martedì 19 gennaio 2016

Il  titolo imbecille del “manifesto”
Gli egualitaristi. 
quattro gatti, presi a sberle dai fatti



Per fortuna sono quattro gatti, presi a sberle di fatti.  Di chi parliamo?  Degli egualitaristi, of course. I nipotini di Babeuf,  fanatici  non dell’eguaglianza formale, ma di quella sostanziale. Che è tutt'altra cosa. 
Sono pochi, dicevamo, però... Purtroppo c’è sempre un però.  Si guardi ad esempio il titolo imbecille del “manifesto” di oggi. Che la ricchezza sia  nelle mani di  pochi è una costante storica e sociale, che riflette differenze di intelligenza e  di capacità. Certo, anche  le posizioni di partenza incidono. Chi è ricco tende a diventare sempre più ricco, salvo non abbia  le qualità giuste, talvolta il sangue non basta:  a quel punto  i patrimoni passano di mano, le carte si rimescolano, eccetera, eccetera.  Si osservi  il flusso storico della ricchezza dai Romani a oggi.   Ogni tanto, vi s’infila qualcuno, proveniente dalle classi inferiori, ma il numero dei veri ricchi, in cima non può non restare ridottissimo: dai cavalieri romani ai finanzieri di Wall Street. Dipende dalla natura umana,  non dipende dal capitalismo. Anzi, negli ultimi tre  secoli, proprio grazie all’economia di mercato - che per ricaduta ha prodotto il  welfare (per alcuni  anche troppo...) -   si è potuto redistribuire di più, sicché  la piramide si è trasformata in fiasco dalla pancia molto grossa: il ceto medio dei moderni. Il nerbo dell’attuale sistema economico e sociale. E secondo Aristotele di ogni saggio regime politico.   Un ceto -   quando si dice il caso - di cui gli egualitaristi  teorizzano  lo sfaldamento,  pronti a sottolineare  ogni  minimo segnale di cedimento,  fedeli alla difettosa lezione di Marx su proletarizzazione e caduta del saggio di profitto. Inciso: da quarant’anni tento di studiare sociologia e  da quarant’anni sento blaterare di dissoluzione del ceto medio, l’ultimo è Piketty, grande romantico politico (si capisce dal primo capitolo del suo libro),  già  smentito dagli economisti seri.
Sul passaggio dalla piramide al fiasco, esistono montagne di studi: inutile annoiare i lettori ( ma consiglieremmo di partire da Pareto). Il rischio vero,  però,  resta  quello  di tornare indietro: alla piramide. In che modo?  Cedendo al pessimismo. Ideologico, attenzione. Ossia, dando retta alle prefiche  egualitariste che  predicano la  distruzione del fiasco, magari ad opera  dello stesso capitalismo, che, come si sostiene, mentendo,  creerebbe, per un verso  sempre più poveri, per l’altro sempre più ricchi.   In realtà, come abbiamo detto accade l’esatto contrario: i ricchi, come numero, più o meno sono sempre quelli, mentre il  ceto medio  è cresciuto.
I ricchi sono più ricchi di un tempo?  Cosa difficile da dire e soprattutto provare. Ma, ammesso e non concesso che sia così, si dovrebbe guardare piuttosto che alle distanze di reddito allo stile e al tenore di vita di chi un tempo era sotto nella scala della ricchezza:  stile e tenore,  che non può essere assolutamente paragonato  a quello di  due o tre secoli fa.  Chi oggi parla di “macelleria sociale” e altre amenità, dovrebbe rileggere il saggio di Engels, anno di grazia 1845, sulla classe operaia inglese: quanta strada si è fatta da allora. Per contro, in Russia, dove i comunisti  sono  riusciti a distruggere la borghesia, oggi la distribuzione delle ricchezza è  tornata  di tipo piramidale. Niente fiasco.  Ma dopo il comunismo, non dopo il capitalismo.
Dietro l’egualitarismo c’è la vecchia ideologia comunista con il suo odio sociale, duro a morire, contro la “razza borghese"  ben descritto nei libri di Nolte”. E infatti, sopra la testata del "manifesto”, cosa c’è scritto? Quotidiano comunista.
Carlo Gambescia

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