L’ 8 settembre 1943 e il fascismo
A proposito di morte della patria
Ieri riflettevamo sull’8 settembre. Chissà, dietro la spinta dell'inconscio, segretamente sollecitata dalla visione di un' Italia invertebrata, che sembra in spasmodica attesa, soprattutto dopo la vittoria di Trump, dell' "Uomo della Provvidenza". Oggi ne scriviamo.
8 Settembre: si parla di una metafora politica italiana, variamente interpretata secondo la sensibilità ideologica. Per la destra è rimasto il giorno del tradimento e della sconfitta, per la sinistra (con il centro, a ruota) dell’inizio del riscatto culminato il 25 aprile del 1945, poi celebrato come giorno della Liberazione e della Vittoria, con le maiuscole. Due date (alle quali andrebbe aggiunta quella del 25 luglio, defenestrazione di Mussolini, da parte degli stessi fascisti), ancora oggi assai diversamente ricordate e vissute, che provano quanto sia ancora profonda la frattura provocata dalla guerra civile del 1943-1945: dove i vinti si considerano vincitori, come ancora si legge, "sul campo dell'onore", ma dalla parte sbagliata, e i vincitori, vincitori della seconda parte della guerra, quella giusta combattuta a fianco degli Alleati. Nessuno in pratica, avrebbe vinto o perduto completamente. Di qui, la delegittimazione ideologica reciproca che ancora avvelena il clima politico italiano.
8 Settembre: si parla di una metafora politica italiana, variamente interpretata secondo la sensibilità ideologica. Per la destra è rimasto il giorno del tradimento e della sconfitta, per la sinistra (con il centro, a ruota) dell’inizio del riscatto culminato il 25 aprile del 1945, poi celebrato come giorno della Liberazione e della Vittoria, con le maiuscole. Due date (alle quali andrebbe aggiunta quella del 25 luglio, defenestrazione di Mussolini, da parte degli stessi fascisti), ancora oggi assai diversamente ricordate e vissute, che provano quanto sia ancora profonda la frattura provocata dalla guerra civile del 1943-1945: dove i vinti si considerano vincitori, come ancora si legge, "sul campo dell'onore", ma dalla parte sbagliata, e i vincitori, vincitori della seconda parte della guerra, quella giusta combattuta a fianco degli Alleati. Nessuno in pratica, avrebbe vinto o perduto completamente. Di qui, la delegittimazione ideologica reciproca che ancora avvelena il clima politico italiano.
Detto questo, per tornare all’8 settembre, come concreto evento storico, non va tanto sottolineato il peccato di doppiogiochismo, che fu
commesso anche degli Alleati ( e che in una trattativa del genere era ed è comprensibile), quanto l’assenza di un centro di comando (lo Stato
Maggiore, che invece di coordinare la difesa seguì il Re e la famiglia reale al Sud), di un preciso piano di reazione militare (che invece i tedeschi avevano) e di
ordini precisi (che invece da parte di Hitler non mancarono).
Fattori che provocarono lo sfaldamento delle forze armate. Che fuori d'Italia, si trasformò in tragedia: si pensi solo a quel che accadde a Cefalonia e all' affondamento della corazzata Roma. Di libri, chi scrive, ne ha letti tanti, forse troppi, ma resta difficile testimoniare la tristezza provata, perfino le lacrime versate, nella lettura della migliore ricostruzione storiografica in argomento: la chirurgica monografia di Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando ( il Mulino 1993, 2003).
Fattori che provocarono lo sfaldamento delle forze armate. Che fuori d'Italia, si trasformò in tragedia: si pensi solo a quel che accadde a Cefalonia e all' affondamento della corazzata Roma. Di libri, chi scrive, ne ha letti tanti, forse troppi, ma resta difficile testimoniare la tristezza provata, perfino le lacrime versate, nella lettura della migliore ricostruzione storiografica in argomento: la chirurgica monografia di Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando ( il Mulino 1993, 2003).
Non
vogliamo qui proporre la recensione del saggio della Rossi, ma più
semplicemente mettere l’accento sull’8 settembre, presentandolo come il frutto velenoso di una vergognosa superficialità, individuale e
collettiva. Che alcuni possono attribuire ai soliti "antichissimi" vizi italici, croce e delizia della commedia cinematografica all'italiana. Cosa dire? Liberi di farlo. Noi preferiamo attenerci ai fatti.
Dicevamo vergognosa superficialità individuale e collettiva. Per quale ragione? Perché il fascismo, come provano gli studi di Renzo De Felice (in particolare la colossale biografia mussoliniana), visse anche del consenso sociale di milioni di italiani, applausi e braccia tese, perfino davanti alle leggi razziali, che accompagnarono le scelte superficiali e quindi sbagliate di quegli anni.
Dicevamo vergognosa superficialità individuale e collettiva. Per quale ragione? Perché il fascismo, come provano gli studi di Renzo De Felice (in particolare la colossale biografia mussoliniana), visse anche del consenso sociale di milioni di italiani, applausi e braccia tese, perfino davanti alle leggi razziali, che accompagnarono le scelte superficiali e quindi sbagliate di quegli anni.
Superficialità
collettiva di credere nel mito imperiale di Mussolini, in un paese dai
trascorsi coloniali post-unitari, a dir poco ridicoli; superficialità delle classi politiche nello scendere in guerra a fianco di un alleato, molto più forte e militarmente attrezzato di noi, trascurando -
proprio Mussolini, che si diceva suo
cultore - la lezione di Machiavelli (che se l’alleato maggiore vince si mangia l'alleato minore, se invece perde, lo trascina con
sé nella sconfitta); superficialità
dello Stato Maggiore, e dello stesso Mussolini,
nella gestione, tra l’altro assai confusa, di una guerra che non si poteva non condurre
al risparmio, perché l’Italia non era assolutamente preparata, nonché priva di risorse; superficialità da parte del Re e dei vertici militari, come detto, nella
disastrosa gestione del dopo-armistizio.
Mussolini,
dittatore, e quindi formalmente responsabile unico, avrebbe dovuto imparare da un altro dittatore,
Francisco Franco, il quale, ben consapevole della debolezza spagnola, riuscì abilmente a
tenere fuori il suo paese dalla guerra (Hitler, ad esempio, voleva attraversare
la Spagna e
prendersi Gibilterra, quindi la pressione su Franco fu fortissima). Su di lui si legga J. Palacios e S.G. Payne, Franco, una
biografía personal y política (
S.L.U. Espasa Libros 2014).
E
nel secondo dopoguerra, pur tra gli alti
e bassi degli anni Cinquanta, Franco favorì
consapevolmente la crescita economica infrastrutturale e la formazione negli anni Sessanta - per
alcuni, suo malgrado - di una duttile e
modernizzatrice classe dirigente,
composta di moderati, che dopo la sua morte, facilitò con altrettanta abilità la transizione alla democrazia. E oggi la Spagna , economicamente parlando, dà lezioni
all’Italia ed è per giunta fiera, a differenza di noi, di restare in Europa. E di essere monarchica. Mentre in Italia dei monarchici si persa traccia. Ma naturalmente c'è chi, come in una specie di gioco politico dell'oca, rimpiange i Borboni e l'Impero Austro-Ungarico...
Sicché la piagnucolosa destra italiana, a cominciare dai neo-fascisti, dovrebbe andare a lezione da personaggi, pur diversi tra loro, come Suarez e Fraga Iribarne che spiegano il successo di Aznar e Rajoy. Successo legato, va riconosciuto, anche al grande senso di equilibrio mostrato dall’opposizione antifranchista, almeno fino all'ascesa del settarismo zapaterista. Sulla transizione si veda A. Bosco, Da Franco a Zapatero.La Spagna
dalla periferia al cuore dell’Europa (il Mulino 2005) .
Per tornare all’8 settembre, Ernesto Galli della Loggia (La morte della patria, Laterza, 1996, 2003) ha parlato giustamente di una data che notifica l’atto di morte della patria italiana. E più in generale di uno spirito patriottico, che a dire il vero nella sua forma politica, a parte alcune nobili e letterarie eccezioni, risaliva al Risorgimento italiano, che fu opera di pochi e audaci liberali, che seppero coraggiosamente andare contro la reazione e contro la rivoluzione, i due famigerati nemici dell’idea liberale: i neri e i rossi.
Sicché la piagnucolosa destra italiana, a cominciare dai neo-fascisti, dovrebbe andare a lezione da personaggi, pur diversi tra loro, come Suarez e Fraga Iribarne che spiegano il successo di Aznar e Rajoy. Successo legato, va riconosciuto, anche al grande senso di equilibrio mostrato dall’opposizione antifranchista, almeno fino all'ascesa del settarismo zapaterista. Sulla transizione si veda A. Bosco, Da Franco a Zapatero.
Per tornare all’8 settembre, Ernesto Galli della Loggia (La morte della patria, Laterza, 1996, 2003) ha parlato giustamente di una data che notifica l’atto di morte della patria italiana. E più in generale di uno spirito patriottico, che a dire il vero nella sua forma politica, a parte alcune nobili e letterarie eccezioni, risaliva al Risorgimento italiano, che fu opera di pochi e audaci liberali, che seppero coraggiosamente andare contro la reazione e contro la rivoluzione, i due famigerati nemici dell’idea liberale: i neri e i rossi.
Diciamo
che l’idea di patria era stata violentata e uccisa ben prima dell’8 settembre, dall’overdose di nazionalismo e imperialismo fascisti, ideologie imperversanti nel Ventennio. Pertanto se morte dell’idea di patria, come fusione di libertà, democrazia parlamentare e costituzione ( lo
Statuto), ci fu, la responsabilità va ascritta a Mussolini e
ovviamente anche alla Monarchia e alla parte più retriva della classe dirigente
liberale che, insieme al Re, aveva appoggiato l’ascesa del fascismo e di Mussolini, definito, prima in ambienti clericali, poi dallo stesso Papa Ratti dopo il Concordato, come "Uomo della Provvidenza".
Sicché l’8 settembre non fu altro che il momento della decomposizione finale di quel corpaccione italico, sfigurato, non tanto dalla prima guerra mondiale, vinta, ma da un dopoguerra, malamente gestito e perduto, perché ferito a morte dal nazional-fascismo tra la marcia su Roma e l’assassinio di Matteotti.
Sicché l’8 settembre non fu altro che il momento della decomposizione finale di quel corpaccione italico, sfigurato, non tanto dalla prima guerra mondiale, vinta, ma da un dopoguerra, malamente gestito e perduto, perché ferito a morte dal nazional-fascismo tra la marcia su Roma e l’assassinio di Matteotti.
E ancora oggi ne paghiamo le conseguenze.
Carlo Gambescia