La riflessione
Italia, un paese arretrato? Magari...
Oggi usiamo l’ascia intellettuale. Non si potrebbe, perché si rischia di semplificare troppo le cose. Perciò chiediamo scusa in anticipo al lettore. Veniamo subito al punto.
A prima la vista, la
narrazione - per usare un termine in voga - del’Italia "paese arretrato", può essere pericolosa, e per
due ragioni. La prima, cognitiva, perché rimanda a un’idea di frattura, di separatezza temporale, fra un prima e un
dopo. La seconda, ideologica, perché l’idea di frattura può essere usata in chiave politica per "penalizzare" gli “arretrati”, liquidati come "prigionieri" del prima, e "premiare" invece coloro che sono ritenuti al passo con i
tempi, gli uomini "liberi" del dopo.
E chi stabilisce ciò che viene prima e ciò che viene dopo? Ciò che ha più valore, insomma? Difficile fissare il confine una volta per tutte. Il discrimine viene fissato sempre in relazione ai valori condivisi. Accontentiamoci però di un fatto, certo. Che il concetto di arretratezza è ideologicamente polivalente e che, cosa importante, indica, sorvolando sui contenuti storici, il possesso collettivo di una certa dose di creatività sociale. Perciò, benché pericoloso dal punto di vista cognitivo e ideologico, può però essere utile dal punto di vista sociale e politico. Indica, che esiste, in controtendenza, un progetto teso a contrastare l'arretratezza, o comunque sia, almeno due idee di una data realtà storica. Se si vuole, per buttarla sullo spaghetti western, una ragione per vivere e una per morire. Socialmente s'intende.
Facciamo ora alcuni esempi dal punto di vista politico, per illustrare le differenti interpretazioni dell’arretratezza italiana che si sono
susseguite sull'onda delle rispettive narrazioni "temporalmente" dominanti. Detto altrimenti: sulla scia di quel "politicamente corretto", caratteristico di ogni tempo. L’Italia uscita dal Risorgimento, secondo la narrazione liberale, era unita, sovrana e parlamentare, quindi avanti politicamente, rispetto all’Italia pre-unitaria, divisa in piccoli regni autocratici e bizzosi; il fascismo, a sua volta, secondo la narrazione in camicia nera, proprio perché fondato sul
partito unico (come si strombazzava), era invece politicamente avanti rispetto all’Italia liberale, divisa in
inutili e corrotti partiti, popolati di chiacchieroni; per contro, l’Italia repubblicana, secondo la
narrazione catto-comunista, era avanti politicamente rispetto all’Italia fascista, perché "finalmente" tornata alla libertà e al pluralismo
partitico, però incorrotto e dalla parte
del popolo e non dei gerarchi fascisti, dei notabili liberali e dei nobili reazionari .
La
narrazione liberale era contro il legittimismo degli aristocratici; la narrazione
fascista, anti-liberale e anti-legittimista; la narrazione catto-comunista andava contro quella fascista, liberale e legittimista.
Cosa dire? Che esisteva comunque, distorta o meno, una qualche idea dell'Italia. Se si vuole, come anticipavamo, un progetto rispetto al prima e al dopo. E
oggi? Chi è arretrato? Chi no? Boh!
Ci spieghiamo meglio. Il pericolo legittimista, almeno così pare, non è più alle porte, quindi silenzio. Del liberalismo si è
persa traccia, o comunque, come si sente ripetere, è roba difficile, da professori e cittadini informati, impone troppo senso di responsabilità individuale; il
fascismo è ridotto a quella macchietta da circo che prometteva di essere; il catto-comunismo a teoria e pratica
dello stato assistenziale e dell'individualismo protetto.
Insomma, non c’è un prima. E neppure un dopo. L’Italia non si interroga più, nel bene come nel male. Vive alla giornata, immersa nel presente senza fine: una condizione letargica, dove però si sogna il reddito di cittadinanza. Di vivere a sbafo, insomma. Fuori dalla storia, fuori dall’Europa, fuori dal mondo.
Insomma, non c’è un prima. E neppure un dopo. L’Italia non si interroga più, nel bene come nel male. Vive alla giornata, immersa nel presente senza fine: una condizione letargica, dove però si sogna il reddito di cittadinanza. Di vivere a sbafo, insomma. Fuori dalla storia, fuori dall’Europa, fuori dal mondo.
Ecco l’ultima narrazione italiana. Che malinconia.
Carlo Gambescia