In libreria la
prima edizione critica italiana del Mein
Kampf
Basterà leggerlo?
Non
cambieranno mai. Oppure sì. Chissà… Il “Secolo d’Italia”, rilanciando
l’uscita dell’edizione critica italiana del Mein
Kampf, curata da Vincenzo Pinto
(Free Ebrei, Torino 2017, pp. 640, premessa di Richard Overy, traduzione di Alessandra Cambatzu e Vincenzo
Pinto, euro 29.99), sottolineava che
“non è un libro stupido, va letto con attenzione”. E di seguito, che
l’Occidente, “è ora che faccia i conti seriamente con il suo autore senza
liquidarlo, come un maniaco, un pazzo un errore della storia” (*). Cosa pensare? Se son rose fioriranno. All’estrema destra. Sovranismo di ritorno, a parte. E pure
populismo, spesso nazistoide.
Per ora, l’eccellente lavoro di Pinto, fa ordine
tra le numerose edizioni pirata o quasi (a parte quella di Kaos, curata
dottamente da Giorgio Galli, ma incompleta), che
l’editoria della destra neofascista, ripubblicando ogni volta pari pari
l’edizione, mal tradotta, di Bompiani degli anni
Trenta (Cantimori docet), dava
in pasto a energumeni, nemmeno più tanto giovani, che si fermavano alla
copertina, generalmente in caratteri gotici.
Dietro
l’edizione di Pinto, che ha una sua indipendenza e dignità metodologica,
soprattutto sul piano della traduzione, fedelissima al testo originale, ad esempio programmatiker è tradotto con programmatore e non teorico, come nell'edizione Bompiani) c’è l’enorme lavoro dell’Istituto di storia contemporanea di
Monaco, che ha curato la ricchissima edizione critica tedesca (2016). Ma lasciamo la parola a
Pinto, che di professione è docente e storico
delle idee, in particolare dell’area
mitteleuropea:
“La nostra edizione critica non poteva non
partire dall’imponente lavoro condotto dall’Istituto di storia contemporanea di
Monaco. Non si tratta chiariamolo subito
- della traduzione italiana (operazione
quantitativamente incongrua e non autorizzata). La nostra edizione ha
rielaborato alcune note e ha rimandato a quelle più importanti presenti nella Kritische Ausgabe (per chi conosca il
tedesco e voglia approfondire alcuni aspetti). La ritraduzione integrale del Mein Kampf, basata sulla prima edizione (1925-1926), è presentata da
una sinossi contenente la genesi, il contenuto e l’analisi di ogni singolo capitolo, l’individuazione
delle parole-chiave e una bibliografia aggiornata coi principali titoli sulle
origini del razzismo (in lingua italiana, se possibile). Abbiamo anche
arricchito il teso con alcune immagini
d’epoca, tratte da alcune importanti pubblicazioni (…). Al termine di ogni capitolo abbiamo poi
aggiunto un approfondimento didattico, costituito da due sezioni: analisi
retorica e analisi storico-culturale. Si tratta di alcuni spunti forniti al lettore o al docente che
vogliano cimentarsi nell’approfondire la
struttura del testo e il contesto
storico-culturale in cui è emerso” (p. VIII).
Sul piano interpretativo, in particolare sulla
questione dell’antisemitismo, Pinto,
sembra particolarmente apprezzare ( e valorizzare), l’approccio “dell’arma politica utilizzata
per ragioni pragmatiche nel primo
dopoguerra”. Ma lasciamo di nuovo la parola al curatore:
“La
tesi di Hitler come ‘Alfiere’ del paradigma indiziario, formulata di recente
nel bel saggio di Ben Novak, fu già da noi affrontata alcuni anni fa nel nostro lavoro
di storia delle idee, quando occupandoci di Julius Langbehn (precursore
del Terzo Impero), avevamo sostenuto l’uso politico del paradigma indiziario
nei movimenti totalitari del Novecento. In parole povere, Hitler e altri
politici populisti non vanno compresi attraverso la logica deduttiva o
induttiva, semmai abduttiva, nel senso fornito da Peirce, elaborato
storiograficamente da Carlo Ginzburg e semioticamente da Umberto Eco. Di fatti, l’antisemitismo di
Hitler non è un semplice assioma del nazionalsocialismo, né il prodotto
dell’osservazione (più o meno distorta) di singoli episodi della vita reale. È
invece la deduzione ‘a ritroso’ del medico-detective che analizza i ‘presagi’:
i sintomi della decadenza fisica e morale lo portano a ‘scoprire’ una ‘
malattia’ più profonda che va ‘giustificata’ sul campo. Qui sta la grande forza
del mito nazionalsocialista nella democrazia di massa, ma anche la sua
intrinseca debolezza: è l’espressione di un sentimento atavico (il bisogno di
un capro espiatorio) che può essere risvegliato, ma che può essere messo a
tacere dalle armi dei semplici fatti” (p. X).
Si
tratta di un approccio molto ben sviluppato da Pinto nella densa analisi dei
singoli capitoli del Mein Kampf (27 per l’esattezza, in
un’opera, come noto, divisa in due parti o libri: I.
Resa dei Conti; II.Il movimento nazionalsocialista). Un approccio, dicevamo,
che in qualche misura va oltre, senza per questo ignorarle,
le due tesi, talvolta presentate come opposte ma in fondo complementari. Quali tesi? 1) Di un Hitler fin troppo consapevole del suo
destino da Angelo Sterminatore; 2) Di un Hitler generato funzionalmente dalla
società tedesca. Pinto ragiona, e bene,
da storico delle idee che sa apprezzare (e usare) gli strumenti storiografici ma anche quelli dell' antropologia, della retorica, della
sociolinguistica.
Il
punto tuttavia è che (e il curatore ne è consapevole): gli
uomini, paretianamente parlando, al capire sembrano preferire il credere. Tradotto: alla ragione, il mito. Insomma, leggere il Mein Kampf potrebbe non bastare (si pensi solo al capitolo sul federalismo
tedesco "come maschera", combattuto da Hitler: sembra di sentire Salvini e Grillo). Insomma, bisogna capire. Di più: essere disposti a comprendere.
Certo, i bambini a scuola sono più
duttili, i liceali meno, gli studenti universitari sono o troppo concreti o vivono fra le nuvole. Quanto agli uomini fatti, resterà sempre difficile far loro cambiare idea, peggio ancora quando "certe" idee sono frutto di atavismi. Pertanto,
basterà spiegare a quelli del “Secolo
d’Italia” chi era Peirce? Chi scrive, un tempo provò. Ma senza ottenere
alcun risultato. Tuttavia,
come dicevano i nonni, "tentar non nuoce". Quindi, un bel bravo al professor Pinto, che tra l'altro annuncia l'uscita di un volume II, a più mani, dedicato all' approfondimento critico del Mein Kampf. Che dire? Avanti tutta!
Carlo Gambescia