In attesa di leggere attentamente “Il Foglio” di oggi, dedicato all’ Eresia liberale (*), diciamo subito che il titolo non convince: l’eresia implica la credenza in una chiesa, di cui si fa parte, e di cui si mettono in discussione i dogmi. Eretico, etimologicamente, è chi sceglie di mettere in dubbio una o più verità rivelate. In sintesi, l’eresia presuppone il dogma.
In realtà, il liberalismo in Italia, se proprio si vuole parlare di eresia liberale, non ha mai sfidato, e decisamente, il dogma della chiesa democratico-ugualitaria, che invece frequenta tuttora.
Perciò di eretici veri ne possiamo ricordare pochini.
Pareto, era sicuramente un liberale eretico. Come probabilmente, Gaetano Mosca, grandi teorici dell’elitismo politico. Nonché Benedetto Croce, filosofo alieno da qualsiasi “fola egalitarista”. Probabilmente, lo fu anche Luigi Einaudi, poco o affatto amante degli arruffoni statalisti. Ecco perché, a parte, qualche sbandata iniziale, dovuta ai tempi magmatici, successivi alla “grande guerra”, tutti è quattro diffidarono del fascismo plebeo. Forse Pareto, meno degli altri. Ma non ebbe tempo per ricredersi: morì nell’agosto del 1923. Croce, Mosca, Einaudi invece presero le distanze appena compresa la natura dittatoriale e militarista del regime instaurato da Mussolini.
Qui però, la domanda chiave: di quante divisioni elettorali disponevano Mosca e Pareto, Croce, Einaudi? Zero. In Italia, la plebaglia, anche imprenditoriale, alla libertà ha sempre preferito la sicurezza, al rischio, le mance dello stato, e così via, fino al Reddito di cittadinanza…
Il liberalismo reale, di governo, il filone storico, fino a Giolitti, e quello repubblicano, post 1945, di pura e semplice testimonianza partitica, per alcuni partitocratica, spentosi tra Malagodi e Zanone, di eretico, non hanno mai avuto nulla. Si può parlare, per i due filoni, di un comune e sincretico liberalismo macro-archico che scorge nello stato il sacerdote deputato al rito redistributivo in onore del dogma democratico-ugualitario.
Giolitti, pur eccellente figura di pragmatico, si guardò bene, dal confutare, anche con i fatti, il dogma democratico-ugualitario. Dopo il 1945, si cominciò addirittura a parlare, rifiutando perfino il trattino, di liberaldemocrazia. Ci si cimentò, maldestramente, nel tentativo di unire gli opposti: ma come si può essere al tempo stesso, meritocratici, quindi aristocratici, e democratici, magari addirittura liberalsocialisti? Eppure, ancora oggi si insiste nella funesta opera dell’ embrassons nous.
Quanto a Cavour, da ricomprendere tra i grandi statisti liberali dell’Ottocento, a partire da Guizot e Peel (conservatori intelligentissimi, meritocratici, e per questo liberali), si trattò di una specie di misteriosa e bellissima congiunzione astrale. Un miracolo politico-astrologico. Cavour, nell’opera di unificazione italiana, mise tutto se stesso, fino a distruggersi fisicamente. Un caso unico. Irripetibile.
Insomma, se proprio si vuole usare questo termine, si potrebbe parlare di quattro eretici: Pareto, Mosca, Croce, Einaudi. E un funerale: quello del liberalismo.
Carlo Gambescia
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