Questa mattina segnaliamo due articoli interessanti, all’insegna dell’autolesionismo democratico: il primo sull’ “Unità” di Michele Prospero, il secondo sul “Fatto Quotidiano” di Salvatore Cannavò.
Prospero, filosofo, solleva forti dubbi sull’intervento della Corte costituzionale rumena, che ha annullato elezioni che avrebbero potuto portare alla vittoria di un candidato filorusso. Insomma non crede nelle maniere forti contro i nemici della democrazia.
Cannavò, giornalista, critica l’Unione europea che vuole sanzionare la Georgia, dove il partito filorusso, che ha vinto le elezioni, perseguita gli oppositori. Insomma, anche in questo caso, guai alle maniere forti.
In sintesi, la tesi di Prospero e Cannavò è che il voto del popolo è sacro. E che né la magistratura né l’Europa devono permettersi di andare contro il volere del popolo.
Il dilemma esiste. Se in ultima istanza la sovranità risiede nel voto popolare, ogni intervento in senso contrario è illegittimo. Pertanto in linea di principio, diciamo pure in teoria, Prospero e Cannavò hanno ragione. E in pratica? No. Perché la Russia, nemica dell’Occidente e della liberal-democrazia, usa il voto per ricondurre sotto la propria ala i paesi dell’Europa orientale.
Si può accettare che vinca con il libero voto, chi intende usare il libero voto per sopprimere il libero voto? La liberal-democrazia deve difendersi o no dall’antidemocrazia? Usando tutti i mezzi, anche antidemocratici?
Il problema è tutto qui.
Quel che stupisce è che Prospero e Cannavò non capiscano che una volta implementata l’etica dei principi (Fiat iustitia et pereat mundus), il moralismo che ne discende può causare solo distruzione e rovine. Mentre l’etica della responsabilità (Est modus in rebus) può evitare l’autodistruzione.
Possibile che si sia dimenticato come il libero voto fu strumentalizzato da fascisti, nazionalsocialisti e comunisti?
Di regola la risposta dei moralisti politici della sovranità è che il rischio di favorire i nemici della liberal-democrazia va accettato, perché una volta abbandonata la strada maestra della sovranità popolare si rischia di subire la stessa mutazione autoritaria che caratterizza il nemico che si vuole combattere.
Resta gli “atti”, per così dire, la celebre discussione tra Raymond Aron e Jacques Maritain, ben ricostruita da Jerónimo Molina, in un recente studio sul grande sociologo liberale (*). Sull'accecante sfondo della Seconda guerra mondiale, Aron, in linea con quel che era accaduto nella Germania degli anni Trenta, vicende alle quali aveva assistito personalmente, riteneva più che giustificato l’uso delle maniere forti. Anche preventive. Maritain, uno dei maestri della filosofia cattolica novecentesca, sosteneva invece la tesi contraria, cioè, che nonostante la guerra in corso, il bene avrebbe comunque vinto. In che modo però non era dato sapere…
Come detto, etica della responsabilità (Aron) contro etica dei principi (Maritain).
La storia, fortunatamente, si schierò con Aron. Senza una guerra mondiale, combattuta spesso in modo spietato, soprattutto per le popolazioni civili, Hitler e alleati avrebbero vinto. Imponendo, in primis in Europa, una delirante dittatura.
Oggi, purtroppo, si ripropone lo stesso dilemma.
Carlo Gambescia
(*) Si veda J. Molina, L’immaginazione del disastro. Raymond Aron realista politico, postfazione di C. Gambescia, Edizioni Il Foglio, 2024.
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