mercoledì 20 gennaio 2016

La scomparsa di Ettore Scola
Non c’eravamo tanto amati

Ettore Scola (il primo a sinistra),  Antonioni, Fellini, Rosi,  Maselli alla veglia funebre in onore di  Enrico Berlinguer

Appena i media hanno dato la notizia della morte di Ettore Scola è subito partita la compagnia di giro dell' "è scomparso  uno dei protagonisti del cinema italiano, della cultura italiana, e via  col vento" ( film che l’antiamericano  Scola odiava, si veda, tra gli altri, Permette? Rocco Papaleo).
Ma quale cultura? Ma quale cinema? Tutto il discorso concettuale di Scola si svolge all’interno della cultura comunista, quella più istituzionale e trinariciuta. A parte la produzione documentaristica, che lo è scopertamente,  film, rivolti al largo  pubblico,  come  C’eravamo tanto amati (sul mito dei comunisti come unici interpreti della Resistenza),  Una giornata particolare (sul fascismo ridotto a macchietta maschilista),  La Terrazza ( sul pericoloso imborghesimento dell'intellettuale post-togliattiano), La Famiglia (sui tormenti di coppia del professore falce-e-martello) descrivono l'Italia immaginaria dei comunisti   e delle loro   polemiche sotterranee, giudicate da Scola  con criteri etici da Comitato Centrale. Per capirne la faziosità, si  pensi solo ai personaggi negativi dei suoi film,  sempre ridotti a caricature, degne dei rozzi  corsivi di Fortebraccio :  il costruttore paternalista, corrotto e  corruttore  di C’eravamo tanti amati; il marito fascista, rozzo e imbecille al punto giusto di Una giornata particolare eccetera, eccetera.  E per questo settarismo non abbiamo mai amato Scola.  
Il vero punto, allora, diventa capire perché  un cinema fazioso, come il suo,  si sia imposto e soprattutto perché lo si debba tuttora  considerare,  in modo servile,  patrimonio collettivo. Di chi? Dei comunisti e dei loro nipotini, culturali,  quelli della "meglio gioventù"...  Probabilmente, per le stesse ragioni perché  non è mai esistito nell’Italia nel dopoguerra  un cinema alla Frank Capra. Mancanza di anticorpi liberali.
Carlo Gambescia        

                 

2 commenti:

  1. Caro Carlo, come ti capisco e approvo. Purtroppo l'untuoso abbraccio (spesso mortifero) del comunismo italiano sulla società italiana, non è stato mai rifiutato abbastanza da chi per cultura avversa avrebbe dovuto e potuto. Scola se non fosse stato comunista organico al Partito, non avrebbe fatto una lira (pur bravo, poco avrebbe contato). La stampa, la scuola, le case editrici e il cinema son sempre stati lottizzati in maniera preponderante dalla sinistra, per cui se eri e sei dalla parte giusta, se dici, canti, giri un film, scrivi ciò che il Partito predilige, le porte si aprono, altrimenti... niet. Il muro è crollato, l'Unione dei Soviet pure, ma in Italia i "rossi" non molleranno mai. Non piango come fa Veneziani che indica nell'egemonia culturale dei comunisti la mancanza di spazio di un pensiero liberale e conservatore, spesso chi pecora si fa il lupo se la mangia... Che faceva Veneziani quando dirigeva una rivista mensile, quando aveva un posto al sole in Rai, quando Berlusconi governava (si fa per dire) l'Italia? E gli altri non comunisti, quale contributo di idee e di opere hanno messo sul piatto? I principi, il pensiero, se non si concretizzano in programmi, strategie, sono sterili. Lasciamo perdere la classe politica di Forza Italia e Aenne, composta per lo più di tangheri arrivisti, capaci solo di fare gli ospiti di Mediaset e baccagliare in tivvù. Se vince la sinistra (categoria obsoleta, ma tanto per capirci) da noi, una ragione c'è: sono compatti e organizzati, usano la kultura secondo l'insegnamento di Gramsci e dopo le Frattocchie hanno studiato dai vecchi. Non è solo una questione di mezzi (il vile denaro) o di spazi televisivi (Berlusconi ne aveva ma cosa ne ha fatto?) per promuovere una cultura alternativa a quella corrente. Ci vuole coraggio e dedizione, pur tra ostacoli spesso invalicabili.

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  2. Sottoscrivo Angelo. Grazie dell'importante "chiosa" (chiosa, si fa per dire :-) )

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