Socci, Benigni e Papa Francesco
Basta con il “Processo del lunedì”!
Ogni giorno su
Papa Francesco ne leggiamo di tutti i colori. Dal complimento pagliaccesco di Benigni: «È l’uomo più grande del mondo, questo Papa mi piace tanto tanto, è meraviglioso, grande, umile e rivoluzionario come ha detto Scalfari, e loro tra rivoluzionari
si intendono» (*), al sadico articolo di
Socci, dove si snocciolano gli ultimi dati sul reflusso di pellegrini e quindi sul
«flop della presunta "primavera" dovuta
all' effetto Bergoglio» (**).
Roba da “Processo del lunedì”: per Benigni, l’allenatore
va confermato, per Socci licenziato… Tutti e due però non aiutano
a capire le cose. Riflettono posizioni
superficiali, legate a ideologie contrapposte, rispettivamente, progressismo e
tradizionalismo, tra l’altro, come diceva mio nonno, all’acqua
di rose.
Ci spieghiamo meglio. Il cattolicesimo non è
entrato in crisi con Bergoglio: grosso modo è sulla difensiva dal 1789. Con
Papa Francesco si è avuto uno scivolone statistico? Può darsi. Ma la crisi viene da lontano. Sociologicamente parlando, da quando il monopolio dell’istruzione (e
dell’educazione) è passato dallo Chiesa
allo Stato. La socializzazione, via via sempre più laica, delle nuove generazioni ha inciso sulle
vocazioni, sulla pratica, sull’approccio al mondo. E di riflesso,
sull’atteggiamento della Chiesa, che per
tradizione storica, come ogni studioso sa bene, qualche volta ha fatto la
guerra, anche in grande stile, ma in genere, prudentemente, in prima battuta, ha sempre cercato l’accordo
e la mediazione. Figurarsi con una società libera, dove, pur da posizioni non
più egemoni, sia possibile “infilarsi”, anche mediaticamente, in tutti gli interstizi sociali. Quindi se le
cose vanno male - sempre dal punto di vista sociologico - il problema non è Papa Francesco - il monarca, anche assoluto, non
governa mai da solo - ma l’assenza di
una classe dirigente all’altezza della
sfida. Che poi, è lo stesso problema che
affligge - semplificando - le istituzioni politiche “repubblicane” o comunque democratico-liberali
post-1789: quello di come garantire il ricambio delle élites dirigenti, all’interno di un sistema
in cui è difficile - per alcuni
impossibile - conciliare democrazia, eguaglianza, meritocrazia, problema,
detto tra parentesi, che tuttora ossessiona le scienze politiche “democratiche”.
Sicché, quanto più la Chiesa si democratizza tanto più accelera la sua crisi istituzionale.
Perché, sulla piano della selezione delle élites finisce per cumulare i difetti
di una monarchia in dissoluzione con quelli
di una democrazia che non funziona. Tuttavia, la Chiesa indietro non può
tornare, perché deve comunque fare i conti con la sua orteghiana circunstancia:
il mondo post-1789. Però al tempo stesso, per le ragioni ricordate, non può
spingersi troppo avanti, perché la qualità delle sue élite rischierebbe di
peggiorare a vista d’occhio. Sociologicamente parlando, un vicolo cieco.
Sempre che di lassù…
Sempre che di lassù…
Carlo Gambescia
Nessun commento:
Posta un commento