sabato 16 maggio 2020

Liberalismo vs Costruttivismo
Una interessante nota di Massimo Maraviglia ( e la mia replica)


                                

Caro Carlo, 
Nel tuo articolo (*) viene tratteggiata una importante linea di demarcazione politica tra una prospettiva costruttivista - che culmina nella pretesa di ricostruire l'intera società degli uomini sulla base dell'individuazione di un Bene astratto, in nome del quale si prescinde da ciò che le persone considerano bene per sé - e una contraria al costruttivismo, identificata nel liberalismo.
Leggendo il tuo intervento Carlo Gambescia   - di livello elevatissimo, come lo sono sempre i tuoi - mi veniva in mente Edmund Burke e la sua critica alla rivoluzione francese. Poi, per associazione, sono passato ai grandi pensatori controrivoluzionari e ho notato che essi, da punti di vista non certamente liberali, hanno pure combattuto il costruttivismo rivoluzionario.
Anzi, diciamo che il tratto fondamentale di questi pensatori è la convinzione che la monarchia assoluta sia quella forma “normale” di governo che, garantendo la pace, può lasciare che la società sviluppi il più liberamente possibile le sue potenzialità. Perché “normale”? Perché confermata dall’esperienza storica. Come Burke aveva di fronte a sé la tradizione liberale - che, prima di affermarsi, aveva prodotto una guerra civile e il taglio di qualche testa - De Maistre e Donoso Cortés avevano in mente la tradizione continentale di una monarchia non certo innocente quanto a guerre e devastazioni, ma ai loro occhi sviluppatasi proprio secondo quella logica di lenti e secolari aggiustamenti che ne facevano il regime meglio funzionante nella "realtà".
Sempre ai loro occhi il liberalismo, con la sua ingegneria costituzionale e la sua separazione dei poteri, doveva apparire un'assurda forma di costruttivismo, il costruttivismo di coloro che, da un punto di vista borghese e in nome di diritti dalla formulazione astratta, rifiutavano la naturale propensione delle società ad affidare a un certo gruppo di uomini il comando e ad uno solo, il re, l'ultima istanza decisionale. Tutto normale: c'è un potere sociale dell'aristocrazia e un potere politico della monarchia, il tutto garantito dalla cornice di legittimazione offerta dall'autorità religiosa della Chiesa.
Quest'ultima "giustamente" si scandalizza per eresie come la libertà di espressione, di stampa e di religione: cose appunto giustificate da una ragione astrattamente neutrale, ma che poi, concretamente, significano che non si adora più il vero Dio, ci si ribella alla sua giustizia e al fatto "naturale" che ogni autorità proviene da Lui...di qui al Terrore, la strada è brevissima...
Quale novità è dunque mai questa di un potere separato in tre organi, di un legislativo dove si discute e basta, di una Chiesa spogliata della sua maestà, e di un re che, udite udite, regna ma non governa??? Uno dei nostri realisti (in tutti i sensi) controrivoluzionari, dando uno sguardo sulla storia, direbbe - ha detto - che una volta aperta la porta al "costruttivismo" liberale, la via verso quelli democratici e socialisti è ormai tracciata e diventa molto difficile trovare strade alternative.
Ovviamente .... relata refero e ambasciator non porta pena ...
Un abbraccio,

Massimo Maraviglia


Caro Massimo,
trovo le tue osservazioni molto sottili, congrue e interessanti. 
In effetti, quale pensiero politico è  totalmente indenne dal costruttivismo? La politica, in quanto tale,  oltre che pensiero è azione, quindi trasformazione delle idee in istituzioni.  
Il punto vero però  è come intendere  questo  processo di trasformazione.  
Ora, da un punto di vista sostanziale,  sociologico,  a prescindere insomma  dalle etichette politiche,   Burke, De Maistre, Donoso,  hanno la stessa visione della dinamica sociale, come esito  di un naturale sviluppo delle istituzioni, Però mentre in Burke (via Hume, come alcuni studiosi ritengono), le istituzioni sono frutto di un’esperienza indotta da interazioni umane  non finalizzate ( quindi istituzioni quale  esito non intenzionale di una specie di provvidenza  intrasociale), in De Maistre e Donoso, dietro  le istituzioni vi sarebbe sempre, per così dire,  lo zampino della provvidenza divina, un fattore  extrasociale. Differenza che non è da poco,  perché  tra  due piani: immanente e trascendente. Detto altrimenti: per  Burke le istituzioni sono un prodotto dell’esperienza, qualcosa di storico, per De Maistre e Donoso della tradizione, qualcosa di astorico (che  - concedo  -  si fa storia, eccetera).
Ora se è vero, che il costituzionalismo (solo in seguito definito liberale, soprattutto nel Novecento, certo con qualche anticipazione, anche importante,  ottocentesca…)  è una forma di costruttivismo,  lo è come  qualcosa che viene dopo e non prima del processo sociale. 
Ripeto: l’esperienza si forma storicamente, quindi è un fattore storico,  la tradizione invece è metastorica, pur incarnandosi eccetera.  Pertanto il costituzionalismo liberale è un prodotto del (suo) tempo,  che non è venuto prima ma dopo secolari  sommovimenti:  a far tempo, per darsi un minimo sindacale di termine a quo,  dalle guerre di religione e dalle rivoluzioni inglesi, americane e francese. Attenzione: sommovimenti storici  - è agli atti -  che erano liberali senza saperlo. Per contro,  la monarchia, con la sua natura divina, secondo il pensiero controrivoluzionario, era invece lì da sempre.
Pertanto, riguardo ai pensatori citati, ci troviamo dinanzi a due forme di critica del costruttivismo dai differenti fondamenti cognitivi.
Ciò non significa negare la natura costruttivista del costituzionalismo,  ma soltanto ricordare che viene “dopo”. E in quel “dopo”  c’è una visione della dinamica sociale che aprirà all’interno del pensiero liberale ( che come tale si costituisce solo alla fine del ciclo rivoluzionario) una riflessione sul ruolo politico del liberalismo nella gestione dei processi sociali che vedrà  delinearsi posizioni differenti, archiche, micro-archiche, an-archiche, macro-archiche, quindi anticostruttiviste e costruttiviste. Nel quadro però di una migliore aderenza, in particolare del liberalismo archico e micro-archico,  come scrivevo ieri, ai processi sociali come dinamica interattiva e afinalistica (quanto al concepimento intenzionale delle istituzioni) tra individui.

Ricambio l’abbraccio,


Carlo Gambescia