Il grave limite del nazionalismo è che soli si muore, per parafrasare il titolo di una canzone di Patrick Samson, cantante libanese, noto nell’Italia fine anni Sessanta, quando si parlava con orgoglio del Libano come della “piccola Svizzera” medio-orientale.
Soli si muore, dicevamo. E infatti la “patriota” Giorgia Meloni , per non morire geo-politicamente, si è intrufolata in casa Macron, correndo a Parigi per omaggiare Donald Trump. Sembra sia stata comunque ricevuta, sebbene senza appuntamento. Forse grazie ai buoni uffici di Musk, l’incombente. Nella rinata Notre-Dame, la si scorge in terza fila, un volto nella folla. Malinconia da parente povero.
Non si sa cosa si siano detti. Secondo fonti giornalistiche Giorgia
Meloni progetta di far diventare il suo governo il principale
interlocutore di Trump in Europa. Cioè, di mangiarsi in un solo boccone,
Francia, Germania, Ue. Che la Meloni non sia priva di grandi ambizioni
è noto. Del resto sembra ritenga che tra conservatori (si legga però
reazionari) ci si intende alla perfezione. Di qui forse la speranza che
la sardina Italia ipnotizzi il pescecane Stati Uniti. Diciamo pure l'America di Trump, che piace alla destra che non piace.
In realtà il vero punto è proprio quest’ultimo. Che si può essere nazionalisti al cubo, ma se poi non si è una grande potenza, come nel caso dell’Italia, si deve venire a patti con i più forti, per non finire come Pinocchio e Geppetto (quella però era un balena). Insomma sono i pescecani a mangiare le sardine, non il contrario.
Se si studia la storia del Novecento, si può scoprire che il nazionalismo ha un lato debole. Innanzitutto perché Il Novecento? Per la semplice ragione che il nazionalismo è fenomeno moderno, dal momento che in termini cronologici discende direttamente dagli eserciti di popolo dei rivoluzionari francesi. La cosiddetta nazione armata. Concetto, quest’ultimo, che deriva da quell’idea di sovranità popolare che nel Novecento è andata a innervare il militarismo dei regimi totalitari.
Si pensi alle decolonizzazioni. I vari fronti di liberazione nazionale in Africa e in Asia non riuscirono a non dividersi tra russi e americani, nonostante la loro superbia nazionalistica. La stessa Cina di Mao, fino all’inizio degli anni Sessanta, fu una dependence sovietica. Come del resto il Vietnam del Nord lo fu di cinesi e russi. E quello del Sud di francesi e americani.
Inoltre il Novecento ci fornisce in materia due esempi eclatanti.
Il primo riguarda la vergognosa fine del nazionalismo francese, che a Vichy finì nelle braccia di Hitler. Il secondo, rinvia al declino del fascismo, umiliato fino all’ultimo dall’alleato nazionalsocialista.
Questo per dire due cose: uno, che esistono dinamiche scalari di potenza, anche nell’epoca del nazionalismi e che perciò nell’oceano della politica mondiale i pesci piccoli, se non vogliono essere divorati, devono venire a patti, come dicevamo, con i pesci più grossi e voraci; due, che non esiste un nazionalismo autosufficiente, come prova magnificamente Giorgia Meloni che vola a Parigi per omaggiare Donald Trump.
Allora, se le cose stanno così, non sarebbe meglio ragionare pacatamente, evitando di tessere le lodi di una autosufficienza che non esiste?
Il principale danno del combinato disposto tra populismo e sovranismo è rappresentato, per un verso, dal predicare una specie di isolazionismo generalizzato, che finisce per avvelenare in nome dei sogni di gloria l’atmosfera politica internazionale, e per altro, dalla inevitabile riconferma di rapporti di potenza.
Rapporti che costringono i più deboli, nonostante le chiacchiere nazionaliste, a prostrarsi ai piedi dei più forti. Sotto questo profilo, come detto, il viaggio di Giorgia Meloni a Parigi è da manuale del nazionalista che non può permettersi di essere tale fino in fondo.
Perché delle due l’una: o si è una grande potenza, e allora il nazionalismo può pagare, oppure, se non lo si è né lo si potrà ma diventare, gli obiettivi vanno commisurati ai mezzi. L’ incomprensione di questa contraddizione del nazionalismo ne spiega grandezze e miserie.
Andrebbe perciò fatto un passo indietro. Cosa che per Giorgia Meloni, formatasi in un partito dalle radici fasciste, quindi nazionaliste, è praticamente impossibile.
Non essere nazionalisti ma distinti e tranquilli signori liberali significa apprezzare il libero scambio, il potere del dialogo, l’ubi beni, ibi patria, insomma le regole di tolleranza reciproca, pur in presenza di inevitabili rapporti di forza scalari e diversificati.
Se la Russia si fosse comportata da distinto gentleman liberale, l'Ucraina se ne sarebbe andata per la sua strada. In tutta traquillità. Nessun problema. Ubi bene, ibi patria. Per poi, magari, in un secondo momento, tornare a fare buoni affari con Mosca. E tutti vissero felici e contenti. E invece no: la "Grande Russia" bla, bla, bla, bla...
Pensiamo a rapporti di forza mitigati, se si vuole addolciti,
dall’assenza delle pericolose chiacchiere nazionaliste. Un pericoloso
diluvio retorico che quando prende piede finisce sempre per avvelenare
le relazioni sociali e politiche.
Resta perciò fondamentale comprendere che soli si muore, e che quei morti appestano l’aria e ne portano altri. E poi, per provare che cosa? Nulla. Perché – ripetiamo – i rapporti di forza, una volta liberati dalle regole di tolleranza, si impongono in tutta la loro brutalità. Ed espongono a figuracce, come quella di una Giorgia Meloni, che sgomita per farsi ricevere a Palazzo.
Carlo Gambescia
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