La crisi della democrazia italiana
Bisogna saper perdere
La
democrazia liberale impone una regola fondamentale, non politica ma
psicologica, che si trasforma in morale,
o meglio in regola di comportamento,
anche politico. Però si tratta,
ripetiamo di una regola pre-politica. Quale?
L’accettazione della sconfitta. Per dirla con una celebre canzone di Lucio Dalla: "Bisogna saper perdere, non sempre si può vincere".
Insomma, la
democrazia liberale, rappresentativa, quindi parlamentare, si regge e fortifica sul principio dell’alternanza. Ergo, dove c’è alternanza al governo c’è
democrazia. Parliamo di una tesi largamente comprovata dalla letteratura politologica. Ora,
il principio dell’alternanza, si regge sui voti ricevuti, che decretano
vincitori e sconfitti, e soprattutto la possibilità futura per il vincitore di provare la sua capacità di governo, e per il perdente di fare opposizione, in Parlamento si intende, e di prepararsi a "vincere" le successive elezioni, se riuscirà a "convincere" i cittadini circa la "bontà" dei suoi programmi politici.
Pertanto
quel che non si deve mai fare è
delegittimare moralmente il vincitore ( e viceversa il perdente). Insomma,
non va mai creato, un clima di sospetto morale, venato magari di complottismo, clima che rischia di favorire la delegittimazione reciproca: va assolutamente evitato di tirarsi le famigerate “palle di
fango” (se non di peggio), triste spettacolo, sovente mediatico, con i politici in prima fila, pronti a sbranarsi. E che agli occhi degli elettori si trasforma regolarmente nel
“sono tutti uguali”, "tutti ladri" e, quel che è peggio, in una pericolosa ondata di disprezzo
verso le istituzioni parlamentari. Pensiamo alla classica tendenza antipolitica, chiaramente a sfondo demagogico,
che prepara il terreno alla facile ascesa del
tiranno di turno. O addirittura a qualcosa di peggio: la
critica dei partiti e delle istituzioni rappresentative favorì la vittoria dei totalitarismi nazionalsocialista, comunista e della dittatura fascista. Bisogna aggiungere altro?
In
Italia, il superamento di questa soglia, pericolosissima, rinvia all’avvento della
cosiddetta Seconda Repubblica. Si tratta
di una dinamica sociologica, fin troppo semplice e
lineare: i giudici delegittimarono i
partiti moderati; Berlusconi, da nuovo leader dei moderati delegittimò i
partiti progressisti e i giudici; i giudici e i partiti di sinistra
delegittimarono Berlusconi. E ora,
Grillo, con lo stesso linguaggio di Hitler, Mussolini, Lenin, si prepara, delegittimando
moderati e progressisti, a raccogliere i
frutti di quasi venticinque anni di fango gettati a piene mani sulla democrazia
dell’alternanza, dagli stessi partiti, moderati e progressisti, che avrebbero dovuto difenderla, invece di arroventare, insieme a certi magistrati, le antipolitiche piazze televisive.
Si
pensi solo, alle fantasiose accuse di
fascismo, comunismo, golpismo, eccetera, che si sono rivolte per anni, mettendo
in dubbio la rispettiva legittimità a governare l’Italia, un
Berlusconi e un Prodi, un Bossi e un
D’Alema. E così via fino al sabotaggio - attenzione,
dopo anni di discussioni mediatico-populiste sui costi della politica - dell’unico tentativo di tagliarli, rappresentato dalla riforma
costituzionale di Renzi. Evocata e ridipinta dagli avversari come un complotto fascista o comunista...
Un
vergognoso gioco politico al rialzo, frutto avvelenato dell’ incapacità di saper
perdere - il sale della democrazia rappresentativa
- che continua nonostante tutto e che rischia di consegnare l’Italia a un
movimento politico, come Cinque Stelle, che, per quando diluiti, possiede invece i caratteri, se si vuole addirittura il Dna, del fascismo e del comunismo messi insieme. E
che se agguantasse il potere distruggerebbe la democrazia rappresentativa e
ogni tipo di alternanza politica. Inutile qui ricordare l'assenza di
qualsiasi forma di democrazia all'interno del movimento pentastellato.
Insomma, la farsa, degli ultimi venticinque anni di politica, rischia di trasformarsi in tragedia a cinque stelle. E solo perché i Berlusconi, i Prodi, i D’Alema, i
Bossi, e altri protagonisti minori, hanno mostrato di non saper perdere.
Carlo Gambescia