Ieri l’amico Carlo Pompei a proposito del mio articolo sul fallimento politico di Berlusconi – in sintesi: ottimo imprenditore, pessimo politico (*) – ha posto una questione molto interessante su cosa si aspettavano gli italiani dal Cavaliere, soprattutto i suoi elettori, i dipendenti e i tifosi del Milan.
La risposta, se ho capito bene, è quella di vivere tranquilli. Il classico pane e lavoro. E pure qualche divertimento.
Era ed è, parlo degli elettori, un programma politico? No. Diciamo che la politica, come partecipazione informata ed equilibrata – antico sogno liberale – resta una specie di utopia, soprattutto nella società di massa. Non bisogna mai aspettarsi troppo. Di qui, la norma da seguire per ogni “buon” politico. Quella dell’agire con lo sguardo rivolto verso il comportamento della gente normale: un agire che si riduce all’apprezzamento e alla pratica del voler vivere tranquilli. Come? Perseguendo gli affari propri. Come tutti gli altri. Quindi, impolitico Berlusconi, impolitici gli italiani. Furbetto lui, furbetti gli italiani. Per la serie, ogni popolo ha i politici che si merita.
La chiave di Pompei è interessante, perché rinvia all’antropologia dell’italiano medio. Va sviluppata.
Oggi è il 2 Giugno, Festa della Repubblica. Ecco, cosa si aspettavano nel lontano 1946 gli italiani dalla Repubblica? Per i professori comunisti, socialisti e cattolici della Costituente la Repubblica era una specie di via privilegiata al socialismo e al solidarismo: la Costituzione non recita forse che la Repubblica è fondata sul lavoro? Non si delimita il concetto di proprietà privata ancorandolo strettamente all’interesse pubblico? La stessa guerra, di principio, non viene ripudiata? Solo per limitarsi a tre punti fondamentali
Pertanto gli italiani, cosa si aspettavano dalla Repubblica? Pane e lavoro. E mai più morire per Danzica (oggi si direbbe per Kiev). Vivere per sempre come innocenti bambini, magari un poco egoisti…
Le stesse cose che poi gli italiani hanno chiesto a Berlusconi. Insomma di vivere tranquilli. Però, la Costituzione racchiude elementi di socialismo, non presenti nel programma politico di Berlusconi, che invece si proclamava liberale, dando, temporaneamente, ascolto ai professori liberali.
Probabilmente, “un trucco”, come sostengono i suoi avversari, oppure, ipotesi che ha la stessa dignità dell’altra, una “scelta liberale irrealizzata” – il pessimo politico – come noi sostenevamo ieri.
Una cosa però è certa: la gente comune, alla fin fine, non è liberale né socialista, vuole solo vivere tranquilla. Sotto questo aspetto, si dice, inutile complicare troppo le cose. Questa diciamo è l’ipotesi-Pompei su Berlusconi, da noi estesa anche alla Repubblica.
Però, se la si mette così, tra la via socialista e la via liberale non c’è alcuna differenza: per capirsi tra Cavour e Togliatti, tra Giolitti e Nenni. Naturalmente, restano sempre figure di mediazione, magari poco ascoltate, come De Gasperi ed Einaudi.
Con Einaudi si giunge alla soglia degli anni Sessanta. Dopo di lui, anzi dopo di loro, non vi è stato alcun politico liberale di simile levatura. L’Italia è scivolata lentamente verso la poltiglia ideologica welfarista: un formula spandi e spendi, basata, tecnicamente, sulla correlazione tra spesa pubblica e consenso elettorale, un mix velenosissimo che ha saldato l’ Italia legale a quella reale, dissestando però in modo irreparabile le finanze pubbliche.
L’Italia Repubblicana – per dirla con Giolitti, che qui in fondo sbagliava: nessuno è perfetto… ha cucito su misura un abito per un gobbo. Di qui la gobba welfarista, che tanto piace agli italiani. Si dice il fascismo, eccetera. Ma Mussolini, non viene ancora oggi ricordato con gratitudine, sebbene mescolando realtà e fantasia, come l’inventore dello stato sociale?
Per tornare a Berlusconi, ma anche alla Repubblica, al di là delle questioni antropologiche (il “carattere” degli italiani eccetera), esiste una deriva storica, legata alla natura di “latecomer” ( “ritardatario”) dell’Italia nel quadro delle rivoluzioni liberali europee. Un specie di maligna forza di gravità che rende tuttora gli italiani diffidenti se non addirittura contrari ai valori liberali. Semplificando, al rischio imprenditoriale si preferisce la sicurezza sociale. Di qui, la costituzione semisocialista, le timidezze, se non le paure di Berlusconi, le scomuniche verso i professori, le vittorie dei populismi, eccetera. Frutto di un interessato gioco di specchi tra governanti e governati. Gobba forever.
Il 2 Giugno, in fondo, è la celebrazione di una Repubblica antiliberale, in alto come in basso. Insomma, si è ben oltre il Cavaliere. Che intanto si gode i successi del suo Monza.
Che dire? Ogni italiano, compreso Berlusconi, alla fin fine, ha quel che si merita.
Non è un complimento, né una critica, ma solo una constatazione. Soprattutto nei riguardi del Cavaliere. E del suo fallimento politico.
Dimenticavo, buon 2 Giugno a tutti.
Carlo Gambescia
(*) Qui il mio articolo: https://cargambesciametapolitics.altervista.org/decostruendo-berlusconi/ . Questo invece il commento di Carlo Pompei, che ringrazio:
“A mio giudizio personalissimo la questione si “liquida” (è proprio il caso) con due domande: che cosa si aspettavano gli italiani da Berlusconi nelle varie fasi e viceversa? Parlo di MEDIASET, FININVEST, MILAN e discesa in campo. Il non conseguito che enunci è corretto, ma a chi interessava conseguirlo?Ai suoi dipendenti e familiari? (migliaia di stipendi in oltre 40 anni). Ai tifosi del Milan? Ai nostalgici di Bettino in stivaloni neri visto da Forattini? A tutti quelli che dicevano di non votarlo ma poi tutti lo votavano? Berlusconi è la cosa migliore che sia capitata all’Italia dal dopo guerra. Ringraziano tutti, beneficiari ed acerrimi nemici, travaglio compreso, all’italiana e alla francese. Avrebbe potuto fare di più e meglio? Sicuramente, ma forse interessava a pochi, probabilmente non a lui, poiché tutto ciò che gli premeva fare lo ha fatto.Anche passare dal Milan al Monza, forse l’unico atto modesto di un grande protagonista del panorama politico sociale. Che alla fine ha scontentato tutti, ma non se stesso, come a dire che ognuno sceglie come e se passare alla storia.Per chi dovesse equivocare, non sono, nell’ordine:milanista, monzese, lombardo, berlusconiano, stipendiato, tesserato, etc., etc”.
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