La miniserie di Negrin e l’ Argentina di Videla
Tango per la libertà?
No, per la società civile
Alberto
Negrin è un regista intelligente, che sa fare il suo mestiere, però in Tango per la libertà, fiction comunque coinvolgente e ben recitata, lo
schematismo sembra prevalere
sull’analisi. Sotto questo aspetto, evidentemente,
non ha giovato alla miniserie televisiva l’essere
tratta dal toccante libro del console italiano Enrico Calamai (Niente asilo politico, che consigliamo
di leggere). Un uomo coraggioso e intraprendente, mai dimenticarlo. Che ha impedito, nonostante la "melina" delle autorità diplomatiche italiane, che circa trecento argentini di origine italiana (uomini, donne,
bambini) andassero ad allungare la triste lista
dei desaparecidos. Perciò, una volta
scelta la pista narrativa offerta da Calamai, la fiction non poteva non essere focalizzata
sui lati drammatici e personali.
Però,
forse, si poteva fare qualcosa di più. La
società argentina, con le sue contraddizioni e vuoti sociali, resta troppo
sullo sfondo, l'immagine è sfocata. Evidentemente, il pur nobilissimo modello Perlasca
(Negrin, tra l’altro ha diretto anche una miniserie sullo Schindler italiano), sul
piano dell’analisi, se si vuole della
comprensione sociologica dei fatti, non funziona, ossia, avvince, commuove ma non spiega. E per quale ragione? Perché trasforma, regolarmente, i cattivi di turno in più o
meno perfette incarnazioni del male
assoluto: un male che non avrebbe spiegazioni se non nelle profondità abissali della cattiveria e follia umana. E la demonizzazione e la banalizzazione del male (Arendt docet) non spiegano un bel nulla.
Ovviamente,
il volo della morte per eliminare i
dissidenti politici - torniamo ai generali argentini - non è atto patriottico. È cosa terribile, come imprigionare, per giunta ingiustamente, e peggio ancora, torturare le persone. Però, la
critica, anche durissima del "prodotto finale" - il golpe militare in Argentina - doveva e dovrebbe essere occasione per indagare o
comunque per fornire ai telespettatori qualche spunto di riflessione, su una questione, sociologicamente, “basica”. Quale? Che nelle società moderne, in particolare quelle in via di sviluppo, il predominio dei militari bilancia la debolezza
della società e dei poteri civili. L’Argentina
di Videla, non era altro che il sottoprodotto della dittatura peronista e della
cultura politica autarchica e populista che aveva impedito, grosso modo, nella
seconda metà del Novecento, il rafforzamento della società civile. Pensiamo a un irrobustimento in grado di veicolare tra il ceto medio, ancora in formazione,
valori liberali. E quindi capace di fare da lievito alla crescita politica, sociale, economica. Perciò, il grande desaparecido della società argentina è il borghese moderno. Insomma, c’era un vuoto di potere sociale, colmato dai
militari, ovviamente a modo loro…
Il
che non significa assolutamente assolvere i generali, ma più semplicemente,
evitare fughe nell’emotività e fornire un inquadramento sociologico del sincero dramma
dei desaparecidos, che altrimenti rischia di risultare incomprensibile nelle sue radici storiche e sociologiche, se
non come frutto avvelenato delle scellerate azioni commesse da una banda di criminali (il che non significa, che i generali non lo
fossero, “anche”).
Concludendo, tango per la libertà? No, per la società civile.
Carlo
Gambescia
Nessun commento:
Posta un commento