giovedì 16 febbraio 2017

Il ragazzo di Lavagna, suicida per l’hashish
I confini elettrificati della morale sociale


Il dibattito sulla liberalizzazione delle droghe leggere ha subito una nuova accelerazione, quasi una fiammata,  dopo il suicidio del sedicenne di Lavagna. 
Sul piano delle concezioni culturali,  il proibizionismo rinvia a una visione paternalistica dell’individuo, considerato  persona incapace  di proteggersi, come un minorenne, perciò  bisognosa di un buon padre e di una famiglia  in grado di evitare che possa farsi del male. Quindi,  stato, leggi, e regolamenti ad hoc.
Per contro l’antiproibizionismo, rimanda a una concezione  dell’individuo, come essere  adulto,  anti-paternalistica, che  si rivolge a un individuo libero e  responsabile delle sue scelte, perché consapevole  delle conseguenze, anche negative. Quindi niente o poco stato e neppure  leggi e regolamenti ad hoc.
Sul  piano sociologico, il contrasto tra proibizionisti e antiproibizionisti rinvia a una differente, spesso opposta valutazione,  dei  danni individuali e sociali provocati (o meno) da ciò che, di regola,  viene vietato e permesso.  Sicché,   le basi osservative per una serena discussione son ben lontane dall’essere considerate tali.   Perfino sul piano terminologico,  il solo parlare di droghe leggere non è accettato dai proibizionisti, per i quali “tutte” le droghe sono pericolose.  Per contro gli antiproibizionisti magnificano il ruolo terapeutico delle droghe leggere.
Tuttavia, poiché il fenomeno della diffusione e consumo delle droghe, nel bene e nel male (a seconda delle opinioni)  ha  assunto rilevanza collettiva, lo stato, il pater familias  per eccellenza dei moderni,  non poteva non occuparsene. Di qui, norme, regole, protocolli di comportamento, burocrazie.  E conseguenti  violazioni, sopraffazioni,  ingiustizie e suicidi, ma anche omicidi, perché dove c’è un divieto, c’è chi lucra illecitamente su quel divieto, come nel caso delle organizzazioni criminali ad ampio raggio.
E qui si viene al punto più importante.  Si ritiene, sbagliando, che sul piano delle politiche sociali e dei comportamenti collettivi  il contrasto sia fra i sostenitori dello stato proibizionista da una parte  e liberalizzatori dall’altra. Una specie di lotta del Bene contro il Male (ovviamente, anche a parti invertite, secondo le diverse opinioni, insomma ).  
In realtà, un mercato libero della droga, imporrebbe regole e controlli, come ogni altro mercato, piaccia o meno, che si muove ai confini elettrificati  della moralità comune,  dove chiunque  provi a toccare i fili rischia di morire o farsi male: dal momento che i giudizi di valore, proprio perché controversi, di confine,  divisivi, finiscono per  pesare sulle comportamento delle persone come macigni, causando conflitti sociali e sensi di colpa individuali. Non solo però: c'è dell'altro. Si pensi ad esempio  al mercato della prostituzione: anche dove  è legalizzata  esistono forme di controllo dei necessari adempimenti  previsti dalla legge, più o meno minuziosi. E la minuziosità dipende dalla cultura burocratica di ogni paese e dal trend fiscale storico. Da ciò si deduce che dove  lo stato è abituato a comandare, magari male,  a  imporre tributi elevatissimi,  anche in caso di legalizzazione non cambierebbe nulla dal punto di vista dei controlli,  dell'  “evasione fiscale” e del contrabbando. Forse le cose peggiorerebbero.  La prostituzione legalizzata riduce quella non legale, ma non la elimina  del tutto (pensiamo a quella su strada).  E soprattutto  non cancella, con un colpo di bacchetta magica,  quell 'universo, soggetto e oggetto  di  elettrificazione morale, che ruota intorno ad essa. E qui si potrebbero fare altri esempi  tratti  dal mercato legalizzato  delle scommesse, delle slot machine e del gioco d'azzardo.
Ciò significa  che se cadesse il divieto sul consumo delle  droghe leggere, il carico fiscale e la regolamentazione, per così dire,  su e dei  prodotti in vendita  andrebbe  ridotta ai minimi termini. Proprio per evitare evasione e contrabbando.  È perciò intuibile cosa potrebbe accadere in  Italia, dove per burocrazia e livelli di tassazione non si brilla. Fermo restando un altro fatto:  che il moralismo più ottuso, si pensi ad esempio a certo moralismo isterico intorno  al  mercato legalizzato delle slot machine,  resterebbe  sempre in agguato  ai confini elettrificati della morale sociale. Invocando, ad esempio,  sul piano delle politiche fiscali,  una tassazione elevatissima per scoraggiare il consumo. Il che però provocherebbe, mercati paralleli, eccetera, eccetera, imponendo la logica allocativa del prezzo migliore dal punto di vista dei consumatori. Tipico esempio di eterogenesi dei fini delle politiche  tributarie redistributive. 
Diciamo la verità. Forse prima dovrebbero cambiare  due cose.  La prima,  riguarda  la  morale sociale, intrusiva e paternalista, che ha provocato la morte del  giovane di Lavagna. La seconda, concerne  la cultura statalista del protezionismo sociale e del divieto, che è il prodotto di quella morale sociale.
Gli antiproibizionisti, credono che basti cambiare la prima a colpi di leggi,  i proibizionisti invece si ergono a difensori della seconda. Così però  non se ne esce. 

Carlo Gambescia