martedì 7 giugno 2022

L’orgoglio dell’Occidente

 


I filorussi tirano in ballo Kissinger, facendo riferimento ad alcune sue dichiarazioni di Davos sulla necessità di non isolare la Russia. Così però si omette un fatto importante.

Che Kissinger ragiona in termini di interessi comuni tra Stati Uniti, Europa e Russia a non mutare gli equilibri ai confini della Russia. Dà per scontato che questa volontà reciproca esista ancora.

La sua visione geopolitica è statica non dinamica. E, ovviamente, la visione statica, cioè il lasciare le cose come sono, è alla lunga preferita dalla Russia, rispetto a una geopolitica dinamica in linea con la storia dell’età moderna, segnata dall’espansione dell’Occidente euro-americano. Di qui la riscoperta – interessata – da parte dei filorussi dell’approccio kissingeriano.

Piaccia o meno ciò che stiamo per dire (a noi dispiace), ma Kissinger si è trovato a vivere e operare in una fase di regressione dell’espansione dell’Occidente, costretto a contenere l’espansionismo russo-comunista, il consolidamento della Cina di Mao e i durissimi effetti di ricaduta dei processi di decolonizzazione. Di qui la sua visione statica, tesa a congelare, qualsiasi tipo di conflitto. Per dirla con Ortega, anche se reagisce sempre in modo acuto e intelligente, Kissinger ha risentito e ancora risente della sua “circostanza”: la costellazione storica in cui si è formato come analista e attore politico di punta della Casa Bianca tra gli anni Sessanta e Settanta. Sia detto senza offesa: sul piano politico è un uomo di altri tempi.

Sembra infatti sfuggirgli un fatto importante: che il 1991 ha mutato la situazione. La “circostanza” non è più quella di prima: il quadro geopolitico, rispetto agli anni Sessanta, da statico si è fatto dinamico. Le condizioni oggettive, soprattutto con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, sono profondamente mutate. Kissinger non ha colto un fatto fondamentale: che il processo di espansione dell’Occidente, davanti al vuoto politico, non poteva non riprendere i suoi diritti.

Ovviamente un processo favorito dalla libera opzione verso i valori democratici ed economici (scoperti, riscoperti, indotti, comunque sempre liberamente apprezzati) dei paesi dell’Europa orientale, usciti finalmente dall’orbita russo-sovietica, stanchi di un modello e di un tenore di vita superati, non più umanamente accettabili.

Tuttavia, a parte alcune fiammate, come la campagna Nato contro la Serbia, Stati Uniti ed Europa non hanno saputo cogliere adeguatamente l’occasione. È vero che sul piano militare e politico si è verificata una espansione ad Est, ma quasi di controvoglia, senza alcuna strategia preordinata: Stati Uniti ed Europa hanno agito non coordinandosi tra di loro.

Diciamo che si è mantenuta una visione geopolitica statica in un mondo – a Est – che invece avrebbe avuto necessità di una risposta dinamica.

Il che spiega gli errori europei, soprattutto tedeschi e italiani legatisi stupidamente alla Russia per gli approvvigionamenti energetici, come pure quelli statunitensi verso la Nato, scioccamente considerata come un’alleanza quasi obsoleta da Obama come da Trump. Ora Biden, messo sotto pressione dall’invasione russa dell’Ucraina, sembra voler fare un passo indietro, ma la sua visione geopolitica resta statica. Come pure quella europea.

Al di là della melassa pacifista, vera e propria ideologia al servizio del disarmo morale e politico euro-americano, l’Occidente continua a ragionare, come se la Russia di Putin, a livello decisionale e militare, fosse forte come quella comunista. E soprattutto continua a non credere nella forza di attrazione dei valori occidentali di liberal-democrazia e di libero mercato. E, ancora peggio, appare corroso da una critica interna ai propri valori, che fa il gioco dei nemici dell’Occidente. La vicenda ucraina, trascinatasi per anni, proprio a causa di questa insicurezza morale dell’Occidente, ne è la prova più lampante.

La questione del rischio di una guerra non convenzionale non può diventare una palla al piede. Del resto l’ostacolo si può aggirare riprendendo il progetto reaganiano di “scudo stellare”, stupidamente accantonato.

Si guardi, con l’ occhio dell’aquila, alla storia euro-americana dalla scoperta dell’America, punto di arrivo e di ripartenza di un civiltà marittima, quella europea, che ha conquistato il mondo.

La prima vera e propria battuta d’arresto si verifica nel 1945. Dopo la gloriosa vittoria contro il nazifascismo.Quando si accettò la spartizione di Jalta e la conseguente fine del dominio coloniale, favorendo così l’ascesa dell’Unione Sovietica a potenza mondiale “liberatrice” di popoli.

Certo, la divisione bipolare del mondo garantì anni di pace. Ma favorì anche l’ indebolimento morale e politico dell’Occidente. Però nel 1991, come detto, la storia si rimette in moto.

Tuttavia Stati Uniti ed Europa ne approfittano di malavoglia: si continua a ragionare come se la Russia fosse un grande potenza. Invece di adottare una visione dinamica, ci si consacra alla visione statica. Alla quale, come dicevamo all’inizio, Kissinger sembra ancora legato.

La storia insegna, nonostante si faccia finta di non capire (anche se i cinesi sembrano aver compreso, magari a metà) che cinque secoli di espansione, di cui dovremmo andare orgogliosi, attestano la forza morale, politica, economica e militare dell’Occidente.

Certo, tra il 1945 e il 1991 si verificò una battuta di arresto, ma cosa sono 46 miseri anni dinanzi ai 500 epici anni che hanno sancito la grandezza dell’Occidente euro-americano? Dov’ è finito l’orgoglio dell’Occidente?

Carlo Gambescia

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