giovedì 7 gennaio 2016

La scomparsa di Tancrède Melet
Icaro non c’è più




Dopo quel che aveva combinato in precedenza  - tipo lanciarsi con tuta alare dal Freney - Tancrède Melet, trentadue anni, funambolo delle montagne,  è morto in modo  banale, cadendo da una mongolfiera (*). Capita.
Che dire?
Come uomo provo sempre grande ammirazione per  chiunque si lanci in imprese rischiose, al limite gratuite (nel senso di mettere in gioco la propria  vita senza adeguate compensazioni  morali ed economiche). Insomma sto con Icaro. E adoro  l’homo  ludens. E forse nel mio piccolo lo sono anch'io.   
Come sociologo mi interrogo invece sui meccanismi sociali  del rischio, che sono sempre gli stessi, da  chi, magari con le mani non completamente asciutte,  tenta di ripararsi una lampada,  per  il piacere di fare le cose da solo e dare così  prova alla moglie  "di essere all’altezza della sfida", all’imprenditore, che con pochi capitali presi in prestito, e con il fiato delle banche sul collo, costruisce case, crea lavoro, eccetera. Realizza sogni. O almeno ci prova. Senza dimenticare, scienziati, inventori, studiosi, creatori nei più diversi campi, che hanno dovuto sempre lottare, soffrire, rischiare per affermarsi.
Probabilmente Melet, voleva provare qualcosa a se stesso e agli altri. Ci guadagnava?  Non è questo il punto. Più il rischio è elevato, più il numero  degli uomini-Icaro si riduce. E più è giusto che la compensazione sociale sia elevata.   Ecco il vero punto,  Sono pochi, sono una élite. E rappresentano una sorta di lievito sociale, a prescindere.  Amiamoli, o comunque  rispettiamoli. E se "cadono", con essi muore o si spezza  qualcosa che è anche dentro di noi, ma  che per mancanza di coraggio, non riusciamo a esprimere come vorremo.  

Carlo Gambescia     

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