Presidenziali francesi 2017
Ogni nazione ha il
piccolo borghese che si merita
Il famoso dipinto di Eugène Delcroix, "La libertà che guida il popolo" (La Liberté guidant le peuple), 1830. |
Chissà, e ci costa dirlo, una rivoluzione vera, come quella francese, avrebbe messo al riparo l’ Italia
da personaggi come Mussolini e Grillo… Ecco quel che pensavo ieri a proposito dei
risultati del primo turno delle presidenziali francesi.
Perché
al di là di tutte le chiacchiere sulla fine della sinistra, della destra, del
post-industriale, della post-globalizzazione, eccetera, in Francia il dato di fondo è rappresentato dallo
zoccolo duro, politico-sociale, di un
cultura repubblicana diffusa, che diffida
del movimentismo controrivoluzionario, antitetico ai valori della
rivoluzione francese (Liberté, Egalité, Fraternité) e al principio fondamentale del capitalismo di mercato, sociale o meno: produrre per redistribuire.
Gramsci,
fervente ammiratore della Rivoluzione francese - pensatore che qualche volta “ci prendeva” - fu il primo a parlare del ciclico sovversivismo delle classi borghesi. Nel senso però di un periodico passo indietro,
verso i valori gerarchici pre-rivoluzionari, magari nascosti sotto la bandiera della
modernità (si pensi al "modernismo reazionario" tra le due guerre mondiali).
Gramsci però restringeva meccanicamente, sul piano decisionale (del comando), il concetto di
sovversivismo alle classi alto-borghesi, in realtà, meno interessate al passato
che al futuro e perciò più favorevoli al cambiamento sociale e alla
modernità che al passo indietro. Un cammino
del gambero, al quale invece sembra essere sempre stata interessata quella piccola borghesia
reazionaria, predominante nella società
di massa, fin dai suoi inizi novecenteschi (ruolo negativo individuato anche da Gramsci, ma ricondotto magicamente nell'alveo salvifico della pedagogia del populismo comunista).
Parliamo degli strati più bassi dei ceti medi, ignoranti o semi-istruiti (anche peggio), affamati di status sociale, ma soprattutto fomentati dalla paura di perdere il proprio (così "faticosamente" guadagnato): una fascia di popolazione che ieri costituì nerbo del fascismi novecenteschi, oggi la prima linea del populismo. E che in Francia, domenica, ha dovuto però confrontarsi, come altre volte, con lo zoccolo duro repubblicano, interclassista, moderno che continua a vedere nella Rivoluzione Francese e nel repubblicanesimo quei valori imprescindibili, dal quale tutti i ceti, a cominciare da quella medi, hanno qualcosa da guadagnare. E che quindi, anche questa volta potrebbe vincere. Sotto questo aspetto, qualsiasi paragone, tra la modernità repubblicana di un De Gaulle e lo spirito controrivoluzionario della Le Pen, è semplicemente improponibile.
Parliamo degli strati più bassi dei ceti medi, ignoranti o semi-istruiti (anche peggio), affamati di status sociale, ma soprattutto fomentati dalla paura di perdere il proprio (così "faticosamente" guadagnato): una fascia di popolazione che ieri costituì nerbo del fascismi novecenteschi, oggi la prima linea del populismo. E che in Francia, domenica, ha dovuto però confrontarsi, come altre volte, con lo zoccolo duro repubblicano, interclassista, moderno che continua a vedere nella Rivoluzione Francese e nel repubblicanesimo quei valori imprescindibili, dal quale tutti i ceti, a cominciare da quella medi, hanno qualcosa da guadagnare. E che quindi, anche questa volta potrebbe vincere. Sotto questo aspetto, qualsiasi paragone, tra la modernità repubblicana di un De Gaulle e lo spirito controrivoluzionario della Le Pen, è semplicemente improponibile.
In
Italia, purtroppo non è così: si continuano a rifiutare i valori della Rivoluzione
francese e capitalistica: in sintesi si vuole redistribuire senza produrre,
opponendo i valori, mai vissuti, della rivoluzione politica ai valori della
rivoluzioni economica, sempre rifiutati. Un
Macron, in grado al tempo stesso di guardare al mondo, all’Europa e alla Francia, quindi in qualche misura capace di incorporare i valori patriottici e repubblicani di un De Gaulle, senza scivolare nel nazional-fascismo (o nel nazional-populismo) della Le Pen, in Italia difficilmente potrebbe emergere
e vincere, perché non esiste, ripetiamo, alcuno
zoccolo duro repubblicano-mercatista, né sul versante gollista, né su quello liberista. Né uguaglianza né merito, questa è l'Italia.
Quanto
alla cosiddetto contrasto tra élite e popolo, sollevato anche in Italia da populisti come Grillo, non è altro
che la riproposizione dell’archeologico contrasto di derivazione controrivoluzionaria, un piccolo presepio, tra il popolo stretto intorno al benevolo potere del parroco e del nobile locale e i ceti borghesi dipinti come privi di radici, avidi e senza dio. Nulla di nuovo sotto il sole. Contrasto oggi recepito e celebrato, anche dalla sinistra radicale. E qui, non va dimenticato, che Marx, rese
scientifiche le critiche romantiche del pensiero controrivoluzionario alla
società borghese, soprattutto all’economia di mercato.
Pertanto
il problema, in Italia, è rappresentato
dal piccolo borghese, che in Francia è stato “repubblicanizzato” ed
economicamente “modernizzato”, mentre da noi no. Di qui, il suo ricorrente sovversivismo. Insomma,
ogni nazione, alla fin fine, ha il piccolo borghese che si merita. Purtroppo.
Carlo Gambescia