giovedì 21 gennaio 2016

Ecco un grande regista, altro che Scola...
Centochiodi di Ermanno Olmi



Ieri si è discusso  di Ettore Scola, oggi invece si parla di Ermanno Olmi.  E c’è un motivo:  abbiamo molto apprezzato  un suo film, Centochiodi,  ripescato  su Tv2000  qualche sera fa.  A dire il vero, non ne condividiamo, come dire, il messaggio. Però rispetto a Scola  siamo su un altro piano. E spieghiamo perché.    
Prima la trama. Un docente di filosofia della religione, abbandona improvvisamente la sua Alma Mater,  università cattolica, bolognese (forse), dotata di una magnifica biblioteca,  per andare a vivere in povertà sulle rive del Po. Dove viene subito cooptato in una piccola comunità, che egli affascina, ammaestra, aiuta.  Ma scompare di nuovo, questa volta, come Pinocchio, tra due carabinieri...  E per sempre. Cosa  c'è sotto? I cento  antichi incunaboli , dai lui nottetempo inchiodati, l’uno dopo l’altro, con furore distruttivo crescente…  Per poi darsi alla fuga. Il che spiega,  chiudendo il cerchio, il sopravvenire della Benemerita.
Abbiamo semplificato, forse troppo e irrispettosamente, un ricco  tessuto  narrativo   che   lascia il segno sotto l'aspetto visivo,  grazie all'eccellente fotografia.  Un film  filosofico ( senza la pretesa di esserlo) che avvince, recitato nella affricata  koinè della Bassa,  da attori non professionisti, a parte Raz Degan, il professore:  perfetto, anche fisicamente (rispetto all'iconografia tradizionale),  nell'interpretare un personaggio complesso, dallo sguardo  che taglia e benedice,  più vicino al Gesù apocrifo che sinottico.
Al centro del discorso concettuale di  Olmi c’è il  famoso  contrasto  tra natura e cultura. Nulla di nuovo  neppure per il regista,  dal momento che si tratta della  cifra  cognitiva che  contraddistingue la sua opera cinematografica, fin dagli inizi come documentarista.  Parliamo del  conflitto tra una  vita reale che si confonde con la  natura e  una  vita  artificiale, contro-natura (molto vicina, così pare, alla zivilisation spengleriana).  Il dilemma -  che  il professore risolve  scegliendo il Po -   è tra la verità delle cose che si scopre vivendo, e la verità sulle cose, che l'uomo crede di perseguire, leggendo o studiando.  Di qui, la rivolta contro il libri  e  la cruda  crocifissione  nelle prime battute del film,  cui segue il viaggio, per così dire,  al centro della terra. Che poi è un viaggio al centro di  noi stessi.
Il tutto narrato con una semplicità e una sincerità sconvolgenti, lontane anni luce dal  dottrinarismo sociologista, a sfondo marxista,  di Scola, sempre in cattedra. Naturalmente, chi scrive, come detto, non condivide le tesi di Olmi. A voler essere rigorosi, tra la crocifissione degli incunaboli e i roghi nazionalsocialisti c’è una differenza di  grado, non di specie.   Però, la capacità narrativa di Olmi, la sua bravura nello spiegare poeticamente per immagini, quindi per atmosfere, lascia senza fiato (  il suo, in fondo, è un cinema puro,  autosufficiente,  perché  non  necessita di grandi attori).  Senza trascurare,  la capacità maieutica di favorire la riflessione,  a prescindere. Un grande regista, veramente.  Altro che Scola.  
Carlo Gambescia  
                                         

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