Studio Usa:”Più usi Facebook più starai male”
È la vita, bellezza…
Non sappiamo nulla dei criteri metodologici usati da Holly
B. Shakya e Nicholas A. Christakis in
uno studio sugli effetti
di Facebook sul benessere
delle persone, inteso come “
il livello di soddisfazione della vita, il benessere mentale, quello fisico e
l'indice di massa corporea”. Criteri, a prima vista, abbastanza
vaghi, quindi non possiamo
entrare nel merito. Tuttavia gli esiti sconfortanti - “più usi Facebook più starai male” - meritano un riflessione.
Secondo i due analisti, che si sono serviti di un campione di 5208
adulti, monitorati per due
anni, i risultati
hanno mostrato che, mentre nel mondo reale le relazioni sociali aumentano il benessere, quelle basate solo su Facebook lo fanno diminuire. Dati che valgono soprattutto per quanto riguarda la salute mentale. Il tempo passato a postare link, commentare gli status altrui e seminare like, insomma, ridurrebbe la soddisfazione di vita e comporterebbe un peggioramento della salute mentale. “Anche se siamo in grado di dimostrare che l'uso di Facebook può comportare una diminuzione del benessere- hanno aggiunto i ricercatori - non possiamo dire con certezza come ciò si verifichi. L'esposizione alle immagini curate con attenzione della vita degli altri porta a un confronto negativo, e l'enorme quantità di interazione con i social media può sminuire esperienze di vita reale più significative” (*).
Il punto è che per dare un qualche
giudizio compiuto sull’ interazione virtuale
si dovrebbe aver prima
definito il significato dell’ interazione reale. Il che è un obiettivo,
sociologicamente parlando, ancora lontano dall’essere raggiunto. Esistono però
schemi di interazione, studiati dalla sociologia formale (ad esempio,
conflitto, opposizione, competizione, cooperazione, accordo, collaborazione),
che tuttavia sono come valige vuote,
di volta in volta, riempite con gli abiti di stagione, ossia i valori sociali e
individuali del tempo.
Tradotto: una società religiosa esprimerà determinati valori, una
secolarizzata altri, eccetera, eccetera.
Sicché, per evitare di essere risucchiati, dai giudizi di valore, l’interazione su Facebook andrebbe studiata seguendo i criteri della sociologia formale, che possono essere estese a fenomeni incontestabilmente presenti nei due universi (reale e virtuale), lasciando così da parte le sempre possibili divisioni sui contenuti.
Sicché, per evitare di essere risucchiati, dai giudizi di valore, l’interazione su Facebook andrebbe studiata seguendo i criteri della sociologia formale, che possono essere estese a fenomeni incontestabilmente presenti nei due universi (reale e virtuale), lasciando così da parte le sempre possibili divisioni sui contenuti.
Ecco le domande giuste che il sociologo
dovrebbe porsi: Facebook favorisce il conflitto o la cooperazione? Prevale l’opposizione rispetto all’accordo,
o viceversa? E qual è il
rapporto tra opposizione e collaborazione? Ovviamente,
la dinamica quantitativa tra queste forme relazionali ha inevitabilmente un effetto di
ricaduta sullo stile di vita. E forse anche anche sul peso
corporeo... Però, il problema, il vero problema sociologico, non è
quante ore si trascorrono davanti allo schermo del Pc, ma come le si trascorre sotto il profilo interattivo.
Ecco perché il ricorso ai concetti della
sociologia formale contribuirebbe
a eliminare qualsiasi artificiosa scissione tra reale e virtuale. Dal
momento che il concetto di
scissione tra reale e virtuale, implica una assunzione di valori, nei termini
di un giudizio (del tipo tecnica versus cultura e viceversa), che
non giova all’ obiettività dell’ analisi sociologica. Le interazioni
sociali, pur nell’inevitabile cambiamento storico dei valori, non mutano mai nella
loro forma. Ecco il dato costante, la regolarità. Per dirla in
altro modo: su Facebook ci
si ama e ci si odia come nella vita reale. Le dinamiche interattive sono le
stesse. E' la vita, bellezza.
Che poi odiarsi o innamorarsi (anche davanti a
uno schermo) faccia bene o male (anche al peso) è un’altra
storia, che rinvia ai
livelli di benessere concepiti e studiati da Shakya e Christakis. Del resto chi decide
del benessere del persone? Il medico, lo psicologo, il filosofo morale, il politico? Forse. Per quanto, crediamo, che il miglior giudice del bene del singolo non possa che essere l'individuo stesso. E comunque sia, non il sociologo.
Però, si dirà: troppi conflitti
possono far male alla società, quindi il sociologo deve dire la sua per
impedire che le “cose sociali” precipitino.
Come replicare? L’idea che i conflitti facciano
male o bene, non è storicamente e sociologicamente provata. Quel che è provato
è che il conflitto (come del resto la cooperazione, spesso, tuttavia, per
contrastarsi meglio tra gruppi) è un fenomeno ricorrente e ineliminabile ( attenzione,
sublimarlo non significa eliminarlo). E lo scienziato sociale, come giustamente riteneva Gaetano Mosca, deve sempre
distinguere “ ciò che può avvenire da
ciò non può e non potrà mai avvenire”.
Tutto il resto è fuffa o noia, per dirla
con un altro grande, ma per meriti canori, Franco Califano.
Carlo Gambescia