Lo sciopero dei taxi
Dove sono finite la vernice, le donne, la velocità?
Sui
mass media, ma anche a livello politico e sindacale lo sciopero dei taxi viene
catalogato come sciopero contro l’utente, alla stregua di qualsiasi altro servizio pubblico. Cosa pensare? Che questa impostazione è
completamente superata. Certo, è vero che i taxi, hanno svolto per poco più
di un secolo, un servizio di tipo
pubblico, sostituendo le carrozze e integrando il tram a cavalli. E che
un loro sciopero, come si legge, “può
mettere in ginocchio la città” .
Però
il punto è un altro: che i cavalli
sono scomparsi e i taxi sono rimasti ancorati a una legge quadro e regolamenti,
soprattutto locali, che rinviano a ottant’anni fa. All'epoca di pionieri.
Altro
punto, è che i tassisti fanno finta di
non capire. O meglio i loro dirigenti. Di qui, scioperi e chiusure corporative ai primi
timidi tentativi di liberalizzazione e ammodernamento di un settore a dir poco arcaico dal punto di
vista della mentalità.
Però,
terzo punto, tassisti e famiglie, portano voti. Il che spiega l’atteggiamento collusorio dei politici,
di destra e sinistra, come a Roma, dalla Meloni alla Raggi. E anche la tendenza a giustificare reazioni violente, come è accaduto ieri, reazioni, comunque sia, non della gravità di quelle commesse dal
reduce psicopatico, Travis Bickle, l’ eroe dalla pistola facile di Taxi
driver... Che però... ( ma questo lo spieghiamo nella chiusa).
Si
dovrebbe far capire ai tassisti che in un’epoca dove l’offerta di trasporto, un
tempo solo pubblica, si è diversificata,
seguendo una domanda sempre più esigente e variegata, la vera battaglia contro Uber riguarda i prezzi e l'innovazione tecnologica. Sicché, invece di chiudersi, tirando fuori
dalla soffitta il tricolore e rimpiangere il Duce (in verità, in pochi), i tassisti devono aprirsi al mondo e chiedere l’abolizione delle tariffe
pubbliche e di molti inutili controlli e regolamenti preventivi. Occorrono libertà di lavorare, produrre, crescere, innovare, puntando sul rischio imprenditoriale e sulle proprie forze creative e non sull’abbraccio
mortale con i poteri pubblici: che con una mano danno e con l’altra tolgono.
Ecco
perché le tariffe dovrebbero essere determinate dal mercato e non da
commissioni burocratiche: “lasciar fare, lasciar passare”, ecco la ricetta. Dopo di che i tassisti, magari consociandosi in spa, potrebbero
competere ad armi pari con chiunque si proponga in futuro di
entrare nel mercato del trasporto delle persone. Ad armi pari.
Pertanto
è vero che, per ora, la concorrenza di Uber è
sleale. Ma, ripetiamo, per una ragione economica e di libertà: le tariffe dei taxi, a differenza di quelle
del competitore privato, sono rigide, fissate per comando. Perciò, la risposta
non può essere quella di chiudersi in modo corporativo chiedendo al potere
politico, con la mano tesa, l'elemosina di mettere fuori gioco l’avversario.
Si chiama protezionismo sociale. E favorisce
il parassitismo economico. Un fenomeno che conduce direttamente al sopravvivere non al vivere.
Il
tassista Travis Bickle alla fine ammazza
tutti i mafiosi. E diventa un eroe. Anche giustamente (secondo l'ottica del Far West...). I tassisti italiani voglio ammazzare Uber che invece sta reinventando il trasporto delle persone, come Facebook ha reinventato, per così dire, il trasporto delle parole. Peggio ancora, i tassisti chiedono che sia lo stato a uccidere Huber. Ma
uccidendolo, ucciderebbe anche i tassisti. Si chiama suicidio. Perché la competizione è il motore del
progresso economico e tecnologico. E i tassisti, se tornassero a comprenderne l'importanza, potrebbero, come dire, tornare a nuova vita. Però serve coraggio. Un secolo fa, il taxi, ai suoi
inizi, rappresentava la modernità, piaceva ai futuristi. Altro che le "muffose" carrozzelle. Chi allora optò per i "cavalli del motore", scelse, a suo rischio e pericolo, la modernità. Per parafrasare Paolo Conte, il taxi, in qualche misura, evocava un nuovo mondo, fatto di
vernice, di donne e di velocità. E
oggi?
Carlo Gambescia