Gli scissionisti del Pd
Arsenico e vecchi merletti
Al
di là delle questioni personali, se
non personalistiche, che sembrano
avvelenare la scissione, per ora solo annunciata, all’interno Pd, consigliamo al lettore, che voglia capire
qualcosa, di guardare innanzitutto
alle differenze sui contenuti programmatici.
I
renziani (o comunque la maggioranza che appoggia Renzi), sono per
l’ambientalismo ma non in chiave decrescista come un Emiliano (si ricordi la
posizione di quest’ultimo sul referendum antitrivelle). I renziani sono per la riforma del lavoro e non per la
paralisi giuslavorista al servizio dei sindacati e del posto fisso, come gli Speranza, i
Rossi, i Bersani. I renziani
sono per lo snellimento istituzionale e non per il bicameralismo ottuso,
come i D’Alema e i Bersani. E si
potrebbe continuare.
Pertanto,
tirare in ballo, come si legge, le due sinistre: una buona, dalla parte dei
lavoratori e dei cittadini, l’altra
cattiva, che vuole demolire tutto, significa, dare per buone le ragioni degli
scissionisti. Che invece, ecco la
differenza fondamentale, vagheggiano di vincere emulando il noismo dei Cinque
stelle. Ragionamento, che è sposato, in modo altrettanto suicida, sul fronte opposto dalla destra
salvinian-meloniana, e forse pure dal tentennante Berlusconi.
Ma
perché l’elettore pentastellato dovrebbe votare il moscio e poco credibile Bersani invece di Grillo e dei suoi ruspanti
post-nerd? Perché il M5S, astro in ascesa della politica italiana, dovrebbe infilarsi nei buco nero Pd, targato Emiliano, Rossi, Speranza? Un Pd, in versione minoritaria, condannato all'estinzione, perché, come provano sondaggi e ricerche più accurate, il bacino elettorale populista, per ora, è appannaggio di Grillo & Co? E i pentastellati lo sanno perfettamente. E qui, la foto storica di una politica inevitabilmente destinata al fallimento, è quella raffigurante Letta e Bersani mentre tentano disperatamente, aggrappati al tavolino come due spiritisti, di strappare
un qualche appoggio agli irridenti Crimi e Lombardi. Anno di
Grazia 2013.
Anche
Renzi, ma più che altro, per tacitare l’opposizione della sinistra interna,
incontrò una delegazione pentastellata. Il summit si chiuse, sempre con un vaffa. Ma di Renzi. Il lettore (antigrillino e moderato), si appunti la cosa.
Insomma,
il progetto renziano che potremmo
definire del Sì, all’Europa, alle
riforme, al mercato e in qualche misura
alla modernità liberale, è antitetico a
quello del fronte del No, che invece guarda al
nazionalismo, al protezionismo, al razzismo, sublimato o meno ( di classe o di pelle), a tutti
quei brutti demoni che in passato hanno causato solo danni: fronte che va dalla destra ai cinque stelle,
politicamente, inseguiti dalla sinistra scissionista del Pd. Che, rischiando il ridicolo, si propone come l’anziano
professor Aschenbach, mettiamo un Bersani con parrucca e trucco pesante, di sedurre il giovane Tadzio
grillino, un Diba in moto diretto ad Alghero in compagnia di uno straniero.
Battute a parte ( e scusandoci con Thomas Mann), questi sono i termini della questione.Non si scappa. Dietro i
quali però, altra cosa importante, si stagliano due letture opposte della storia dell'Italia repubblicana.: da un lato quella della maggioranza renziana,
che scorge apprezza il filo rosso del
progresso e delle trasformazioni
economiche di un paese, dove solo due generazioni fa, i nonni andavano in giro scalzi. Dall’altro, la lettura della minoranza Pd, legata allo schema politico che tanto male ha
fatto l’Italia e che risale alla più che giustificata scelta
degasperiana di escludere i comunisti dal governo. Anno di grazia 1947.
Nacque allora
un vero e proprio topos culturale e politico, ad uso e consumo dei
comunisti. Quale? Che dietro ogni maggioranza politica, priva del Pci, si celava la perversa volontà di
tenere fuori una “grande forza popolare”, auto-rappresentata da Togliatti (e successori) come il nerbo dell’antifascismo
e della democrazia. Di qui, la demonizzazione di ogni forma di anticomunismo,
anche democratico e socialista. E quel bipartismo imperfetto, dal quale non ci siamo mai ripresi. Per non parlare di un anticapitalismo a ciclo integrale, dalle celebrazioni da comitato centrale al culto complottistico delle lucciole pasoliniane. Anticapitalismo, mai andato in pensione,
Un
“giochino”, quello "della grande forza popolare" con il monopolio dell'antifascismo, roba da arsenico e vecchi merletti, che però ha funzionato contro Saragat (dalla scissione socialdemocratica di Palazzo Barberini), Nenni (il Nenni del centrosinistra riformista),
contro Craxi, contro Berlusconi. E ora rispolverato contro Renzi. Si pensi solo alla canea
antireferendaria, che ha visto in prima fila i vecchi babbioni (pardon) del comunismo. Ecco qui, come dire, la cattiva notizia. Renzi però sembra non arrendersi tanto facilmente. Anzi, contrattacca. E questa, è la buona notizia.
Carlo Gambescia