L’attacco nella provincia di Idlib
Mosca difende Assad. L’ira di Trump
La chimica della politica internazionale
Se
si sfoglia un buon manuale di storia delle guerre, si scopre che l’uso di gas e
armi chimiche è più argomento
propagandistico che fenomeno reale. E per tre ragioni.
Uno, non funzionano tecnicamente,
come si scoprì subito per i gas, durante la Prima guerra mondiale ( e infatti nella
Seconda vennero centellinati, se non del
tutto messi in soffitta). Due, se
usati (raramente come detto), attirano
subito le critiche, piuttosto pesanti, della comunità internazionale, perché
fuori legge. Tre, scatenano i riflessi umanitari dei mass media, che, comunque sia, un qualche ruolo di
orientamento della pubblica opinione mondiale lo conservano e difendono egregiamente.
Sicché
ogni dibattito pubblico in argomento finisce per assumere esclusivamente una veste
umanitaria. Come ora sta avvenendo per il presunto (o meno) uso di armi
chimiche da parte di Assad: però, ecco
il punto, il dibattito umanitario, per
carità nobilissimo, rischia di causare specifici contraccolpi di tipo
geopolitico. Dei quali la politica, soprattutto la grande politica, dovrebbe tenere conto.
Cosa
vogliamo dire? Che gas e armi chimiche, alla fin fine non
sono importanti in quanto tali, visto l’uso limitatissimo, ma come risorsa propagandistica. A che
scopo? Per interferire sulla chimica della politica internazionale. Si prenda ad esempio, il caso Assad, dove
possiamo distinguere due posizioni:
a) quella di tutti coloro che politicamente sono contro il
tiranno siriano e che non possono non cogliere la ghiotta occasione per addebitargli
l’attacco chimico e chiederne la definitiva deposizione, anche con
le armi. E qui pensiamo - semplificando - a i suoi
oppositori in Siria e Medio
Oriente, sunniti e non, agli obamiani Usa, alla sinistra pacifista europea, nonché a tutti gli avversari di un riavvicinamento tra
Usa e Russia, rivolto a tenere a galla
l’alleato siriano di Putin, e non solo come vedremo più avanti.
b) quella di tutti coloro che sono a favore di Assad. Solo per fare qualche nome: in primo luogo Putin, poi la Cina più discosta, ma attenta all’evoluzione degli eventi e della presidenza Trump. Infine, la
destra filoputiniana europea ( e non), misteriosamente affascinata, forse all'insegna del paghi uno compri due, dal volto nazionalista e populista del miliardario newyorkese.
Questa,
la chimica reale, geopolitica. Ora, il
primo contraccolpo della chimica propagandistica (senza nulla togliere alla
gravità del fatto reale e specifico) sulla
chimica reale è rappresentato dal veto di Putin e dal passo indietro di Trump,
che sembra, da un giorno all’altro, aver
mutato giudizio sul tiranno siriano,
fino a ieri considerato un fattore, pur a
suo modo, di stabilità.
Cosa
significa tutto ciò? Che quanto più si
insiste, sul piano propagandistico, sulla gravità dell’attacco chimico, tanto più le possibilità di una
soluzione concordata, in chiave anti-jihadista della crisi mediorientale, anche di tipo militare, tra Stati Uniti e Russia, rischiano di ridursi. Tradotto: qui si rischia di rinviare sine die la fine della guerra civile, favorendo il moltiplicatore dell'instabilità in un'area geopolitica delicatissima.
Il
vero nemico è costituito dal fenomeno jihadista e dallo sviluppo politico del califfato: due fenomeni politici e polemologici che rappresentano il disordine, mentre la loro eliminazione il ritorno dell’ordine, almeno in Medio Oriente.
Tuttavia, per imporre
l’ordine, serve un’idea di ordine. E qui, purtroppo, sia Putin sia Trump, al di là dei proclami e di qualche sciabolata dell'Orso russo, non sembrano molto preparati in materia. Altrimenti il primo avrebbe impedito il bombardamento, anche solo a livello olfattivo. Mentre il secondo, sempre così polemico con la stampa, una volta avvenuto, invece di obameggiare (o quasi), avrebbe dovuto
retrocedere la propaganda mediatica a fake news, imbrogliando le acque (è la politica, bellezza...). Come ha fatto Putin, ma solo dopo l' attacco. Attacco che il leader russo, ripetiamo, avrebbe invece dovuto impedire prima. E per ragioni strategiche dettate dall’idea di un ordine condiviso russo-americano, antijihadista, in Medio
Oriente.
Ovviamente,
i nostri sono gli argomenti
del puro realismo politico
che collidono con le ragioni dei
pacifisti, delle anime
belle dell'umanitarismo, dei democratici tutti d’un pezzo che sognano di
esportare la Camera
dei Comuni dove comanda la Sharia, i quali scorgono nella tirannia di Assad la
radice di tutti mali. Che una volta eliminata,
come per incanto... Ne
dubitiamo.
Carlo
Gambescia