Il nodo della crisi francese è uno solo: che l’elettore non vuole più pagare le spese del welfare. Vuole vivere a sbafo. Un atteggiamento che ritroviamo in Germania e altrove, dove premono, contro governi che cercano di far quadrare i conti, forze antisistemiche a destra e sinistra, che promettono mari e monti.
Un populismo che in Italia ha già avuto la sua abbondante razione, prima con il governo Conte, poi con la vittoria della Meloni. Per non parlare delle disavventure di Salvini.
Solo qualche segnalazione per capire come l’idea populista sia ramificata lungo una traiettoria che va destra e sinistra.
In Italia l’estrema sinistra è rappresentata da tutto ciò che è sinistra del Pd (già abbastanza sbilanciato), a cominciare da Avs e M5S, In Germania abbiamo Afd (a destra) e BSW (a sinistra). In Francia Rn (a destra) e Nfp (a sinistra). E si potrebbe continuare.
Del resto è un proliferare in tutta Europa di partiti anticapitalisti e antiliberali che puntano su forme di democrazia plebiscitaria. L’unico l’elemento di divisione tra gli estremisti antiliberali di destra e sinistra resta, ma blandamente, quello dell’immigrazione.
Diciamo che in linea di principio esiste un populismo sovranista e un populismo internazionalista. In realtà, si tratta di un confine che tende a svanire. Perché, come accade in Italia (M5S) e in Germania (BSW) , anche a sinistra sta prendendo piede l’idea che i migranti sono di troppo. Si chiama welfarismo sciovinista è sembra assumere natura trasversale.
Pertanto Macron, che è un liberale riformista, si trova a lottare contro qualcosa di politicamente irresistibile per l’elettore: l’idea che il welfare (dall’assistenza medica alle pensioni, per citare solo due nodi) non deve essere pagato dagli stessi cittadini che ne fruiscono. Infatti il suo governo, su cosa rischia di cadere? Su una legge di bilancio che cerca in qualche modo di tenere in equilibrio i conti pubblici.
In sintesi, è in gioco l’idea del paese dei balocchi welfaristi. Da un parte quei partiti politici estremisti, che promettono che nulla cambierà, anzi, come si proclama, per gli elettori le cose miglioreranno (tipo più servizi e pensioni a costo zero), e dall’altra un centro liberale con le mani legate, che inevitabilmente rischia l’impopolarità, perché amaramente consapevole di tre cose: 1) che la voragine dei conti pubblici rischia di allargarsi; 2) che il buco nero può essere contrastato solo con rigorose politiche di bilancio; 3) che solo i bilanci in ordine favoriscono una ripartenza, non metadonica, (via contributi pubblici) dei mercati.
Non sappiamo se Macron, grazie ai meccanismi costituzionali francesi, riuscirà a resistere come presidente. Il suo mandato scade nel 2027 e secondo la Costituzione non si potrà votare per un nuovo parlamento fino a luglio prossimo. Però, di sicuro, resistere alle tirate demagogiche dei partiti estremisti, anche associandone uno al governo, non sarà facile.
Anche perché il vero nodo, come detto, è nella scelta tra conti in ordine e “superbonus” welfarista (la si legga come una terminologia simbolica), per riferirsi alla disastrosa esperienza italiana (45 miliardi di buco).
Alcuni osservatori sostengono che i partiti populisti – come sta avvenendo in Italia – una volta vinte le elezioni, devono governare per fare così un bagno di realtà.
In pratica è lo stesso ragionamento che le democrazie europee (incluso lo stato maggiore tedesco) estesero negli anni Trenta a Hitler. E che i liberali italiani, circa dieci anni prima, avevano fatto nei riguardi di Mussolini ricevuto in pompa magna dal re dopo la marcia su Roma. Un ragionamento pericoloso che oggi può valere anche per le sinistre populiste per così dire semisovraniste del tutto e subito.
Non è inutile ricordare che proprio in Francia l’esperienza del Fronte popolare nella seconda metà degli anni Trenta del secolo scorso fu disastrosa. Senza dimenticare la diaspora da sinistra a destra, sempre in quel periodo, non solo degli elettori, (in particolare come in Germania di molti sindacalisti), ma di non pochi intellettuali. La parabola politica di un teorico come Henri De Man resta esemplare.
Mettiamo troppa carne al fuoco? Inutile riandare con la mente al passato? Dobbiamo fidarci dei populismi di destra e sinistra? Anche quando si sentono riecheggiare vecchie parole d’ordine addirittura del prefascismo, come “né destra né sinistra”, “ sacro egoismo (nazionale)”, “patrioti” di qua, patrioti di là? Parole d’ordine capaci di catalizzare, ieri come oggi, l’odio delle estreme verso il liberalismo?
La parola al lettore.
Carlo Gambescia