martedì 28 febbraio 2017

Il  suicidio assistito in Svizzera del Dj Fabo
Né martiri cristiani, né eroi del libero pensiero



Non si capisce perché gli stessi che difendono il diritto di accoglienza dei  “migranti” ammassati  sui   barconi, non ammettono  che si possa andare a morire in un altro paese. A maggior ragione,  quando  alla frontiera con la Svizzera non sembra esserci alcuna  lunga  fila di “migranti” del suicidio assistito. In un  mondo  libero  si deve liberamente decidere  dove andare a lavorare, morire, divertirsi, curarsi, amare e scappare quando nella propria terra l’aria si fa irrespirabile.  Quindi il punto non è questo.
Si dirà:  molti però sono costretti “a migrare”,   come il Dj Fabo e  i poveretti che sfidano la morte nel Mediterraneo, perché nei luoghi di nascita  non possono suicidarsi né vivere in pace.  Giustissimo, allora accogliamoli tutti. Ma siamo sicuri  che  gli svizzeri aprirebbero le porte di casa a centinaia di migliaia di "migranti del suicidio assistito"?
Questo per dire che i principi, del nazionalismo e dell’internazionalismo, se accolti in toto, diventano logicamente contraddittori e socialmente incongrui.
Ma  ciò  che è ancora più pericoloso è il principio  che un diritto individuale, al suicidio, al lavoro, alla salute, eccetera,  debba essere tutelato dallo stato. Il che implica sempre occhiute burocrazie, commissioni spesso svogliate, tasse  a gogò, corruzione,  concussione e via discorrendo.  
Sono i frutti avvelenati dell’ individualismo assistito. Di che cosa parliamo?   Del  diritto dell’avente diritto: al lavoro, alla salute, al suicidio, eccetera. Attenzione:  non alle  pre-condizioni  per trovarsi un lavoro, curarsi come meglio si preferisca   e togliersi di mezzo quando stanchi vivere: ma al posto sicuro, alla salute perfetta, alla morte che si fa bella.  A spese dell’erario.  E di chi, la cosa non va sottovalutata,  sia moralmente   contrario  al diritto  al suicidio assistito.  Ad esempio, in caso della solita e pasticciata (perché non potrà che essere così) legge ad hoc, andrà introdotto  un diritto liberale all’obiezione, da parte del medico eticamente eccetera, eccetera. Il che però  provocherà ulteriori complicazioni eccetera, eccetera.  Morale: meno si legifera meglio è. 
In realtà, basterebbe depenalizzare  o abrogare il "reato" (di induzione, favoreggiamento, eccetera), consentendo così, per quel che riguarda  l’eutanasia, attiva,  che le persone decidano liberamente della propria vita, senza mettere nei guai chi li aiuti,  e per l’eutanasia passiva,  rinviare il criterio di scelta personale a una dichiarazione notarile o testamentaria, dove, ad esempio, l’impossibilità di comunicazione verbale di pensieri e di attività motorie,  sia considerata,  dal dichiarante o testatore,  condizione sufficiente per non continuare a vivere.  
Fatti assolutamente privati,  senza alcuna intromissione di burocrazie pubbliche.  Il che significa lasciare a tutti la libertà di decidere cosa fare della propria vita.  E soprattutto evitare inutili guerre culturali, lasciando che la società possa liberamente auto-organizzarsi, su basi individuali,  senza evocare  elemosina laiche dall’alto, piagnucolose mani tese socialiste dal basso,  nonché, scomuniche e anatemi di natura chiesastica.  
Insomma, né martiri cristiani, né eroi del libero pensiero,  ma solo un mondo di  persone normali,  che, sulla base del loro credo, religioso o meno,  liberamente scelgano, come loro diritto -  pre-sociale -  di vivere o morire.  Nulla a che vedere con il diritto motorizzato dello stato interventista dei diritti sociali.  O dei divieti, e per tutti, sulla base di  principi olistici di tipo etico e religioso recepiti da un stato confessionale.
Si potrebbero verificare abusi? Oppure  casi di circonvenzione? Veri e propri reati?  Se non delitti?  Certo, chi può escluderli.  Però ricadrebbero  nell'ambito della normativa del  codice civile e penale. Va tuttavia ammesso che,  probabilmente, per così dire,  la “reazione” legale  proprio perché ex post, potrebbe giungere troppo tardi.
Purtroppo, la libertà comporta sempre  rischi.  La perfezione non è di questo mondo. E anche questa è una ragione che spinge  talvolta alcuni di noi  a tagliare la corrente. Nessuna condanna, men che meno penale.   Rispettiamone il volere.  Senza però  ricorrere all' "aiutino" pubblico.        


Carlo Gambescia