La scomparsa di Tancrède Melet
Icaro non c’è più
Dopo
quel che aveva combinato in precedenza -
tipo lanciarsi con tuta alare dal Freney - Tancrède Melet, trentadue anni,
funambolo delle montagne, è morto in
modo banale, cadendo da una mongolfiera
(*). Capita.
Che
dire?
Come
uomo provo sempre grande ammirazione per chiunque si lanci in imprese rischiose, al
limite gratuite (nel senso di mettere in gioco la propria vita senza adeguate compensazioni morali ed
economiche). Insomma sto con Icaro. E adoro l’homo ludens. E forse nel mio piccolo lo sono anch'io.
Come
sociologo mi interrogo invece sui meccanismi sociali del rischio, che sono sempre gli stessi,
da chi, magari con le mani non
completamente asciutte, tenta di
ripararsi una lampada, per
il piacere di fare le cose da solo e dare così prova alla
moglie "di essere all’altezza della sfida", all’imprenditore, che con pochi
capitali presi in prestito, e con il fiato delle banche sul collo, costruisce case,
crea lavoro, eccetera. Realizza sogni. O almeno ci prova. Senza dimenticare, scienziati, inventori, studiosi,
creatori nei più diversi campi, che hanno dovuto sempre lottare, soffrire,
rischiare per affermarsi.
Probabilmente
Melet, voleva provare qualcosa a se stesso e agli altri. Ci guadagnava? Non è questo il punto. Più il rischio è elevato,
più il numero degli uomini-Icaro si
riduce. E più è giusto che la compensazione sociale sia elevata. Ecco il vero punto, Sono pochi, sono
una élite. E rappresentano una sorta di lievito sociale, a prescindere. Amiamoli, o comunque rispettiamoli. E se "cadono",
con essi muore o si spezza qualcosa che è anche dentro di noi, ma che per mancanza di coraggio, non riusciamo a
esprimere come vorremo.
Carlo Gambescia
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