micro-terrorismo,
difficile da controllare ed evitare: piccoli nuclei, armati sommariamente, lupi solitari alla guida di grossi autoveicoli,
individui che brandiscono coltellacci. Ieri sera, sembra che agli Champs-Élysées i terroristi fossero due.
L’Italia
finora, a differenza della Francia e di altri paesi, non ha ancora subito attacchi micro o macro. Il che però non significa che sia fuori pericolo. Purtroppo, sembra, che a
prescindere dalla distruzione politica e militare dell' Isis, si vada
delineando anche in Europa, lo scenario israeliano
dello stato d’assedio permanente ( o quasi). Detto altrimenti: del vivere, fin nel
quotidiano, il più minuto, la devastante esperienza
dell’ improvviso micro-attacco
terroristico.
Esiste una soluzione? Sociologicamente - non è un gran scoperta - la paura porta paura e ispira le politiche
dell’angoscia, ossia quel pretendere di
combattere con mezzi limitati,
soprattutto in una società libera,
qualcosa che cresce in misura illimitata come la paura diffusa, esito di una crescente angoscia collettiva, forzosamente basata sullo
stereotipo del nemico occulto, pronto a essere trasformato in capro espiatorio collettivo. E non c’è nulla di peggio di una politica che
si proponga di assecondare, come nel
caso dei movimenti populisti e xenofobi,
le paure collettive.
Come è
altrettanto pericoloso, sul piano politico, far finta di nulla e ridurre il micro e il macro terrorismo a questione
psichiatrica e criminale, a puro problema di ordine pubblico,
atteggiamento che in qualche misura,
rappresenta la versione fisiologica,
normalizzata, a sinistra, della politica della paura, patologica, praticata, a destra, dai movimenti
populisti.
Come
si può capire si tratta di un problema di non facile soluzione, perché sono in conflitto, sotto l’aspetto
organizzativo, due logiche: a) quella della repressione, che nelle società liberali,
incontra limiti, che però a breve
può funzionare, accettando di
vivere, come dire “all’israeliana", in attesa che la tormenta prima o poi passi da sola (cosa molto difficile); b) quella della secolarizzazione, nel senso di
un laicizzazione culturale, che però presuppone un’integrazione economica e sociale
riuscita, dell’Islam europeo: un processo di socializzazione dai tempi più lunghi,
e che può anche non funzionare.
Questa
discrasia tra tempi repressivi (brevi) e tempi secolarizzanti (lunghi), rischia
di complicarsi ancora di più nell’ assenza
di un freno ai processi migratori, la cui temporalità è più che breve, diremmo
brevissima, verso l’Europa: politiche dell'accoglienza indiscriminata, da alcune parti politiche addirittura incoraggiate,
senza alcuna considerazione, tra l’altro, delle inevitabili e pericolose reazioni xenofobe, sul
piano collettivo. Ci spieghiamo
meglio: il tentativo di far coincidere temporalmente tre variabili dai tempi differenti - della repressione (brevi), della
secolarizzazione (lunghi) e dell’
accoglienza (brevissimi) - rischia di provocare
un corto circuito politico e sociale dalle proporzioni gigantesche e favorire l'ascesa vittoriosa dei movimenti populisti e xenofobi.
Occorre perciò fare un scelta. E qui torniamo a Trump, alla sua impazienza, e soprattutto all’ingenuo (?) tentativo di Gentiloni di “scaricare” sugli
Stati Uniti la questione libica, respinto dal presidente americano (come del
resto in precedenza da Obama). La questione libica imporrebbe invece - la scelta cui abbiamo accennato
- un
impegno militare italiano ed europeo per riportare l’ordine e monitorare, sulla
base delle tempistiche ricordate, i flussi migratori verso l’ Italia e l’Europa.
E quindi, isolare la variabile dei tempi
brevissimi (dell’accoglienza).
Ovviamente
rimarrebbe il coordinamento delle due variabili dei tempi brevi (della repressione) e dei tempi
lunghi (della secolarizzazione). Impresa non facile, ma sicuramente più
gestibile (più secolarizzazione meno repressione) se non sottoposta (soprattutto il fattore secolarizzazione) a una crescente pressione immigratoria.
In fondo, se ci si perdona la caduta di stile, two è sempre meglio che three...
Carlo Gambescia