Il ragazzo di Lavagna, suicida per l’hashish
I confini elettrificati della morale
sociale
Il
dibattito sulla liberalizzazione delle droghe leggere ha subito una nuova
accelerazione, quasi una fiammata, dopo
il suicidio del sedicenne di Lavagna.
Sul
piano delle concezioni culturali, il proibizionismo rinvia a una visione
paternalistica dell’individuo, considerato persona incapace di proteggersi, come un minorenne, perciò bisognosa di un buon padre e di una famiglia in grado di
evitare che possa farsi del male. Quindi, stato, leggi, e regolamenti ad hoc.
Per
contro l’antiproibizionismo, rimanda a una concezione dell’individuo, come essere adulto,
anti-paternalistica, che si rivolge a un individuo libero e responsabile delle
sue scelte, perché consapevole delle
conseguenze, anche negative. Quindi niente o poco stato e neppure leggi e regolamenti ad hoc.
Sul piano sociologico, il contrasto tra
proibizionisti e antiproibizionisti rinvia a una differente, spesso opposta
valutazione, dei danni individuali e
sociali provocati (o meno) da ciò che, di regola, viene vietato e permesso. Sicché, le basi osservative per una
serena discussione son ben
lontane dall’essere considerate tali. Perfino sul
piano terminologico, il solo parlare di droghe leggere non è accettato dai
proibizionisti, per i quali “tutte” le droghe sono pericolose. Per contro gli antiproibizionisti magnificano
il ruolo terapeutico delle droghe leggere.
Tuttavia,
poiché il fenomeno della diffusione e consumo delle droghe, nel bene e nel
male (a seconda delle opinioni) ha assunto rilevanza collettiva, lo stato, il
pater familias per eccellenza dei moderni, non poteva
non occuparsene. Di qui, norme, regole, protocolli di comportamento,
burocrazie. E conseguenti violazioni, sopraffazioni, ingiustizie e suicidi, ma anche omicidi,
perché dove c’è un divieto, c’è chi lucra illecitamente su quel divieto, come
nel caso delle organizzazioni criminali ad ampio raggio.
E
qui si viene al punto più importante. Si
ritiene, sbagliando, che sul piano delle politiche sociali e dei comportamenti collettivi il contrasto sia fra
i sostenitori dello stato proibizionista da una parte e liberalizzatori
dall’altra. Una specie di lotta del Bene contro il Male (ovviamente, anche a parti invertite, secondo le diverse opinioni, insomma ).
In realtà, un mercato libero della droga, imporrebbe regole e
controlli, come ogni altro mercato, piaccia o meno, che si muove ai
confini elettrificati della moralità comune, dove chiunque provi a toccare i fili rischia di morire o farsi male: dal momento che i giudizi di valore, proprio perché controversi, di confine, divisivi, finiscono per pesare sulle comportamento delle persone come macigni, causando conflitti sociali e sensi di colpa individuali. Non solo però: c'è dell'altro. Si pensi ad esempio al mercato della prostituzione: anche dove è legalizzata esistono forme di controllo dei
necessari adempimenti previsti dalla legge, più o meno minuziosi. E la minuziosità dipende dalla cultura burocratica
di ogni paese e dal trend fiscale storico. Da ciò si deduce che dove lo stato è abituato a comandare, magari male, a imporre tributi elevatissimi, anche in caso di legalizzazione non cambierebbe nulla dal punto di vista dei controlli, dell' “evasione fiscale” e del contrabbando. Forse le cose peggiorerebbero. La
prostituzione legalizzata riduce quella non legale, ma non la elimina del tutto (pensiamo a quella su strada). E soprattutto non cancella, con un colpo di bacchetta magica, quell 'universo, soggetto e oggetto di elettrificazione morale, che ruota intorno ad essa. E qui si potrebbero fare altri
esempi tratti dal mercato legalizzato delle scommesse, delle slot machine e del gioco d'azzardo.
Ciò significa che se cadesse il divieto sul consumo delle droghe leggere, il carico fiscale e la
regolamentazione, per così dire, su e dei prodotti in
vendita andrebbe ridotta ai minimi
termini. Proprio per evitare evasione e contrabbando. È perciò intuibile cosa
potrebbe accadere in Italia, dove per
burocrazia e livelli di tassazione non si brilla. Fermo restando un altro fatto: che il moralismo più ottuso, si pensi ad esempio a certo moralismo isterico intorno al mercato legalizzato delle slot machine, resterebbe sempre in
agguato ai confini elettrificati della morale sociale. Invocando, ad esempio, sul piano delle politiche fiscali, una tassazione elevatissima per scoraggiare il consumo. Il che però provocherebbe, mercati paralleli, eccetera, eccetera, imponendo la logica allocativa del prezzo migliore dal punto di vista dei consumatori. Tipico esempio di eterogenesi dei fini delle politiche tributarie redistributive.
Diciamo la verità. Forse prima dovrebbero cambiare due cose. La prima, riguarda la morale sociale,
intrusiva e paternalista, che ha provocato la morte del giovane di Lavagna. La seconda, concerne la cultura statalista del protezionismo sociale
e del divieto, che è il prodotto di quella morale sociale.
Gli antiproibizionisti, credono che basti cambiare la prima a colpi di leggi, i proibizionisti invece si ergono a difensori della seconda. Così però non se ne esce.
Gli antiproibizionisti, credono che basti cambiare la prima a colpi di leggi, i proibizionisti invece si ergono a difensori della seconda. Così però non se ne esce.
Carlo
Gambescia