Il Presidente americano si commuove ricordando le stragi di bambini
Le lacrime di Obama
Quando un politico piange, o comunque
“accenna” alle lacrime, si pensa subito a un trucco. Chi ha il
comando, dovrebbe essere freddo, razionale, in grado di prendere
decisioni, senza lasciarsi condizionare o addirittura travolgere dai sentimenti.
Quindi se piange, delle due l'una: o finge o fa sul serio e di
conseguenza è inadatto alla carica. Fin qui Machiavelli, che conosceva e
rispettava la cultura e l’antropologia degli antichi romani e del mondo classico, dove il dolore, e le sue manifestazioni, erano un fatto
pubblico. Né eroi né antieroi. Si usava così.
Diciamo che, per farla breve, le
lacrime in politica sono state riscoperte nel Novecento, con radici
profonde nella cultura romantica dell’antieroe ottocentesco (per alcuni
tardo ottocentesco), poi ripresa e volgarizzata da Hollywood. E qui
arriviamo, finalmente, alle lacrime di Obama.
Fingeva? Faceva sul serio? Difficile dire,
culturalmente è un rigido liberal, imbevuto di radicalismo civile, che
confida nel potere federale. Quindi può darsi che si sia realmente
commosso, nel nome di una causa, quella del controllo delle armi, in cui crede
fermamente. Non va però dimenticato che Obama è un Presidente che piace
alla gente che piace: Hollywood in testa. E abbastanza abile nel
gestire la sua figura, secondo criteri da largo pubblico (Frank Furedi, in generale, parla addirittura di "stile politico terapeutico": l'antieroe fragile al centro di una politica intesa come gruppo di supporto...). Obama
sa - o comunque gli dicono - che a una certa America, non solo
liberal, quella che affolla i cinema e si beve i serial, gli
antieroi piacciono, e si regola di conseguenza.
Concludendo, fingeva? O faceva sul
serio? Ripetiamo, difficile giudicare. Diciamo che la politica è un impasto,
come qualcuno ha rilevato, di sangue e merda. E pure di lacrime.
Carlo Gambescia
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