domenica 12 giugno 2022

Voto popolare e indipendenza della magistratura

 


Si rifletta. I 5 referendum di oggi sulla giustizia sono o non sono un grande segno di democrazia? Il popolo che vota, solo per il fatto di votare, viola o meno il criterio dell’indipendenza della magistratura dagli altri poteri, esecutivo e legislativo?

Inutile esaminare i cinque quesiti uno per uno, quel che qui interessa è evidenziare  il rapporto tra voto del popolo e un potere “autonomo e indipendente”, come recita la Costituzione (art. 104).

La domanda allora è: se un potere è “autonomo e indipendente”, può essere sottoposto al voto? Ma come può essere “autonomo e indipendente” se dipende dal voto del popolo. A dire il vero ciò viene giustificato con il fatto, come recita la Costituzione, che “ la giustizia è amministrata in nome del popolo” e che “i giudici sono soggetti soltanto alla legge” (artt. 101 e 102).

Quindi il popolo può votare su leggi che possono essere perciò modificate solo dal popolo, leggi alle quali i giudici sono sottoposti.

Tutto tornerebbe allora? Sì, se ci si limita all'aspetto costituzionale, della forma.

Però, sul piano della sostanza sociologica, un popolo, per così dire, di amici o di nemici della magistratura come voterebbe? Pro o contro i quesiti proposti sulla base di un’opinione politica. E come noto le opinioni mutano le istituzioni restano. Quindi il fatto che il giudice sia sottoposto alla legge significa, in buona sostanza, che il giudice è sottoposto al mutevole gioco delle opinioni politiche.

Il voto è sempre un fatto politico, legato alle opinioni umane, mentre la magistratura rimanda a un principio di neutralità, di ordinamento neutrale nell’amministrazione della legge  e della giustizia. In realtà però, rinvia a uomini, anzi superuomini – gli elettori – che dovrebbero condividere una sola  opinione, quella dell’indipendenza della magistratura.

Dove vogliamo andare a parare? Che l’istituto del referendum, che per molti è il punto più alto della democrazia, consegna un’istituzione “autonoma e indipendente” alla tirannia di maggioranze che inevitabilmente e storicamente si succedono. Ciò che è giusto oggi, può essere sbagliato domani. E così via.

Non mi nascondo dietro un dito, oggi voterò cinque sì. Però per quale ragione? Per contrastare una visione, a mio avviso, giustizialista della magistratura. Perciò il mio voto riflette un’opinione politica, di parte, nessuna verità assoluta, in una prospettiva, come detto, di tirannia della maggioranza. Certo, qualora dovesse vincere (cosa difficilissima) il mio partito d’opinione.

Qual è però la differenza, tra chi voterà sì, come me, però consapevole dei limiti, qui enunciati, del sistema referendario, e chi voterà no? Che coloro che voteranno no, in larghissima parte, identificano il voto referendario con una specie di giudizio di dio. 

Dove io vedo tirannia della maggioranza, anche nel caso di una vittoria del mio partito d’opinione, i sostenitori del no proclamano il trionfo della giustizia e dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura. Illustri costituzionalisti, favorevoli al sì, dicono che non è proprio così. Come altri studiosi di diritto, favorevoli al no, sostengono l’esatto contrario.

Che dire? “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante tu ne possa sognare nella tua filosofia”…

Tradotto: sia nel caso di vittoria del sì che del no, a vincere sarebbe comunque una maggioranza politica. Vincerebbe “una visione” della magistratura. Perciò rimettere la magistratura al voto del popolo è un errore a prescindere. Per capirsi, un referendum in materia è il massimo della politicizzazione. Nel senso di una grave polarizzazione delle opinioni che finisce per ignorare, in nome della filosofia democratica, il shakespeariano ” ci sono più cose in cielo e in terra, eccetera”.

Insomma, si persegue l’esatto contrario di quella neutralità della magistratura a cui si dice di puntare chiamando il popolo a esprimersi.

Contraddizioni della democrazia. Probabilmente c’è di peggio. Però…

Carlo Gambescia

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