venerdì 14 aprile 2017

Studio Usa:”Più usi Facebook più starai male”

È la vita, bellezza…





Non sappiamo nulla dei criteri metodologici usati da Holly B. Shakya e Nicholas A. Christakis  in uno studio  sugli effetti di  Facebook sul benessere delle persone, inteso come “ il livello di soddisfazione della vita, il benessere mentale, quello fisico e l'indice di massa corporea”.   Criteri, a prima vista, abbastanza vaghi,  quindi non possiamo entrare nel merito. Tuttavia gli esiti sconfortanti  - “più  usi Facebook più starai male” -  meritano un riflessione.
Secondo i due analisti, che si sono serviti di un campione di 5208 adulti,  monitorati per due anni, i risultati

hanno mostrato che, mentre nel mondo reale le relazioni sociali aumentano il benessere, quelle basate solo su Facebook lo fanno diminuire. Dati che valgono soprattutto per quanto riguarda la salute mentale. Il tempo passato a postare link, commentare gli status altrui e seminare like, insomma, ridurrebbe la soddisfazione di vita e comporterebbe un peggioramento della salute mentale. “Anche se siamo in grado di dimostrare che l'uso di Facebook può comportare una diminuzione del benessere- hanno aggiunto i ricercatori - non possiamo dire con certezza come ciò si verifichi. L'esposizione alle immagini curate con attenzione della vita degli altri porta a un confronto negativo, e l'enorme quantità di interazione con i social media può sminuire esperienze di vita reale più significative” (*).

Il punto è che per dare un qualche giudizio compiuto sull’ interazione  virtuale si dovrebbe  aver prima definito il significato dell’ interazione reale. Il che è un obiettivo, sociologicamente parlando, ancora lontano dall’essere raggiunto. Esistono però  schemi di interazione, studiati dalla sociologia formale (ad esempio, conflitto, opposizione, competizione, cooperazione, accordo, collaborazione), che tuttavia sono come valige  vuote, di volta in volta, riempite con gli abiti di stagione, ossia i valori sociali e individuali del tempo. Tradotto:  una società religiosa esprimerà determinati valori, una secolarizzata altri, eccetera, eccetera.
Sicché, per evitare di essere risucchiati, dai giudizi di valore, l’interazione su Facebook  andrebbe studiata  seguendo i criteri della sociologia formale, che  possono  essere estese a fenomeni incontestabilmente presenti  nei due universi (reale e virtuale),  lasciando così  da  parte le sempre possibili divisioni sui contenuti.  
Ecco le domande giuste che il sociologo dovrebbe porsi: Facebook favorisce il conflitto o la cooperazione?  Prevale l’opposizione rispetto all’accordo, o viceversa?  E qual è il rapporto tra opposizione e collaborazione?  Ovviamente, la dinamica quantitativa tra queste forme relazionali  ha inevitabilmente un effetto di ricaduta sullo stile di  vita. E forse anche  anche sul peso corporeo... Però, il problema, il vero problema sociologico,   non è quante ore si trascorrono davanti allo schermo del Pc, ma come le si trascorre sotto il profilo interattivo.   
Ecco perché il ricorso ai concetti della sociologia formale contribuirebbe a eliminare qualsiasi artificiosa scissione tra reale e virtuale.  Dal momento che  il concetto di scissione tra reale e virtuale, implica una assunzione di valori, nei termini di un giudizio (del tipo tecnica versus cultura  e viceversa), che non giova all’ obiettività  dell’ analisi sociologica. Le interazioni sociali, pur nell’inevitabile cambiamento storico  dei valori, non mutano mai nella loro forma. Ecco il dato costante, la regolarità.  Per dirla in altro modo:  su Facebook ci si ama e ci si odia come nella vita reale. Le dinamiche interattive sono le stesse.  E' la vita, bellezza. 
Che poi odiarsi  o innamorarsi (anche davanti a uno schermo)  faccia bene o male (anche al peso) è un’altra storia, che  rinvia ai livelli di benessere concepiti e studiati da  Shakya e Christakis. Del resto chi decide del benessere del persone?  Il medico, lo psicologo, il filosofo morale, il politico? Forse. Per quanto, crediamo,  che il miglior giudice del bene del singolo  non possa che essere l'individuo stesso.  E comunque sia,  non il sociologo.   
Però, si dirà:  troppi conflitti possono far male alla società, quindi il sociologo deve dire la sua per impedire che  le  “cose sociali” precipitino.  Come replicare? L’idea che i conflitti facciano male o bene, non è storicamente e sociologicamente provata. Quel che è provato è che il conflitto (come del resto la cooperazione, spesso, tuttavia, per contrastarsi meglio tra gruppi) è un fenomeno ricorrente e ineliminabile ( attenzione, sublimarlo non significa eliminarlo). E lo scienziato sociale, come giustamente riteneva Gaetano Mosca, deve sempre distinguere “ ciò che può avvenire  da ciò non può e non potrà mai avvenire”.  
Tutto il resto è fuffa o noia, per dirla con un altro grande, ma per meriti canori, Franco Califano.       
Carlo Gambescia