Passeggiare tra le rovine: il dibattito sul “Corriere Metapolitico”
Tra modernisti e tradizionalisti
Agli
amici lettori, e in
particolare a coloro che hanno appena divorato Passeggiare tra le rovine, consiglio di andare subito a leggersi, sul sito del “Corriere Metapolitico”, la recensione di Aldo La Fata e relativi commenti (*). E per alcune ragioni .
La
prima è che Aldo La Fata , che definirei un tradizionalista liberale (attenzione, non liberale tradizionalista), espone con grande chiarezza i contenuti
del libro, e direi con una generosità, come nota Carlo Pompei, che per alcuni aspetti, solletica
la mia vanità. Ma, per altri, pone quesiti, direi
fondamentali e spiazzanti per qualsiasi studioso serio: qual è il rapporto tra
scienza e fede? Tra metodologie profane (sto semplificando), come quelle usate dalla sociologia e i
due universi scalari del sacro e del
trascendente? Grande questioni alle quali - è vero, Aldo - il mio libro, tutto ripiegato sul mondo profano, "l' aldiquà", non risponde.
Devo però sottolineare che, per così dire, sul versante modernista, in altre sedi, mi muovono critiche uguali e contrarie, definendo la mia sociologia fin
troppo letteraria: un realismo magico, con pericolose e poco razionali aperture verso l’ immisurabile (o l' incommensurabile, come tu, Aldo, forse preferiresti dire). Immisurabile
che io invece riconduco allo “specifico sociologico”, riferendomi a quei processi impersonali, stretti tra il
caso ( l’imponderabile) e la necessità (le regolarità o costanti sociali) che contraddistinguono l'interazione tra individui e tra l'individuo e la società, di cui il sociologo deve tenere conto: i famigerati fatti. In qualche misura, la mia sociologia studia le
ragioni per le quali, stretto fra queste maglie (caso e necessità), l’uomo non potrà mai essere totalmente libero e i motivi per cui
certi fenomeni politici non potranno mai verificarsi, almeno
in questa vita e in questo mondo. Insomma, cerco di ricondurre l'irrazionale (il non prevedibile) nel quadro del razionale (le forme metapolitiche del sociale). E la decadenza è una di queste regolarità, e come tale viene studiata, nelle sue varie manifestazioni, impiegando una "cassetta degli attrezzi". Sicché le forme restano (e sono misurabili, nel senso che si ripetono storicamente e sociologicamente), i contenuti storici invece mutano (e sono imprevedibili, nella loro interazione con le forme, o comunque, se lo sono, con larghissimi margini di errore). Il sistema perciò è sempre in tensione. Nulla di deterministico, insomma.
Una fatica enorme però. Un "progetto cognitivo", definiamolo così, che, ne sono perfettamente consapevole,
mi ha alienato e mi aliena le simpatie dei tradizionalisti come dei modernisti (anche qui sto semplificando). Ma anche del politico in genere: dal ministro, ben inserito nel sistema, all'attivista anti-sistemico, i quali vogliono certezze (i primi) e passioni (i secondi) e men che meno, quindi, indicazioni di vincoli sociologici, e quindi di coerenza strutturale (quello che si può fare e non fare dal punto di vista infrasistemico e antisistemico). Tradotto: vincoli che non permettono (e promettono) di ottenere voti o attirare militanti.
Certo, se ancorassi, pubblicamente, la mia sociologia a
una qualche teodicea tradizionalista o modernista, guadagnerei sicuramente consensi, ma
preferisco andare per la mia strada. Che è quella di uno studioso indipendente,
se mi si passa l’espressione, da tutte le parrocchie politiche e metodologiche. A differenza di certi,
presunti non conformisti, che scrivono saggi
scientifici conformisti con un occhio alle commissioni universitarie, salvo poi atteggiarsi a guerrieri dello
spirito o della materia in altre sedi, come dire, più ombreggiate. Anche se, come dicevano i nonni, il mondo è paurosamente piccolo.
Caro Aldo, prendo atto delle tue critiche, fondate. Spero di approfondirle in un prossimo libro, come dire meta-metasociologico, o se preferisci meta-metapolitico. Ma non sarà cosa di domani.
Caro Aldo, prendo atto delle tue critiche, fondate. Spero di approfondirle in un prossimo libro, come dire meta-metasociologico, o se preferisci meta-metapolitico. Ma non sarà cosa di domani.
Insomma, so benissimo di muovermi tra Scilla e Cariddi: fredda impotenza e torrido azionismo. Spero di "barcamenarmi" e non andare a fondo o "impattare" a causa dei forti venti contrari, per così dire, da destra come da sinistra... Certo, su questo blog, assumo posizioni più "politiche", nei termini del minor male possibile però. Ovviamente, secondo il mio punto di vista, che è quello di un osservatore politicamente moderato. Di centro? Forse. Che, di riflesso, non potrà piacere a chi, eccetera, eccetera. Sono un osservatore che teme gli eccessi: "immagina il disastro" (come scrive Molina), ma teme anche il "culto del disastro", perché sa che, al di là delle ideologie (le famigerate, ma non tali, "derivazioni" studiate da Pareto), che ci consegnano una visione deformata della realtà, le costanti o regolarità delle metapolitica finiscono sempre per vendicarsi, perché sono ancorate alla realtà così com'è, ( delle forme come dicevamo più sopra) e non come dovrebbe essere, la realtà, secondo il costruttivismo utopistico di varia estrazione ideologica. Almeno su questo pianeta. E mi assumo la responsabilità di quel che vi scrivo. Sul blog. E pure sul pianeta. Come? Anche firmando con il mio nome e cognome.
Ringrazio
Arvo,
che mi ricorda, e giustamente, i pericoli della “critica asettica” di certo oggettivismo che viene
evocato dai modernisti come foglia di fico ideologica: è
vero, per così dire, c’è chi ci marcia. Non io però. E se erro, erro in buon fede. Mi si provi a leggere, magari iniziando dai libri dedicati a Pitirim Sorokin e Augusto Del Noce.
Ringrazio Buffagni, Pompei, Molina, il leale Ciccarella, per i giudizi nei miei riguardi e del libro.
Fin troppo generosi.
Un ultimo punto, il liberalismo. Non ho mai nascosto le mie simpatie politiche. Né mi devo scusare con nessuno. Noto però, lasciando da parte alcuni pregiudizi gravi che affiorano tra i commenti (ai quali potrei opporre solo ragioni che verrebbero definite dai miei interlocutori altrettanto viziate da "pregiudizi"). Notò però, dicevo, che si continua a considerare il liberalismo come una specie di blocco unico, un monolite ideologico. In realtà non è così: esistono almeno quattro tipi di liberalismo (archico, an-archico, mini-archico, macro-archico). In molti pensatori liberali, ad esempio gli “archici” (Burke, Tocqueville, Pareto, Mosca, Ferrero, Croce, Weber, Ortega, de Jouvenel, Röpke, Aron, Freund, Berlin), i tradizionalisti, o quantomeno alcuni tra di loro ( penso ad Aldo, ma ricordo anche lunghe conversazioni con il compianto Gian Franco Lami, nonché con il caro amico Giuliano Borghi e altri ancora), potrebbero trovare molti punti di sintonia sull'importanza delle istituzioni, dei valori, dell'idea di patria, delle aristocrazie politiche e sociali, del "politico". Però bisogna leggerli. E ancora meglio, studiarli.
Comunque sia - e chiedo scusa per l’ ennesima autocitazione - ho approfondito l' argomento in Liberalismo triste. Libro, per riallacciarmi al mio, socialmente improvvido juste-milieu, che, ad esempio, ha scontentato i liberali mini-archici e an-archici, non indifferenti all'utopia dei mercati perfetti, i quali per contro hanno apprezzato le mie critiche ai liberali macro-archici, che inclinano invece verso il socialismo liberale, un ircocervo ideologico per dirla con un grande filosofo liberale italiano.
Grazie
ancora a tutti e un abbraccio al caro Aldo.
Carlo Gambescia
Grazie davvero Carlo per le parole di stima e per l’amicizia. Intervento superbo e chiarificatore il tuo di cui ti sono enormemente riconoscente. Un grande abbraccio
RispondiEliminaGrazie a te Aldo per la possibilità che mi hai offerto, scrivendo un'ottima recensione, ottima nel senso di critica, giustamente critica. Ricambio l'abbraccio.
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