La scomparsa di Ettore Scola
Non c’eravamo tanto amati
Ettore Scola (il primo a sinistra), Antonioni, Fellini, Rosi, Maselli alla veglia funebre in onore di Enrico Berlinguer |
Appena
i media hanno dato la notizia della morte di Ettore Scola è subito partita la
compagnia di giro dell' "è scomparso uno
dei protagonisti del cinema italiano, della cultura italiana, e via col
vento" ( film che l’antiamericano Scola
odiava, si veda, tra gli altri, Permette? Rocco Papaleo).
Ma
quale cultura? Ma quale cinema? Tutto il
discorso concettuale di Scola si svolge all’interno della cultura
comunista, quella più istituzionale e trinariciuta. A parte la produzione documentaristica,
che lo è scopertamente, film, rivolti al
largo pubblico, come C’eravamo tanto amati (sul mito dei
comunisti come unici interpreti della Resistenza), Una
giornata particolare (sul fascismo ridotto a macchietta maschilista), La Terrazza
( sul pericoloso imborghesimento dell'intellettuale post-togliattiano), La
Famiglia (sui tormenti di coppia del professore falce-e-martello) descrivono l'Italia immaginaria dei comunisti e delle loro polemiche sotterranee, giudicate da Scola con
criteri etici da Comitato Centrale. Per capirne la faziosità, si pensi solo ai personaggi negativi dei suoi
film, sempre ridotti a caricature, degne
dei rozzi corsivi di Fortebraccio : il costruttore paternalista, corrotto e corruttore
di C’eravamo tanti amati; il
marito fascista, rozzo e imbecille al punto giusto di Una giornata particolare eccetera, eccetera. E per questo settarismo non abbiamo mai amato
Scola.
Il
vero punto, allora, diventa capire perché un cinema fazioso, come il suo, si sia
imposto e soprattutto perché lo si debba tuttora considerare, in modo servile, patrimonio
collettivo. Di chi? Dei comunisti e dei loro nipotini, culturali, quelli della "meglio gioventù"... Probabilmente, per le stesse
ragioni perché non è mai esistito nell’Italia
nel dopoguerra un cinema alla Frank
Capra. Mancanza
di anticorpi liberali.
Carlo Gambescia
Caro Carlo, come ti capisco e approvo. Purtroppo l'untuoso abbraccio (spesso mortifero) del comunismo italiano sulla società italiana, non è stato mai rifiutato abbastanza da chi per cultura avversa avrebbe dovuto e potuto. Scola se non fosse stato comunista organico al Partito, non avrebbe fatto una lira (pur bravo, poco avrebbe contato). La stampa, la scuola, le case editrici e il cinema son sempre stati lottizzati in maniera preponderante dalla sinistra, per cui se eri e sei dalla parte giusta, se dici, canti, giri un film, scrivi ciò che il Partito predilige, le porte si aprono, altrimenti... niet. Il muro è crollato, l'Unione dei Soviet pure, ma in Italia i "rossi" non molleranno mai. Non piango come fa Veneziani che indica nell'egemonia culturale dei comunisti la mancanza di spazio di un pensiero liberale e conservatore, spesso chi pecora si fa il lupo se la mangia... Che faceva Veneziani quando dirigeva una rivista mensile, quando aveva un posto al sole in Rai, quando Berlusconi governava (si fa per dire) l'Italia? E gli altri non comunisti, quale contributo di idee e di opere hanno messo sul piatto? I principi, il pensiero, se non si concretizzano in programmi, strategie, sono sterili. Lasciamo perdere la classe politica di Forza Italia e Aenne, composta per lo più di tangheri arrivisti, capaci solo di fare gli ospiti di Mediaset e baccagliare in tivvù. Se vince la sinistra (categoria obsoleta, ma tanto per capirci) da noi, una ragione c'è: sono compatti e organizzati, usano la kultura secondo l'insegnamento di Gramsci e dopo le Frattocchie hanno studiato dai vecchi. Non è solo una questione di mezzi (il vile denaro) o di spazi televisivi (Berlusconi ne aveva ma cosa ne ha fatto?) per promuovere una cultura alternativa a quella corrente. Ci vuole coraggio e dedizione, pur tra ostacoli spesso invalicabili.
RispondiEliminaSottoscrivo Angelo. Grazie dell'importante "chiosa" (chiosa, si fa per dire :-) )
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