Gli Stati Uniti hanno lanciato 59 missili verso la base
aerea siriana da cui si presume sia partito l'attacco con armi chimiche
Trump sferra l’attacco
Il
problema non è se la rappresaglia di questa notte ordinata dal presidente Trump
sia giusta o meno. Ma se sottenda o
comunque implichi una strategia per riportare l’ordine in Siria e in Medio
Oriente. Le agenzie riferiscono che i russi sono stati avvisati in anticipo dagli americani dell’attacco condotto
con missili lanciati da due navi Usa nel
Mediterraneo. Tutto qui.
L’evocazione trumpiana delle ragioni umanitarie (“Nessun
bambino dovrebbe soffrire”) è puro obamismo, e per andare ancora più indietro
rinviano a Woodrow Wilson. Mentre i missili “al telefono” rimandano invece a Reagan e Teddy Roosevelt. Ovviamente stiamo semplificando.
Però
la vera domanda, ripetiamo, è se esiste una strategia. Si vuole rimuovere Assad?
Per sostituirlo con chi? Si vuole mettere nell’angolo la Russia ? Per sostituirla con chi? Quanto al “mettere fine al flagello del terrorismo”, concetto,
già abbastanza nebuloso, più volte ribadito da Trump, l’enunciazione non basta: servono alleati fedeli, o comunque partner affidabili, e soprattutto una precisa strategia sul come combatterlo.
Non basta sparacchiare, come un cacciatore solitario alle prime armi, contro un
mucchio di anatre.
L’impressione - quindi possiamo sbagliare - è che si tratti di un puro episodio muscolare con lo scopo di creare un diversivo. Pertanto, se retro-pensiero c’è, siamo dinanzi all’antica
metodologia, tra l’altro cara ai dittatori, di risollevare le proprie sorti interne, puntando il dito contro il capro
espiatorio esterno.
L’altra
nostra impressione è che forse, a causa della scarsa qualità dei suoi
collaboratori politici, Trump si stia affidando troppo al potere militare. Il
che comporta un problema, non da poco.
Che non riguarda l’uso della
violenza in quanto tale, spesso
necessario come deterrente e strumento per costringere il nemico a scendere a
patti, bensì le modalità, o meglio gli automatismi che accompagnano l’uso della
violenza.
I
militari sono i maestri delle risposte
protocollari. Ci spieghiamo meglio. Lo
stratega militare, ragiona in termini di noto, usa ciò che conosce,
semplificando, ragiona da burocrate: ad
A si risponde con B, a B con C, e così via. Si chiama escalation - attenzione - dello sforzo militare. Tradotto: Assad si diverte con gli aeroplanini, noi con i missili Così lo costringiamo a terra. Come spiega il manuale di strategia militare a pagina due.
Il
vero stratega politico invece ragiona in
termini di noto e di ignoto, o comunque,
se tale, si sforza di essere sempre
essere un passo avanti (o indietro) al potere militare, insomma non è un burocrate, ma un
“creativo”, perché deve sempre proporsi di inventare, o comunque reinventare, qualcosa di "unico". Come? Tentando, ogni volta, di coniugare "creativamente" impegno militare e strategia politica: ad A si può
rispondere con B ma anche con C e soprattutto si può partire dalla lettera Z.
Oppure, addirittura, usare un altro
alfabeto, e così via. Insomma - si noti l'uso della micro-scala... - al piccolo chimico non va opposto il piccolo dinamitardo, ma il piccolo Napoleone.
L’impressione
è che Trump, per restare in metafora,
politicamente parlando, non sia
molto alfabetizzato. Il presidenti citati, Obama, Reagan, Woodrow Wilson, Teddy Roosevelt, pur usandolo, hanno sempre tenuto il potere militare a distanza. Erano, comunque, alfabetizzati.
Ovviamente, Trump non è un minus habens, come qualcuno invece ritiene. Insomma si parla sempre di un eccellente manager, quindi potrebbe sempre imparare l'alfabeto strategico della politica. Ma a spese di chi?
Ovviamente, Trump non è un minus habens, come qualcuno invece ritiene. Insomma si parla sempre di un eccellente manager, quindi potrebbe sempre imparare l'alfabeto strategico della politica. Ma a spese di chi?
Carlo Gambescia