mercoledì 4 dicembre 2024

La crisi francese (e oltre)

 


Il nodo della crisi francese è uno solo: che l’elettore non vuole più pagare le spese del welfare. Vuole vivere a sbafo. Un atteggiamento che ritroviamo in Germania e altrove, dove premono, contro governi che cercano di far quadrare i conti, forze antisistemiche a destra e sinistra, che promettono mari e monti.

Un populismo che in Italia ha già avuto la sua abbondante razione, prima con il governo Conte, poi con la vittoria della Meloni. Per non parlare delle disavventure di Salvini.

Solo qualche segnalazione per capire come l’idea populista sia ramificata lungo una traiettoria che va destra e sinistra.

In Italia l’estrema sinistra è rappresentata da tutto ciò che è sinistra del Pd (già abbastanza sbilanciato), a cominciare da Avs e M5S, In Germania abbiamo Afd (a destra) e BSW (a sinistra). In Francia Rn (a destra) e Nfp (a sinistra). E si potrebbe continuare.

Del resto è un proliferare in tutta Europa di partiti anticapitalisti e antiliberali che puntano su forme di democrazia plebiscitaria. L’unico l’elemento di divisione tra gli estremisti antiliberali di destra e sinistra resta, ma blandamente, quello dell’immigrazione.

Diciamo che in linea di principio esiste un populismo sovranista e un populismo internazionalista. In realtà, si tratta di un confine che tende a svanire. Perché, come accade in Italia (M5S) e in Germania (BSW) , anche a sinistra sta prendendo piede l’idea che i migranti sono di troppo. Si chiama welfarismo sciovinista è sembra assumere natura trasversale.

Pertanto Macron, che è un liberale riformista, si trova a lottare contro qualcosa di politicamente irresistibile per l’elettore: l’idea che il welfare (dall’assistenza medica alle pensioni, per citare solo due nodi) non deve essere pagato dagli stessi cittadini che ne fruiscono. Infatti il suo governo, su cosa rischia di cadere? Su una legge di bilancio che cerca in qualche modo di tenere in equilibrio i conti pubblici.

In sintesi, è in gioco l’idea del paese dei balocchi welfaristi. Da un parte quei partiti politici estremisti, che promettono che nulla cambierà, anzi, come si proclama, per gli elettori le cose miglioreranno (tipo più servizi e pensioni a costo zero), e dall’altra un centro liberale con le mani legate, che inevitabilmente rischia l’impopolarità, perché amaramente consapevole di tre cose: 1) che la voragine dei conti pubblici rischia di allargarsi; 2) che il buco nero può essere contrastato solo con rigorose politiche di bilancio; 3) che solo i bilanci in ordine favoriscono una ripartenza, non metadonica, (via contributi pubblici) dei mercati.

Non sappiamo se Macron, grazie ai meccanismi costituzionali francesi, riuscirà a resistere come presidente. Il suo mandato scade nel 2027 e secondo la Costituzione non si potrà votare per un nuovo parlamento fino a luglio prossimo. Però, di sicuro, resistere alle tirate demagogiche dei partiti estremisti, anche associandone uno al governo, non sarà facile.

Anche perché il vero nodo, come detto, è nella scelta tra conti in ordine e “superbonus” welfarista (la si legga come una terminologia simbolica), per riferirsi alla disastrosa esperienza italiana (45 miliardi di buco).

Alcuni osservatori sostengono che i partiti populisti – come sta avvenendo in Italia – una volta vinte le elezioni, devono governare per fare così un bagno di realtà.

In pratica è lo stesso ragionamento che le democrazie europee (incluso lo stato maggiore tedesco) estesero negli anni Trenta a Hitler. E che i liberali italiani, circa dieci anni prima, avevano fatto nei riguardi di Mussolini ricevuto in pompa magna dal re dopo la marcia su Roma. Un ragionamento pericoloso che oggi può valere anche per le sinistre populiste per così dire semisovraniste del tutto e subito.

Non è inutile ricordare che proprio in Francia l’esperienza del Fronte popolare nella seconda metà degli anni Trenta del secolo scorso fu disastrosa. Senza dimenticare la diaspora da sinistra a destra, sempre in quel periodo, non solo degli elettori, (in particolare come in Germania di molti sindacalisti), ma di non pochi intellettuali. La parabola politica di un teorico come Henri De Man resta esemplare.

Mettiamo troppa carne al fuoco? Inutile riandare con la mente al passato? Dobbiamo fidarci dei populismi di destra e sinistra? Anche quando si sentono riecheggiare vecchie parole d’ordine addirittura del prefascismo, come “né destra né sinistra”, “ sacro egoismo (nazionale)”, “patrioti” di qua, patrioti di là? Parole d’ordine capaci di catalizzare, ieri come oggi, l’odio delle estreme verso il liberalismo?

La parola al lettore.

Carlo Gambescia

martedì 3 dicembre 2024

Sono sempre quelli di Bruno Buozzi

 


Ecco la reazione di Giorgia Meloni all’ uscita di scena di Tavares:

” ‘Faremo del nostro meglio per difendere l’occupazione e l’indotto. Abbiamo un tavolo con Stellantis convocato a metà dicembre, speriamo possa essere quello risolutivo’, dice in serata la premier Giorgia Meloni che sottolinea ‘le battaglie dei sindacati francese e americano, mentre rispetto a queste urla il nostro sindacato – aggiunge – era un pò afono’ “.

In realtà,  altro che afonia. Si legga qui:

“ I sindacati sperano che l’uscita di scena di Tavares, con cui i rapporti non erano facili, permetta un cambio di passo. ‘Tavares non ci mancherà, non ha mai creduto alle relazioni sindacali. Ha delocalizzato, ha frenato gli investimenti in Italia, è arrivato a sfidare lo Stato. Le sue dimissioni determineranno una svolta’, afferma il segretario generale della Cisl Luigi Sbarra, mentre il leader della Cgil Maurizio Landini, chiede che la presidenza del Consiglio convochi Stellantis e i sindacati ‘per discutere su quali politiche industriali e quali investimenti si fanno nel nostro Paese’. ‘Quello di Tavares è un capitolo chiuso, purtroppo disastroso per l’occupazione e per l’azienda. Per il futuro ci aspettiamo discontinuità e coraggio’, aggiunge il segretario generale della Uil, PierPaolo Bombardieri. Nel mirino dei sindacati c’è anche la ‘buonuscita’ di Tavares stimata in 100 milioni “ (*).

Il che significa che Giorgia Meloni mente per mettere in cattiva luce il sindacato, dipingendolo, secondo l’iconografia ideologica fascista, come un servo sciocco del potere plutocratico.

Pur di mettere  a segno una battuta volgare e velenosa, Giorgia Meloni ignora quel fair play tra avversari che caratterizza la democrazia liberale.

Si rifletta su un punto. Sabato scorso Landini era dipinto a tinte fosche come un terrorista, neppure due giorni dopo come uno dei tanti sul  libro paga di Stellantis.

Esageriamo? No. Giorgia Meloni non ha alcuna cultura liberale delle istituzioni. Detto altrimenti, viola la regola numero 1: non rispetta gli avversari, regolarmente trasformati in nemici assoluti. Il che spiega le velenose e irrituali battute.

Non dimentichiamo che l’odio della destra di ispirazione neofascista verso i sindacati liberi, dalla quale proviene la Meloni, rimanda allo squadrismo e alle dure condanne al confino. E giunse al culmine, nel giugno del 1944, con l’arresto e fucilazione da parte dei nazifascisti di Bruno Buozzi. Il fatto che  furono le SS  a premere il grilletto  non attenua assolutamente la responsabilità morale dei fascisti.

Per questa gente, che ancora ritiene che Mussolini fece cose buone, ieri come oggi, il solo sindacalista buono è il sindacalista morto. Che poi lo si uccida moralmente, e non più con il mitra, è differenza di grado non di genere. Sono sempre quelli di Bruno Buozzi.

Un’ultima riflessione. Che a difendere in Italia la dignità del ruolo del sindacato dalle menzogne di Giorgia Meloni siano  rimasti in pochi, compreso chi scrive, già ammiratore di Margaret Thatcher, è triste.  Veramente triste.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.ansa.it/sito/notizie/economia/aziende/2024/12/02/stellantis-lavora-sul-dopo-tavares-crollo-in-borsa.-meloni-difenderemo-i-lavoratori_a4822624-321d-4ff6-89b7-c874af29e0f2.html .

lunedì 2 dicembre 2024

Aleppo, Aleppo mon amour




Per i Crociati Aleppo, oggi seconda città per importanza della Siria, restò un sogno impossibile. La città fu assediata senza fortuna nel 1098.

Ai confini della Turchia, Aleppo ha sempre ricoperto, pur tra alti e bassi, un ruolo, anche economico, di collegamento con l’entroterra verso la favolosa Baghdad abbaside, che aveva strappato lo scettro alla Damasco omayyade.

Vi è tuttora presente una comunità di derivazione cristiano-orientale, non mancano i cattolici. Tra i vari partiti coloniali Aleppo nella prima metà del Novecento entrò nella sfera di influenza francese: “Aleppo, Aleppo mon amour”, canticchiavano gli ufficialetti francesi prima di perdersi in furtivi accoppiamenti coloniali. Niente a che vedere con le lagne pacifiste oggi.

La prima religione resta quella sunnita, con una forte minoranza sciita. Crocevia di popoli, bizantini, arabi, turcomanni, armeni, curdi, circassi. Questi ultimi dai tratti gentili, non orientali, come si intuisce nei Sette pilastri della saggezza, scatenavano regolarmente le turbe non omicide (come con gli armeni) ma erotiche degli ufficiali turchi. Forse il colonnello Lawrence ne fece le spese…

Oggi come oggi, la Siria, rappresenta il fallimento del socialismo nazionale nel megalomane stile di Nasser, reinterpretato sul palcoscenico siriano da quel partito Baath (in arabo Risorgimento) che in Siria, come certe vecchie compagnie di provincia, si esibisce stancamente sulle assi polverose e deformate del teatrino della famiglia Assad. Per capirsi: “Ma ‘ndo vai se la banana non ce l’hai”.

Politicamente parlando, la Siria, oltre ai doni delle organizzazioni internazionali, si regge in piedi grazie all’aiuto militare di russi e turchi e ai sogni di gloria di un Iran, sciroccato quanto il suo nemico Trump, che vagheggia una specie di riconquista sciita, attrezzato però come i soldati di Mussolini in Russia. Drone più, drone meno.

Quel che sta accadendo in questi giorni, vede un movimento armato sunnita, probabilmente finanziato dalle amiche petromonarchie, riprendere la guerra in nome – forse – dell’edificazione di un mitico stato islamico. Che però, per rinascere, ha necessità di spazzare via turchi, russi e il caracollante regime di Assad, ultime vestigia, ripetiamo, del sogno socialista-nazionale del Baath a conduzione familiare. Vasto programma, quasi quanto quello della Prima Crociata che portò all’ assedio di Aleppo.

Invece che cosa fanno i crociati di oggi? L’Ue per capirsi? L’Europa teme i profughi e perciò spera nell’operato militare di russi e turchi. Insomma, tacitamente, demanda. Quanto agli Stati Uniti, sarà difficile che nella fase di transizione si muova foglia. La Cina è lontana. Per ora.

Il che significa apertura di un altro fronte per Mosca. Cosa buona per l’Occidente. Ma Mosca, già inguaiata in Ucraina, se la sente di gettare altra benzina sul fuoco del Medio Oriente? Sono giorni febbrili.

Quanto a Israele le divisioni dei suoi nemici sono una manna dal cielo. Bene così perciò. Ferma però restando la pericolosità della rinascita di uno Stato islamico, in realtà, al momento, ben lontana dal concretizzarsi.

Insomma, situazione fluida, tutto può succedere. Escluderemmo solo uno scatto di orgoglio europeo.

Aleppo, Aleppo, mon amour, dove sono i discendenti dei Crociati caduti sulle tue mura con le spade in pugno?

Carlo Gambescia

domenica 1 dicembre 2024

La destra degli istigatori

 


Il lettore osservi le prime pagine di oggi dei tre principali giornali organici alla destra. Sono la riprova di tutto ciò che la destra non deve essere. Ci riferiamo in particolare al titolo di apertura fotocopia ( o quasi) contro i sindacati. Probabilmente concordato tra direttori.

Quali sono le finalità della "campagna"? Nell’immediato, mettere in cattiva in luce il sindacato, che – cosa in Italia gravissima – vuole “fregarci” il Natale (in realtà, si tratta di scioperi già programmati da tempo, non tutti riconducibili a Cgil e Uil *). E in prospettiva, ecco l’aspetto più serio, introdurre limitazioni al diritto di sciopero. Tra l’altro, in Italia, già regolamentato, in particolare nei servizi pubblici.

Landini, che ripetiamo non brilla per simpatia, non è un rivoluzionario come lo si vuole far passare giocando sul senso della parola “rivolta”, da lui usata in chiave morale, forse moralistica (ma è questione di punti di vista). Tra l’altro Landini fa cenno a una sana lettura, quella de L’homme révolté, una pregnante raccolta di Camus, uscita nel 1951. Dove si critica proprio l’idea di rivoluzione in senso leninista. Come noto, la raccolta sancì la separazione tra Camus e Sartre, allora vicino alla linea filosovietica del partito comunista francese.

L’homme révolté ha un taglio libertario, nobile. Ci si appella alla creatività umana come molla di progresso nella libertà. Pertanto il testo di Camus non può essere liquidato come un opuscolo estremista. Tutt’altro. La raccolta racchiude una severa critica di qualsiasi tipo di utopia, politica, sociale, religiosa, metafisica. Un libro che si legge ancora oggi con piacere. Sembra che Landini ne abbia fatto dono a Giorgia Meloni . Con risultati finora non proprio brillanti. Ammesso che sia riuscita a leggerlo (**).

In realtà le proposte di Landini (salario minimo, migliori servizi sociali, busta paga più nutrita, maggiori assunzioni a tempo indeterminato, eccetera ) si muovono sul piano della socialdemocrazia. Che può piacere o meno ( a noi non piace, perché Landini ignora la questione della produttività), ma non è assolutamente un programma rivoluzionario.

Ora dipingere Landini come una specie di Che Guevara è scorretto. Oltre che pericoloso, perché si liquida il sindacato come una specie di diramazione, neppure secondaria del Castrismo. Quando, come noto, Landini reclama maggiore coinvolgimento: atteggiamento giustissimo dal punto di vista socialdemocratico. Altro che rotture rivoluzionarie.

Perché la destra si comporta così male, a cominciare dal cattivo uso dei suoi giornali di riferimento? Perché è priva di cultura liberale. Nel senso che non vuole ascoltare altre campane. “Questa” destra non è capace di esercitare nei riguardi dell’avversario la nobile arte dell’ascolto e della mediazione.

Salvini parla addirittura di  limitare ulteriormente il diritto di sciopero, attribuendo al sindacato oscure finalità di rivolta sociale. Sul punto Meloni tace, lasciando fare il lavoro sporco al leader della Lega. E qui purtroppo si avverte, in tutta la sua ambiguità, il peso dell’autoritarismo di scuola fascista.

Un bel guaio. Anche perché la radicalizzazione chiama altra radicalizzazione. Non tanto all’interno del sindacato quanto tra le frange lunatiche della sinistra. E sul punto il catastrofismo della stampa organica alla destra non aiuta.

Un’ultima notazione, personale. Qualcuno si chiederà come è possibile che Gambescia, già ammiratore della Thatcher,  difenda il sindacato? In realtà non è proprio così, difendiamo il diritto al dissenso del sindacato, che è anche diritto allo sciopero. La Thatcher ai minatori contestava lo scarso seguito  nel resto  di  un sindacato che non si opponeva, come da referendum, alla liquidazione di miniere obsolete e improduttive. Ieri invece le piazze erano piene.

Ovviamente delle scelte programmatiche di Landini non condividiamo nulla. Però riteniamo ingiusto liquidare le sue idee come rivoluzionarie e pericolose. Landini è un socialdemocratico. Non è un leninista.

Concludendo, se non è condivisibile l’approccio autoritario della destra, figurarsi se è accettabile il ricorso a menzogne che avvelenano il clima politico.

Ripetiamo, le idee di Landini saranno pure discutibili. Ma l’atteggiamento di “questa” destra è odioso. Diremmo addirittura istigatore. Come provano i suoi giornali.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2024/11/30/salvini-pronto-a-precettare-ancora-landini-non-molla-_717a9f4f-77e1-470c-906c-003087e84fcc.html .

(**) Sempre qui:https://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2024/11/30/salvini-pronto-a-precettare-ancora-landini-non-molla-_717a9f4f-77e1-470c-906c-003087e84fcc.html .