Su Wikipedia, per quel che può valere, esiste una voce dedicata alla popolarità dei presidenti americani (1), ricavata dalla raccolta di una serie di sondaggi storici. L’idea in sé, dal punto di vista delle scienze sociali, a prescindere dalla metodologie, è ridicola. È come voler mettere ai voti la storia. Se in Italia si tentasse lo stesso scherzetto demoscopico, di sicuro, Mussolini spiccherebbe.
Il punto è che i giudizi sono quasi sempre generazionali, perché la memoria degli esseri umani è corta. Il tempo non è poi così galantuomo come si dice. La distanza temporale tende a favorire l’idealizzazione persino dei dittatori. Si pensi a figure come Peron, Franco, lo stesso Mussolini, tuttora ammirate. Persino Hitler ha i suoi simpatizzanti.
La storia non può essere messa voti, o comunque rimessa agli umori ondivaghi di elettori, che oggi come oggi, nonostante l’alfabetizzazione pronunciata, non capiscono ciò che leggono (almeno uno su due, come asseriscono gli psicologi sociali e della comunicazione)
Detto questo, James Earl Carter, Jr., meglio conosciuto come Jimmy Carter, 39° presidente Usa, scomparso ieri a cento anni, in un sondaggio condotto nel 2014, conquistava l’ ottavo posto: tra Richard Nixon e Thomas Jefferson. Al primo si collocava Barack Obama, seguito da Bill Clinton e dai Bush (padre e figlio). Washington e Lincoln, rispettivamente quarto e quinto. Ronald Reagan al decimo (2). Questo prima del ciclone Trump.
Apparentemente si tratta di una posizione tutto sommato lusinghiera. Ma è stato proprio così? Diciamo che fu il presidente che fece installare i panelli solari sulla Casa Bianca. Il lettore può anche sorridere. Ma correva l’anno 1977. Carter, nel bene o nel male, fu un ecologista ante litteram. Non solo però in questo campo. Qui sorgono i problemi.
Il fallimento storico della sua presidenza – in fondo luci e ombre (discreta la politica interna, molto meno quella estera) (3) – rinvia in particolare alla politica medio-orientale. In particolare due errori che l’Occidente ancora non ha finito di pagare.
In primo luogo, la pace, se si così si può chiamare tra Egitto e Israele (accordi Camp David, 1978), prematura, o comunque frettolosa, innescò, per reazione, un processo politico involutivo che portò all’assassinio di Sadat. Un moderato, che nel tempo, avrebbe potuto dare di più. E invece si vollero cogliere mele ancora non mature. Oggi completamente marcite, e non per colpa di Israele. O comunque non solo.
In secondo luogo, la totale incomprensione del pericolo islamista, nel nome di un’astratta politica dei diritti umani – qui il Carter predicatore morale – condusse alla caduta dello Scià di Persia e all’instaurazione della Repubblica teocratica. Oggi l’Iran, in primis, per colpa di Carter, è un fattore di grave sommovimento geopolitico, non solo nell’area mediorientale.
La colpa fu del moralismo carteriano (4). Purtroppo i diritti umani vanno promossi solo nei riguardi di classi dirigenti che sappiano apprezzarli. Non esistono fulminee conversioni morali, soprattutto negli usi e costumi di un popolo. La storia ha i suoi tempi. Lunghi. Altrimenti si rischia di favorire il nemico.
Ovviamente su Carter, scambiando l'insipienza politica per bontà, cioè dando per buone le intenzioni (il che in politica non è mai sufficiente), circola un’ aneddotica da libro Cuore, che ha favorito nel 2002 l’assegnazione del Premio Nobel per la pace. In Svezia, è noto, tutti i salmi finiscono in gloria.
Resta però il fatto, non proprio encomiabile, che l’elettore americano di religione ebraica non ha mai perdonato a Carter: quello di avere paragonato Israele al Sud Africa segregazionista e soprattutto di avere in qualche modo anticipato la teoria, oggi in voga tra gli antisemiti, pardon antisionisti, sulla natura colonialistica dello stato di Israele, come prova un suo libro di memorie uscito nel 2006 (5).
I presidenti predicatori morali (Carter) sono pericolosi quanto i presidenti machiavellici (Nixon). Pertanto c’è poco da celebrare. Carter è morto ma l’Iran teocratico è vivo e vegeto.
Carlo Gambescia
(1) Qui: https://it.wikipedia.org/wiki/Classifica_storica_dei_presidenti_degli_Stati_Uniti_d%27America .
(2) In fondo alla pagina della cit. Voce Wikipedia.
(3) Per una buona guida alla “materia” Carter si veda D. Kaufman e K. Kaufman, Historical Dictionary of the Carter Era, Scarecrow Press, 2013 .
(4) Sul punto si veda la ricostruzione, abbastanza favorevole ma onesta e completa, di K . E. Morris, Jimmy Carter, American Moralist. University of Georgia Press, 1996.
(5) J. Carter, Palestine: Peace Not Apartheid, Simon & Schuster, 2006.
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