giovedì 20 aprile 2017

In libreria la prima edizione critica italiana del Mein Kampf
Basterà leggerlo?

Non cambieranno mai.  Oppure sì.  Chissà… Il “Secolo d’Italia”,   rilanciando l’uscita dell’edizione critica italiana del Mein Kampf, curata da Vincenzo Pinto  (Free Ebrei, Torino 2017, pp. 640, premessa di Richard Overy,  traduzione di Alessandra Cambatzu e Vincenzo Pinto, euro 29.99), sottolineava  che  “non è un libro stupido, va letto con attenzione”. E di seguito, che l’Occidente, “è ora che faccia i conti seriamente con il suo autore senza liquidarlo, come un maniaco, un pazzo un errore della storia” (*). Cosa pensare?  Se son rose fioriranno. All’estrema destra.  Sovranismo di ritorno, a parte. E pure populismo, spesso nazistoide.  
Per ora, l’eccellente lavoro di Pinto, fa ordine tra le numerose edizioni pirata o quasi (a parte quella di Kaos, curata dottamente da Giorgio Galli, ma incompleta), che l’editoria della destra neofascista, ripubblicando ogni volta pari pari l’edizione, mal tradotta,  di Bompiani degli anni Trenta (Cantimori docet), dava in pasto a energumeni, nemmeno più tanto giovani, che si fermavano alla copertina,  generalmente in caratteri gotici. 
Dietro l’edizione di Pinto, che ha una sua indipendenza e dignità metodologica, soprattutto sul piano della traduzione, fedelissima al testo originale, ad esempio programmatiker è tradotto con programmatore e non teorico, come nell'edizione Bompiani)  c’è l’enorme lavoro  dell’Istituto di storia contemporanea di Monaco, che ha curato la ricchissima edizione critica tedesca (2016).  Ma lasciamo la parola a Pinto, che di professione è docente e storico delle idee, in particolare  dell’area mitteleuropea:

“La  nostra edizione critica non poteva non partire dall’imponente lavoro condotto dall’Istituto di storia contemporanea di Monaco. Non si tratta  chiariamolo subito -  della traduzione italiana (operazione quantitativamente incongrua e non autorizzata). La nostra edizione ha rielaborato alcune note e ha rimandato a quelle più importanti presenti nella Kritische Ausgabe (per chi conosca il tedesco e voglia approfondire alcuni aspetti). La  ritraduzione integrale del Mein Kampf, basata sulla  prima edizione (1925-1926), è presentata da una sinossi contenente la genesi, il contenuto e l’analisi  di ogni singolo capitolo, l’individuazione delle parole-chiave e una bibliografia aggiornata coi principali titoli sulle origini del razzismo (in lingua italiana, se possibile). Abbiamo anche arricchito il teso  con alcune immagini d’epoca, tratte da alcune importanti pubblicazioni  (…). Al termine di ogni capitolo abbiamo poi aggiunto un approfondimento didattico, costituito da due sezioni: analisi retorica e analisi storico-culturale. Si tratta di alcuni  spunti forniti al lettore o al docente che vogliano cimentarsi  nell’approfondire la struttura del testo e il contesto  storico-culturale in cui è emerso” (p. VIII). 

Sul piano interpretativo, in particolare sulla questione dell’antisemitismo,  Pinto, sembra particolarmente apprezzare ( e valorizzare),  l’approccio “dell’arma politica utilizzata per ragioni pragmatiche  nel primo dopoguerra”.  Ma lasciamo di nuovo la parola al curatore:

“La tesi di Hitler come ‘Alfiere’ del paradigma indiziario, formulata di recente nel bel saggio di Ben Novak, fu già da noi affrontata alcuni anni fa nel  nostro lavoro  di storia delle idee, quando occupandoci di Julius Langbehn (precursore del Terzo Impero), avevamo sostenuto l’uso politico del paradigma indiziario nei movimenti totalitari del Novecento. In parole povere, Hitler e altri politici populisti non vanno compresi attraverso la logica deduttiva o induttiva, semmai abduttiva, nel senso fornito da Peirce, elaborato storiograficamente da Carlo Ginzburg e semioticamente da  Umberto Eco. Di fatti, l’antisemitismo di Hitler non è un semplice assioma del nazionalsocialismo, né il prodotto dell’osservazione (più o meno distorta) di singoli episodi della vita reale. È invece la deduzione ‘a ritroso’ del medico-detective che analizza i ‘presagi’: i sintomi della decadenza fisica e morale lo portano a ‘scoprire’ una ‘ malattia’ più profonda che va ‘giustificata’ sul campo. Qui sta la grande forza del mito nazionalsocialista nella democrazia di massa, ma anche la sua intrinseca debolezza: è l’espressione di un sentimento atavico (il bisogno di un capro espiatorio) che può essere risvegliato, ma che può essere messo a tacere dalle armi dei semplici fatti” (p. X).  

Si tratta di un approccio  molto ben sviluppato da Pinto nella densa analisi dei singoli capitoli del Mein Kampf (27 per l’esattezza, in un’opera, come noto,  divisa in due parti o libri: I. Resa dei Conti; II.Il movimento nazionalsocialista). Un approccio, dicevamo, che in qualche misura va oltre, senza per questo  ignorarle,  le due  tesi, talvolta presentate come opposte ma in fondo complementari. Quali tesi?   1) Di un Hitler fin troppo consapevole del suo destino da Angelo Sterminatore;  2) Di un Hitler generato funzionalmente dalla società tedesca.  Pinto ragiona, e bene,  da storico delle idee che sa apprezzare (e usare) gli strumenti storiografici ma anche quelli dell' antropologia, della retorica, della  sociolinguistica. 


Il punto tuttavia è che (e il curatore  ne è consapevole):  gli uomini, paretianamente  parlando, al  capire sembrano preferire il credere. Tradotto: alla ragione, il mito.  Insomma, leggere il Mein Kampf potrebbe non bastare (si pensi solo al capitolo sul federalismo tedesco "come maschera", combattuto da Hitler: sembra di sentire Salvini e Grillo). Insomma,  bisogna capire.  Di più: essere disposti a comprendere. 
Certo, i bambini a scuola sono più duttili, i liceali meno, gli studenti  universitari sono o troppo concreti o vivono fra le nuvole.  Quanto agli uomini fatti, resterà sempre  difficile  far loro cambiare idea, peggio ancora quando "certe" idee sono frutto di atavismi.  Pertanto, basterà  spiegare a quelli del “Secolo d’Italia” chi era  Peirce?   Chi scrive, un tempo provò. Ma senza ottenere alcun risultato. Tuttavia, come dicevano i nonni,  "tentar non nuoce".  Quindi,  un bel  bravo al professor  Pinto, che tra l'altro annuncia  l'uscita di un volume II,  a più mani, dedicato all' approfondimento critico del  Mein Kampf.   Che dire?  Avanti tutta! 

Carlo Gambescia