*********************senza "metapolitica" si finisce sempre per fare cattiva "politica"*******************
martedì 31 dicembre 2024
Scherzando scherzando Pulcinella-Libero disse la verità...
In principio furono i latini. Orazio in particolare: “Ridentem dicere verum: quid vetat?” Tradotto: “Dire la verità ridendo: chi lo vieta?” . Per poi arrivare, con un bel salto temporale, primi del Seicento, alla maschera di Pulcinella: pigro e pronto a tradire il padrone per un bel piatto di spaghetti, ironico con i potenti, quel che basta, per divertirli, e così sbarcare il lunario.
A questo fa pensare la pubblicazione su "Libero" di un classico ritratto stilizzato del “Duce”, “uomo dell’anno” – quello peggiore con l’elmetto, buffonesca parodia di una guerra disastrosa – che molti italiani, ma in foto incorniciata, gentile lascito del bisnonno, tengono tuttora in casa. Magari in soffitta. Il lettore si fidi, chi scrive conosce i suoi polli.
Mussolini piace tuttora. Ad esempio, la regola numero 1 di quasi tutti gli editori italiani, soprattutto di saggi storici e politici, resta quella di mettere in copertina l’effigie del “Duce”, per attirare l’attenzione e vendere di più. Si pensi alle copertine di Einaudi, togatissimo editore di sinistra, del Mussolini di Renzo De Felice.
Ma nel caso di “Libero” qual è questa verità che ridendo, eccetera? È nell’abilissimo combinato disposto tra Mussolini stilizzato, si badi quasi a tutta pagina, e l’ editoriale di Mario Sechi sull’antifascismo ridicolo della sinistra, giornalista esperto in salto in lungo, passato da Monti a Meloni.
Si rifletta. Per un verso, si pubblica il ritratto di un Mussolini da Foro Italico, che piace, dall’altro si irride alla mania della sinistra di vedere il fascismo ovunque.
Sechi presenta la cosa come una provocazione. Per capirsi: "Insultate, insultate pure, noi della destra, dandoci dei fascisti, e noi mettiamo il duce in prima pagina. Tiè".
Sechi ironizza. Ride della sinistra. Però la verità che affiora è un’altra: quella di una destra che non perde occasione per rinverdire il mito del “Duce”. Quanti italiani, di idee autoritarie, oggi si daranno di gomito, dicendo, “ che marzialità, quando c’era Lui, in Italia non entrava nessuno e ci temevamo all’estero“?
Il nostro “fidatevi” rivolto ai lettori è corroborato da sondaggi che dicono che esiste uno zoccolo duro: un italiano su tre non si riconosce nei valori dell’ antifascismo (*). Il che ovviamente non significa essere automaticamente di destra o fascisti. Però non è poco che dopo ottant’anni esista un’area diciamo di “indifferenza”, dove il fascismo potrebbe “pescare” voti tra i soggetti con personalità autoritaria. Considerati, per giunta, almeno tre ricambi generazionali dal 1945.
Il mito Mussolini, è tale, perché vive separato culturalmente e psicologicamente da una realtà tragica, fatta di dittatura e guerre, che gli italiani, come spiegavamo, sembra abbiano dimenticato. Ma c’è dell’altro: esiste tuttora una diffusa mentalità autoritaria ( e qui si pensi in particolare agli elettori, almeno due su quattro, della Lega e di Fratelli d’Italia) che ritiene che il fascismo-stato ( quello dei treni in orario, del divieto di sciopero e delle leggi razziali) abbia fatto anche cose buone (**).
Insomma, Sechi, come Pulcinella, ridendo dice la verità. Quale? Che è fascista. Quantomeno come mentalità. Autoritaria, quindi con possibile “scivolo” fascista. Si ricordi quel che abbiamo scritto - non poco - a proposito della "tentazione fascista" (***). E con Sechi lo è tutta la gente, dalla memoria corta (dai politici ai non pochi elettori) che appoggia il governo Meloni. Esageriamo? decida il lettore.
Infine qualcuno si chiederà: ma come è possibile se Sechi, Capezzone e altri si dicono liberali?
Ecco, “si dicono”. Ma come può un vero liberale lisciare il pelo ai fascisti, pubblicando gigantografie del duce con l’elmetto?
La cosa non esiste. Neppure per scherzo.
Carlo Gambescia
(*) Si veda ad esempio qui: https://www.quotidiano.net/politica/italiani-antifascisti-sondaggio-25-aprile-b052c579 .
(**) Qui un nostro commento: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2024/12/il-fascismo-come-forma-mentis.html . Dati in argomento nel sondaggio alla nota (*). Ma si veda anche un altro nostro articolo: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2022/07/sul-fascismo-immaginario.html .
(***) Qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/search?q=tentazione+fascista .
lunedì 30 dicembre 2024
Carter. Il predicatore morale
Su Wikipedia, per quel che può valere, esiste una voce dedicata alla popolarità dei presidenti americani (1), ricavata dalla raccolta di una serie di sondaggi storici. L’idea in sé, dal punto di vista delle scienze sociali, a prescindere dalla metodologie, è ridicola. È come voler mettere ai voti la storia. Se in Italia si tentasse lo stesso scherzetto demoscopico, di sicuro, Mussolini spiccherebbe.
Il punto è che i giudizi sono quasi sempre generazionali, perché la memoria degli esseri umani è corta. Il tempo non è poi così galantuomo come si dice. La distanza temporale tende a favorire l’idealizzazione persino dei dittatori. Si pensi a figure come Peron, Franco, lo stesso Mussolini, tuttora ammirate. Persino Hitler ha i suoi simpatizzanti.
La storia non può essere messa voti, o comunque rimessa agli umori ondivaghi di elettori, che oggi come oggi, nonostante l’alfabetizzazione pronunciata, non capiscono ciò che leggono (almeno uno su due, come asseriscono gli psicologi sociali e della comunicazione)
Detto questo, James Earl Carter, Jr., meglio conosciuto come Jimmy Carter, 39° presidente Usa, scomparso ieri a cento anni, in un sondaggio condotto nel 2014, conquistava l’ ottavo posto: tra Richard Nixon e Thomas Jefferson. Al primo si collocava Barack Obama, seguito da Bill Clinton e dai Bush (padre e figlio). Washington e Lincoln, rispettivamente quarto e quinto. Ronald Reagan al decimo (2). Questo prima del ciclone Trump.
Apparentemente si tratta di una posizione tutto sommato lusinghiera. Ma è stato proprio così? Diciamo che fu il presidente che fece installare i panelli solari sulla Casa Bianca. Il lettore può anche sorridere. Ma correva l’anno 1977. Carter, nel bene o nel male, fu un ecologista ante litteram. Non solo però in questo campo. Qui sorgono i problemi.
Il fallimento storico della sua presidenza – in fondo luci e ombre (discreta la politica interna, molto meno quella estera) (3) – rinvia in particolare alla politica medio-orientale. In particolare due errori che l’Occidente ancora non ha finito di pagare.
In primo luogo, la pace, se si così si può chiamare tra Egitto e Israele (accordi Camp David, 1978), prematura, o comunque frettolosa, innescò, per reazione, un processo politico involutivo che portò all’assassinio di Sadat. Un moderato, che nel tempo, avrebbe potuto dare di più. E invece si vollero cogliere mele ancora non mature. Oggi completamente marcite, e non per colpa di Israele. O comunque non solo.
In secondo luogo, la totale incomprensione del pericolo islamista, nel nome di un’astratta politica dei diritti umani – qui il Carter predicatore morale – condusse alla caduta dello Scià di Persia e all’instaurazione della Repubblica teocratica. Oggi l’Iran, in primis, per colpa di Carter, è un fattore di grave sommovimento geopolitico, non solo nell’area mediorientale.
La colpa fu del moralismo carteriano (4). Purtroppo i diritti umani vanno promossi solo nei riguardi di classi dirigenti che sappiano apprezzarli. Non esistono fulminee conversioni morali, soprattutto negli usi e costumi di un popolo. La storia ha i suoi tempi. Lunghi. Altrimenti si rischia di favorire il nemico.
Ovviamente su Carter, scambiando l'insipienza politica per bontà, cioè dando per buone le intenzioni (il che in politica non è mai sufficiente), circola un’ aneddotica da libro Cuore, che ha favorito nel 2002 l’assegnazione del Premio Nobel per la pace. In Svezia, è noto, tutti i salmi finiscono in gloria.
Resta però il fatto, non proprio encomiabile, che l’elettore americano di religione ebraica non ha mai perdonato a Carter: quello di avere paragonato Israele al Sud Africa segregazionista e soprattutto di avere in qualche modo anticipato la teoria, oggi in voga tra gli antisemiti, pardon antisionisti, sulla natura colonialistica dello stato di Israele, come prova un suo libro di memorie uscito nel 2006 (5).
I presidenti predicatori morali (Carter) sono pericolosi quanto i presidenti machiavellici (Nixon). Pertanto c’è poco da celebrare. Carter è morto ma l’Iran teocratico è vivo e vegeto.
Carlo Gambescia
(1) Qui: https://it.wikipedia.org/wiki/Classifica_storica_dei_presidenti_degli_Stati_Uniti_d%27America .
(2) In fondo alla pagina della cit. Voce Wikipedia.
(3) Per una buona guida alla “materia” Carter si veda D. Kaufman e K. Kaufman, Historical Dictionary of the Carter Era, Scarecrow Press, 2013 .
(4) Sul punto si veda la ricostruzione, abbastanza favorevole ma onesta e completa, di K . E. Morris, Jimmy Carter, American Moralist. University of Georgia Press, 1996.
(5) J. Carter, Palestine: Peace Not Apartheid, Simon & Schuster, 2006.
domenica 29 dicembre 2024
“Yanks are coming…”.
“Over there, over there… Yanks are coming…”. Grande canto patriottico americano (*). Non siamo impazziti. Il lettore deve solo avere la pazienza di seguirci fino in fondo.
La prendiamo da lontano (anche se non troppo).
Innanzi tutto, non ci vuole molto a capire che la dicitura politica postmissina Fratelli d’Italia non significa nulla. Una pura e semplice razionalizzazione, a scopo mitologico-politico, di un’idea, che risale al Risorgimento, al canto patriottico "degli italiani" scritto da Goffredo Mameli. Che allora poteva avere un suo senso legato al processo di unificazione liberale. La nostra italica “Over there”, rivolta al Meridione. Ma questa è un’altra storia.
Torniamo a noi. Si lasci stare – e vi sarebbe molto da dire – il modo di governare del partito che si fregia di questo nome. Altro che Fratelli d’Italia. Governa, con alleati, ancora più destra (come la Lega) in chiave divisiva, maggioritaria, parla solo ai suoi militanti ed elettori, giudica la sinistra antinazionale, facendo di tutta l’erba un fascio, come durante il fascismo, dittatura monopartitica che affidava all’Ovra il compito di regolare i conti con “i nemici della patria”.
Si consideri invece il comportamento, a dir poco ambiguo (non proprio da Ovra, però…), scelto dal governo Meloni, nei riguardi di Cecilia Sala finita nelle prigioni dei teocrati iraniani, per essere usata – questa sembra la tesi prevalente – come merce di scambio con una "spia" iraniana, fermata a Milano di cui l’America pare abbia già chiesto l’ estradizione per reati di terrorismo.
E qui nascono due problemi. Da un parte, il governo italiano sembra aver sposato la strada delle trattative segrete con la dittatura religiosa iraniana per “riportare a casa Cecilia”. Quindi si pensa di cedere a un regime politicamente indegno. Il che non è una buona cosa (poi torneremo sul punto). Inoltre si tenga presente anche l’ambigua posizione della sinistra, che già parla di “giornalista fallaciana”, come per dire, “questa” è occidentalista, perciò se l’ è andata a cercare…
Dall’altra parte, come si vocifera, sembra che gli Stati Uniti abbiano anticipato le autorità italiane, segnalando subito la presenza dell’iraniano fermato a Milano: come detto accusato di terrorismo o comunque di aver favorito l’ azione terroristica che ha provocato la morte di tre militari americani in Giordania.
La patata bollente dell’estradizione ora è nelle mani della giustizia italiana, milanese in particolare. Del resto l’Iran aveva già protestato eccetera, eccetera. Dopo di che, come asseriscono i bene informati, ha sequestrato Cecilia Sala come possibile merce di scambio.
Il dilemma che si presenterà nei prossimi giorni è questo: i Fratelli di Giorgia Meloni, sono più Fratelli d’Italia o Fratelli degli Stati Uniti, quindi dell’Occidente?
Da una parte, il governo Meloni, potrebbe rivendicare, come ai tempi di Sigonella, la “sovranità italiana”, e riconsegnare un presunto terrorista a uno stato che invece è terrorista, e non presuntivamente. Dall’altra, estradare negli Stati Uniti un presunto terrorista, in nome della “fratellanza” occidentale.
Sul piano giuridico si possono trovare gli stessi cavilli pro o contro. Ad esempio sui tempi e forme della domanda di estradizione. Per contro, negli Stati Uniti esiste, non in tutti gli stati però, la pena di morte. Insomma, c’è materia per ritardare o accelerare la consegna agli Stati Uniti dell’iraniano, al momento nelle mani dell’Italia. O addirittura per rilasciarlo come un libero cittadino se i giudici milanesi non dovessero ritenere sufficientemente provata la tesi degli Stati Uniti.
Dicevamo di Fratelli d’Italia: se vincerà la fratellanza italiana Cecilia Sala sarà liberata; se invece vincerà la fratellanza occidentale, resterà nelle mani dell’Iran.
In realtà il problema è che in Italia nessuno è fratello di nessuno. Ieri scrivevamo di “Franza o Iragna, purché se magna” (**). Ecco ciò che conta: la “pappatoria”, nel senso di vivere tranquilli, senza pensieri.
Pertanto Giorgia Meloni dovrà vedersela soltanto con suoi fedelissimi, che sono antiamericani e antioccidentali. Per non parlare di Salvini. E della stessa Forza Italia, ormai sottomessa a Fratelli d’Italia: Tajani infatti ha già scelto la via obliqua delle trattative.
Inoltre, Giorgia Meloni, sempre a proposito di divisioni, potrà contare sull’appoggio indiretto di quella parte della sinistra che detesta gli Stati Uniti, e che perciò potrebbe mandare giù l’amaro boccone, sempre in odio agli Usa, della liberazione di una “giornalista fallaciana”, quindi pro Occidente.
E qui va fatta anche un’altra considerazione. Giorgia Meloni scontenterà Trump? Musk che dirà? Oppure, esaltando i suoi istinti patriottici, tirerà dritto come Mussolini?
Difficile dire. Anche se il richiamo della foresta fascista è forte. Insomma, come dicevamo nell’incipit, la dicitura Fratelli d’Italia non significa nulla.
Ma cosa dovrebbe fare l’Italia, quella rinata libera nel 1945, se fosse tuttora corpo e anima con l’ Occidente euro-americano? Estradare l’iraniano e non trattare con Teheran. E “la giornalista fallaciana”? Non piegarsi e sopportare, eroicamente, come avrebbe scelto di fare l’ “Originale”, cioè “la Oriana”.
Infine, perché fare un favore a Trump? Perché, un populista, mezzo fascista, passa, gli Stati Uniti restano. Parliamo dello stesso paese che per ben due volte cantò a gola spiegata: “Over there, over there, Send the word, send the word over there That the Yanks are coming, the Yanks are coming The drums rum-tumming everywhere …“.
“Yanks are coming…”. E vennero a salvarci. E se è vero, come scriveva Kissinger, che insieme agli interessi, che non sono pochi, nelle alleanze anche i valori comuni aiutano, l’Occidente, Italia inclusa, non deve piegarsi a una banda di teocrati e gangster.
Carlo Gambescia
(*) Qui il canto patriottico americano: https://www.youtube.com/watch?v=HZV6lWRZUVI . Che risale all’ingresso in guerra degli Stati Uniti nel 1917.
(**) Qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2024/12/il-caso-cecilia-sala-franza-o-iragna.html .
sabato 28 dicembre 2024
Il caso Cecilia Sala. “Franza o Iragna, purché se magna!”
Una preghiera laica, “little pray for you” (grande Aretha), rivolta agli amici lettori.
Niente di che: solo un’occhiata alla prime pagine di oggi (*).
Panoramica interessante sullo stato confusionale, e diciamo pure sulla variegata vigliaccheria, che caratterizza un’Italia che quando mangia il panettone non vuole essere disturbata.
Ci riferiamo a un fatto gravissimo: l’arresto a Teheran della giornalista del “Foglio”, Cecilia Sala, reclusa a Evin da più in una settimana, senza un’accusa. Prelevata e incarcerata come usano i teocrati iraniani.
Non è c’è un giornale, se non “Il Riformista”, che riferisca le cose come sono: siamo davanti ai nemici della civiltà occidentale, nemici che vanno fermati il prima possibile. E giunta l’ora di una grande battaglia di civiltà: la libertà di stampa è un valore assoluto in Occidente.
E invece? Chi ne fa una spy story ( “il Fatto” e “ Domani” in particolare), chi relega la notizia a fondo pagina (“ Avvenire”), o la storpia in trafiletto (“il Manifesto”), chi la ignora (“L’Identità”, “La Discussione” e non pochi altri), e così via. I giornaloni (“Corriere della Sera”, “La Repubblica “ La Stampa”) prendono atto, chiedendo di riportare la Sala a casa, come se fosse una turista per caso. Infine i giornali di destra (“Il Giornale”, “Libero”, La Verità, eccetera), danno evidenza ma non enfatizzano come al solito. Probabilmente ordini provenienti da Palazzo Chigi: profilo basso ragazzi.
A dirla tutta Cecilia Sala ha l’unico torto di scrivere per un giornale, “Il Foglio”, liberale e dalla parte dell’Occidente. Sicché, in qualche misura, la tesi che filtra è quella dell’essersi messa nei guai da sola, per la serie “se l’è andata a cercare”.
Immagini il lettore quel che invece sarebbe accaduto se la Sala fosse finita nelle prigioni israeliane…
Insomma i giornali italiani stanno a cuccia.
Inoltre, cosa ancora più grave, l’Iran fa paura al governo, che si proclama sovranista. Però, come sembra, non con i nemici dell’Occidente.
Ma come il “Governo dei Patrioti” che non protesta formalmente? E che neppure convoca l’ambasciatore iraniano? O comunque chi rappresenti l'Iran in Italia? E che fa invece? Dichiara, come se la Sala non fosse giornalista ma turista capitata per caso in Iran, di “lavorare” per riportarla a casa. Insomma, si inginocchia. E davanti a chi? A una teocrazia che schiaccia il popolo iraniano, fomenta il terrorismo in Occidente e che su Israele la pensa come Hitler.
Pertanto non solo dobbiamo sopportare un giornalismo fazioso e psicologicamente suddito di un’idea di pace a ogni costo e con tutti, compresi i feroci teocrati iraniani. Ma dobbiamo subire anche le ridicole dissimulazioni della politica. In particolare quella di un governo di destra, che prima le spara grosse come Scaramacai Mussolini, dopo di che, come Pa-via, “città che spara e scappa via”, (battuta originale dello Scaramacai, vero, quello della nostra infanzia televisiva), coda tra le gambe e in fila davanti la teocrate inturbantato.
Probabilmente Giorgia Meloni, svendendosi politicamente e svendendo la libertà, lei che di solito è pronta a mettere bocca su tutto ma che ora tace, riuscirà a portare a casa, come si legge, Cecilia Sala.
Alta politica, scriveranno in coro i suoi giornalisti di fiducia.
Fandonie: “Franza e Iragna, purché se magna!”, per citare il grande Guicciardini. Ovviamente riveduto e corretto.
Anche l’Italia dei “patrioti” tiene famiglia. Si umilia e si arrabatta.
Così vanno le cose.
Carlo Gambescia
(*) Qui: https://www.giornalone.it/ .
venerdì 27 dicembre 2024
Papa Francesco e il concetto di pena
Il gesto del papa argentino di aprire una seconda Porta Santa a Rebibbia ha indubbio valore simbolico. Però, però, però…
Francesco ha parlato di speranza, gran panacea per l’impotente. E di conseguenza dei primi che saranno gli ultimi, insieme a coloro che non hanno mai visitato i detenuti, girandosi dall’altra parte. Con i giornalisti si è lanciato nelle consuete esternazioni populiste dei pesci piccoli che, a differenza dei pesci grandi, non finiscono mai in carcere.
Però il suo invito, sostanzialmente, sembra rivolto all’umanizzazione delle istituzioni esistenti. In sintesi: il carcere rieduchi, e una volta tornati liberi, lo stato aiuti i detenuti e reinserirsi.
Insomma, l’accento viene posto sulla funzione della pena, e non sul valore ( e senso) della pena in quando tale. Del resto il cristianesimo, e la chiesa cattolica in particolare, sul senso di colpa (partendo dalla teologia del peccato originale) hanno edificato la loro fortuna.
In realtà è proprio l’ idea di pena che andrebbe messa in discussione. Cioè per i reati, non di sangue diciamo, alla pena dovrebbe sostituirsi, da subito, l’esperienza di lavoro o di studio. Attenzione: all’esterno, in società, non all’interno di strutture “protette” per così dire. Si pensi qui alle restrizioni per i minori.
In carcere si può diventare soltanto peggiori, fuori dal carcere,
con un lavoro o studio, come attività proiettate verso finalità
concrete, si può migliorare o almeno provare, e seriamente, a
diventare migliori. Può scoccare la scintilla della gioia di vivere con
un lavoro onesto. Si apra perciò al senso di responsabilità dell’individuo. Ecco la vera rivoluzione.
Per esprimersi in modo paradossale, un reato minore, come un piccolo furto, può diventare – il lettore sorrida pure – “occasione” per trovare un posto di lavoro. Diciamo “condannati” a lavorare e studiare. Ma “all’aperto”, nel vivere sociale, non in strutture punitive, sorrette dal concetto di espiazione della pena.
Ovviamente sono percorsi che potrebbero riguardare soprattutto i giovani, diciamo tra i 18 e i 35 anni (e a maggior ragione i minori), secondo le statistiche più plasmabili. Ma anche qualsiasi altro soggetto che provi di essere animato da una forte motivazione. Resterebbe qui essenziale un’opera di tutoraggio, però non di tipo poliziesco.
Un altro punto non secondario, collegato all’idea di pena in quanto tale, è quello della depenalizzazione delle vendità e del consumo delle droghe, a sua volta legato alla liberalizzazione totale.
In Italia quasi un terzo dei detenuti è “dentro” per reati commessi in questo ambito (*). La liberalizzazione (e il conseguente “azzeramento” dei reati) metterebbe fine a tutto ciò. Una misura, liberale e rivoluzionaria al tempo stesso, che però papa Francesco, “il papa delle periferie”, come si fa chiamare, non accetterebbe, perché proibizionista, come tutta la chiesa.
Concludendo, da un parte un papa conservatore, che, nonostante tutto, sembra restare fedele al concetto di pena, dall’altra una visione liberale che vede nella pena come valore espiativo (ma anche rideucativo in carcere) un concetto superato, ovviamente per i reati non di sangue.
La vera Porta Santa da aprire è quella del lavoro o dello studio senza passare per il carcere o altre stutture restrittive. Tutto qui.
Carlo Gambescia
(*) Qui:
giovedì 26 dicembre 2024
La scomparsa di Dalmacio Negro Pavón
La morte di Dalmacio Negro Pavón, il 23 dicembre, nella nativa Madrid, per un malore improvviso, all’età di 93 anni, è una grande perdita per la scienza politica europea. È mancato come sorte ha voluto, lo stesso giorno in cui era nato.
Parliamo di uomo generoso, affabile, coltissimo, autoironico, grande didatta e profondo scienziato della politica, ancora lucidissimo e in piena attività. Tra i suoi ultimi lavori va ricordato La ley de hierro de la oligarquía (Encuentro, 2015). Una densa disamina, che in meno di cento pagine esplora in modo convincente, ciò che al tempo stesso si può definire una regolarità metapolitica e uno strumento per illustrare la crisi delle classi dirigenti europee. Un piccolo capolavoro degno del sapere di un Gaetano Mosca e dell’etica politica di Benedetto Croce.
Da ultima va ricordato Tradición de la libertad (Unión Editorial, 2019), vero concentrato del suo pensiero in argomento, in cui il grido di allarme per la libertà, stretta tra l’enorme appetito fiscale dello stato welfarista e il conformismo di burocrazie del pensiero, si fa pressante e lucido al tempo stesso.
In Italia ho avuto il piacere di pubblicare Il Dio Mortale. Il mito dello stato tra crisi europea e crisi della politica (2014). Uscito per la collana del Foglio che dirigo con Jerónimo Molina, suo allievo, alla Complutense, dove Negro insegnava, unitamente, negli ultimi anni, alla CEU San Pablo.Lo studio fu tradotto e curato dall’ottimo Aldo La Fata.
Un aneddoto che spiega bene l’uomo e lo studioso. Gli scrissi per il completamento di alcune note. Pentendomi subito, timoroso di averla fatta grossa (importunare un cattedratico di quell’importanza…). Invece Don Dalmacio mi rispose in un lampo ringraziandomi per l’accuratezza, inviandomi tutti i dati necessari. Un grande.
La sua posizione politica e storiografica può essere ricondotta tranquillamente nella speciale galleria del liberalismo triste. Detto altrimenti del liberalismo realista, “non ridens”. Negro tra l’altro apprezzò molto il mio libro in argomento e si prodigò con l’amico Molina perché fosse pubblicato in castigliano.
Per un approfondimento del suo pensiero consigliamo in primis (anche perché in Italia non lo si è tradotto quanto meritava) il già citato Il dio mortale (Il Foglio 2014), in secundis, Historia de las formas de Estado (El Buey Mudo, 2010), nonché Gobierno y Estado (Marcial Pons, Ediciones Jurídicas y Sociales, 2002, di cui Il dio mortale è la versione italiana ampliata) e La tradición liberal y el estado (Unión Editorial, 1995).
Un liberalismo triste, dicevamo, che oltre alla grande lezione di pensatori liberali europei come Tocqueville, ha approfondito quella di Carl Schmitt. Sul punto si veda Estudios sobre Carl Schmitt (Fundación Cánovas del Castillo, 1995). Senza dimenticare l’influsso di un cristianesimo realista, attento alle opere piuttosto che alle parole della Chiesa. Un argomento che indaga a fondo in Lo que Europa debe al cristianismo (Unión Editorial, 2006).
Negro va indubbiamente ricondotto, pur non rientrandovi, cronologicamente, in quello che Jerónimo Molina ha definito il “ cuarto de siglo oro del pensamiento político español” (1935-1969 *).
Va però onestamente detto che sul piano delle definizioni, anche postume, il “siglo de oro”, come canone, a Negro stava un poco stretto. Nel senso di una sua maggiore duttilità verso il pensiero politico europeo del filone liberale e moderno, oltrepassando così il tragico confronto secolare tra le due Spagne, la tradizionalista e la moderna. Culminato nella Guerra civile del 1936-1939.
Ovviamente Negro si muove “con juicio”. Mai stato un fanatico della modernità, né un paladino di una tradizione radicata in qualche iperuranio. Il che, e non per mettere le mani avanti, esclude una interpretazione di sinistra del suo pensiero (**).
Liberalismo, realismo, cristianesimo sono i tre termini per interpretarne l’opera. Il circolo virtuoso del suo pensiero. Senza dimenticare il rigore scientifico e il suo sguardo disincantato sul mondo.
Un disincanto sano diciamo, non nichilista da insopportabile e snobistico pellegrino dell’essere: il disincanto di Negro è quello del realista serio, che indaga il mondo (dove non ci si bagna mai due volte nello stesso fiume) perché fa parte del mondo e vuole capire.
Negro non si trastulla con il proprio ombelico, ma resta a guardia dei fatti. Il che, ma questo è un nostro modestissimo parere (***), gli ha consentito, grazie anche alla sua forte fibra, di giungere e 93 anni.
Diciamo pure che se li è meritati tutti.
Carlo Gambescia.
(*) Lo scritto di Molina è qui: https://www.eldebate.com/cultura/20240316/francisco-javier-conde-cuarto-siglo-oro-pensamiento-politico-espana_182245.html .
(**) Sui vari punti del pensiero di Negro si veda la raccolta di scritti per i novant’anni curata da Jerónimo Molina, Pensar el estado. La política de los hechos y la política de la libertad , Los papeles del sitio, 2022.
(***) Per questi aspetti si veda “Presentancíon del Editor” in D. Negro, Liberalismo e iliberalismo. Articulos políticos (1989-2013), Edición de Molinagambescia, Los papeles del sitio, 2021).
mercoledì 25 dicembre 2024
martedì 24 dicembre 2024
La sinistra delle isole pedonali (che non vincerà mai)
Molto significativa, diremmo addirittura altamente simbolica, la presenza di Giorgia Meloni, premier, dalle salde radici missine, e quella più ovvia del sindaco Gualtieri, già federazione giovanile comunista, all’inaugurazione del sottopassaggio veicolare di piazza Pia, in fondo a via della Conciliazione, direzione Castel Sant’Angelo.
Ci scusiamo per la precisazione da vigile urbano, ma è per i lettori non romani.
Dimenticavamo, oltre a Salvini Capitan Fracassa, era presente un prelato. Che ringraziava. Per la serie, “Stato laico dove sei?”.
Un’opera finanziata in parte con le elemosine pubbliche europee del Pnrr. Un’opera inutile. Costata 85 milioni. E per che cosa? Per crearvi sopra un’isola pedonale. L’idea fissa della sinistra. Centri storici come musei a cielo aperto. Altrimenti detto: città imbalsamate. E per che cosa? Pe favorire il turismo. Che però deve essere contingentato. Ecco l’ultima idea della sinistra. Che però così si incarta. E ora spiegheremo perché.
Dicevamo valore simbolico, perché indica, come del resto ha rilevato la Meloni, un metodo comune. Che rimanda allo statalismo dei finanziamenti a pioggia per costruire opere inutili. Che ovviamente riflettono i gusti politici, diciamo. Isole pedonali a Roma (sinistra) e carceri per migranti in Albania (destra).
Ovviamente, meglio le isole pedonali che le prigioni. Però, se ci si pensa bene, tra la l’incarcerazione delle piazze e quella del migrante, per dirla con Aristotele, c’è una differenza di genere non di specie. L’idea, a destra come a sinistra, è la stessa: che lo stato conti più dell’individuo. Di qui tasse e divieti.
Il punto è che questa destra e questa sinistra non sono liberali. Su un punto cardinale: ritengono di sapere ciò che è bene e male per l’individuo. E di riflesso di decidere in luogo del singolo cittadino.
Il migrante in Albania? Certo, dice la destra, peggio per lui, poteva restare e casa sua. Lo stato deve difendere i confini.
Le automobili? O elettriche o all’autodemolitore, così sostiene la sinistra. Lo stato deve occuparsi della salute dei cittadini.
Stato, stato, stato. Sempre stato. Il participio passato della libertà.
Si dirà che la comparazione non regge, eccetera. Probabilmente è più
grave sbattere in Albania un povero migrante. Certo. Però, ripetiamo,
la forma mentis (come ci piace dire) è la stessa. Alla sordiana maniera
del Marchese del Grillo: “Io, stato, regione, comune sono tutto, Tu
individuo e cittadino sei nulla”. Per non essere volgari.
E qui veniamo ai consigli per gli acquisti (politici) rivolti alla sinistra. Uno solo: o si fa liberale o non vincerà mai. O se vincerà, durerà poco. Perché lo statalismo della destra parla direttamente alla pancia degli italiani. Mentre quello della sinistra parla difficile. Da teologi del bene pubblico.
Si ricordi in argomento il gustoso libro di Ricolfi sul perché la sinistra risulta antipatica.
Si pensi alla questione del turismo. La sinistra dice che le isole pedonali lo favoriscono, poi però i turisti non devono essere troppi, perchè non è ecologico, eccetera. Quindi, per salvare il pianeta, il turismo va scoraggiato con tasse ed altre imposizioni. Però intanto i cittadini vivono in città paralizzate dai lavori pubblici, dove per giunta andare in centro, piano piano esteso all’intera città, rappresenta sempre più una costosa incognita.
Cosa emerge? La pretesa di comandare, di regolare tutto. E, ancora peggio di voler trovare la quadratura del cerchio. Dicevamo che la destra parla invece alla pancia degli italiani. E ci spieghiamo con un esempio: un sindaco comunista, a proposito delle isole pedonali, di trade-off tra turismo green e nuova cittadinanza (a piedi). La destra, invece, più semplicemente, evocherà il turismo a chilometro zero: “l’Italia agli italiani!” e “Fuori turisti e immigrati!”
Lo snobismo della sinistra non giova alla comunicazione politica. E può far perdere le elezioni. Soprattutto quando sommato all’idea di uguaglianza non formale ma sostanziale (cioè di risultati, a prescindere dal merito). Un accoppiamento poco giudizioso che porta a leggi e leggine che alla destra non pare vero di liquidare come razziste, asserendo, e non del tutto a torto, che stabiliscono nuove diseguaglianze di genere e di razza. Classico effetto perverso delle azioni sociali. Nel senso che non bastano le buone intenzioni.
Pertanto due consigli, meno stato e meno birignao. Evitando accuratamente di ricadere nel populismo di sinistra alla Landini.
Insomma, lasciar fare, lasciar passare, turisti e migranti. Permettere che le città, come scriveva Arnold Toynbee, dall’alto dei suoi dodici volumi dedicati alla storia universale, si autoregolino, come è sempre stato.
Si rifletta su una cosa. La statalista Sparta non ha lasciato traccia di sé, la liberale Atene vive e lotta tuttora dentro di noi.
Quantomeno nei migliori di noi.
Carlo Gambescia
lunedì 23 dicembre 2024
Paesi sicuri. Il governo Meloni canta vittoria. Ma è proprio così?
Oggi vorremo che il lettore capisse che al di là delle interpretazioni pro o contro la sentenza della Corte di Cassazione sui “paesi sicuri” resta un problema di fondo, non di tipo giuridico, ma di natura antropologica. Per essere precisi di antropologia politica. Altro che i “giudici hanno dato ragione al Governo”, come proclama Giorgia Meloni.
An-tro-po-lo-gia po-li-ti-ca. Parliamo in modo difficile? Addirittura più dei giudici? Con i loro, “in parte qua”, “ex nunc”, eccetera?
Che cos’è l’antropologia politica? In parole povere l’ antropologo politico studia le concezioni politiche dell’essere umano che sono dietro le scelte politiche concrete, quindi che innervano i comportamenti politici. Cioè l’antropologo politico studia il modo di concepire, intendere, interpretare il fenomeno umano. In pratica risponde alla domanda che cos’è l’uomo per Tizio, Caio, Sempronio?
Passiamo all’applicazione. Qual è l’antropologia politica di questa destra politica, che ormai ci governa da più di due anni? Che cos’è l’uomo-migrante per il governo Meloni? Presto detto. Siamo davanti a un’antropologia della rimozione.
Si pensi alla questione della costruzione dei centri per i migranti all’estero, che poi sono delle prigioni. Sergio Endrigo, cantante oggi quasi dimenticato, cogliendo il punto, canterebbe “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”…
Ed è proprio così. In genere, cosa si rimuove o si disloca? Un oggetto. Ad esempio una macchina in sosta vietata, i rifiuti, un cadavere, un corpo inerte quindi. Oppure, in via chirurgica, un’escrescenza, un tumore.
Insomma la rimozione rinvia a qualcosa di estraneo, che non si vuole più vedere (ecco il “lontano dagli occhi, eccetera”). Qualcosa che deve diventare invisibile. Si pensi al terribile esempio storico dell’ “incenerimento” degli ebrei soppressi con i gas. Quindi dell’invisibilità postuma dei loro corpi.
I cosiddetti centri per migranti – i famigerati hotspot – sono il simbolo di un’ antropologia della rimozione dei corpi umani, viventi però. Considerati alla stregua di rifiuti maleodoranti.
A tale proposito c’è chi parla di biopolitica. In realtà, parleremmo di ideopolitica che trasmette i suoi ordini alla biopolitica,
Il migrante come invisibile. Una concezione che ovviamente è alla base, diciamo procedurale, della compilazione delle liste di paesi sicuri e delle questioni interpretative legate alla composizione delle stesse liste, come pure delle questioni organizzative che ricadono nell’ambito della biopolitica. Che come detto prende ordini dall’ideopolitica, cioè dall’antropologia politica di riferimento.
Però, ecco il punto, discutere di paesi sicuri, in quanto problema “ulteriore”, significa già aver accettato l’antropologia della rimozione della destra.
Pertanto, ripetiamo, il problema non è giuridico, o se si preferisce, legale, di procedure, eccetera. O comunque non solo. Ma rinvia alla legittimità antropologica: della conformità del principio di rimozione ai valori della civiltà liberale.
Sotto questo profilo la destra può perciò aggrapparsi alla legalità di una sentenza della Corte di Cassazione, ipotizzando, come accade, che i giudici hanno stabilito che delle liste deve decidere il governo, eccetera, eccetera. E che pertanto avrebbero dato ragione a Giorgia Meloni.
In realtà, ripetiamo, discutere di queste cose significa dare per scontato che il migrante va “rimosso”. Cioè, se ci si passa lo svarione lessicale, che il migrante deve essere “invisibilizzato”.
Insomma, torniamo alla grande questione del grave deficit di liberalismo che anima il governo Meloni. E usiamo un eufemismo. Perché questa gente, per dirla fuori dai denti, è indegna di governare sotto il profilo della legittimità liberale.
Si dirà che il popolo ha votato eccetera, eccetera. Certamente. Ma quando mai gli italiani sono stati liberali? Non dimentichiamo che l’Italia è il paese che ha inventato il fascismo.
E si vede.
Carlo Gambescia
domenica 22 dicembre 2024
I nuovi barbari
Oggi la stampa organica al governo, rinvigorita dall’ imprevista assoluzione di Salvini, attacca i giudici, la sinistra, tutto, guerra totale. Si vuole stravincere. I nuovi barbari di destra non vogliono fare prigionieri.
L’obiettivo è smontare lo stato di diritto. Sotto questo aspetto è sintomatica la “cordiale telefonata” di Salvini al figlio di Cavaliere: “Faremo la riforma della Giustizia che voleva Berlusconi”. Come riporta, obbediente, “Il Giornale”.
In realtà i nuovi barbari non capiscono che l’ assoluzione di Salvini è proprio merito dello stesso stato di diritto che si vuole distruggere, colpendo l’indipendenza della magistratura: l'assoluzione prova che non esiste alcun appiattimento della magistratura giudicante su quella inquirente.
Non si ha la coerenza di introdurre l’elettività (cosa tra l’altro non ottimale), come negli Stati Uniti, e allora che si fa? Con la separazione delle carriere si vuole ricondurre il giudice sotto l’ala del Ministero di Grazia e Giustizia e di un Consiglio Superiore della Magistratura manovrabile a piacimento dalla politica.
I nuovi barbari sono privi di ragionevolezza. Ebbri di potere, calpestano lo stato di diritto, quindi la separazione dei poteri. Ma si pensi pure al devastante Ddl sul premierato. In questo modo la destra preclude, anche a se stessa, se e quando sarà all’opposizione, le possibilità di un confronto ad armi pari in parlamento e di fruire di una giustizia indipendente dalla politica.
Questa visione maggioritaria della lotta politica, frutto velenoso di intolleranza e barbarica ignoranza dei valori liberali, sta provocando danni in tutta Europa. È in corso un processo di radicalizzazione politica.
È di oggi la notizia, in parte occultata dalla stampa di destra, che l’attentatore di Magdeburgo sembra sia di estrema destra: un saudita addirittura nemico dell’Islam.
La cosa ha dell’incredibile. Ma se fosse vera sarebbe un altro segno dell’imbarbarimento politico. Ieri parlavamo della sfida della secolarizzazione del migrante, ma non fino a questo punto… Evidentemente, il brutto clima politico, sta provocando la radicalizzazione anche del migrante occidentalizzato. Un disastro.
In Europa si è rotto qualcosa. Probabilmente sono ormai venuti meno gli argini di una politica della mediazione tra partiti capaci di condividere gli stessi valori liberali. E qui si pensi al complice silenzio mediatico intorno ai sinistri appelli di Musk, senza precedenti negli ultimi ottant’anni: una specie di homunculus appollaiato sulla spalla dell’apprendista stregone Trump, che dichiara pubblicamente che l’Afd rappresenta l’unica salvezza per la Germania.
In realtà, si tratta di un partito, incapace di fare i conti con il nazismo, che andrebbe immediatamente sciolto, prima che sia troppo tardi, proprio nel nome di una sana autodifesa dello stato di diritto.
Insomma, siamo a questo punto. All’elegia americana del neonazismo. E non per nulla citiamo dal titolo di un libro di James D. Vance, vicepresidente trumpiano degli Stati Uniti.
In Italia, rispetto al barbaro Salvini, Giorgia Meloni può apparire perfino più civile. In realtà, per usare una metafora calcistica, nella transizione della destra (anzi dell’estrema destra viste le saldi radici missine di FdI) verso l’area avversaria, la Meloni, porta palla ma evita affondi, per ora. Sa che la difesa avversaria è inconsistente. E qui si pensi alla sinistra che invece di farsi liberale gioca al rialzo con il populismo della destra.
Evidentemente Giorgia Meloni ritiene di poter andare a rete quando vuole, pertanto manovra. Sicché permette che Salvini faccia il lavoro del “falso nueve” nella difesa avversaria.
Fino a quando?
Carlo Gambescia