mercoledì 6 maggio 2020

Stereotipi populisti
"Onestà, onestà, onestà…"

Onesto, secondo l’etimo latino,  è colui che è  onorato.  L’onore e l’onorare  sono   valori  e azioni  che  però  variano   nel  tempo e  attraverso i luoghi, che, altrimenti detto,  mutano politicamente e socialmente. Per capirsi, esisteva,  e per molti aspetti  esiste ancora, perfino l’ “Onorata società”.
Nelle democrazie contemporanee,  l’ascesa dei movimenti populisti di destra come di sinistra ha tramutato a furor di popolo  l’onestà  in stereotipo politico. Una specie di cavallo di battaglia: l’onestà è rappresentata  come  un  valore politico imprescindibile.  Dunque da onorare.  
Del resto, come spesso si legge nelle letteratura populista,  il politico onesto è colui che onora il cittadino, il quale   a sua volta onora il politico onesto.  
In realtà,  però,  molto  dipende dai valori  che sono in gioco. Durante Tangentopoli alcuni magistrati, forzando se non violando  le regole del codice penale ( arresti preventivi e indiscriminati, carcere duro, inaudite pressioni psicologiche),  vennero  elevati dalla sinistra radicale (e protopopulista)  a modelli aurei di onestà.  Detto altrimenti: quei magistrati  erano automaticamente   giudicati e promossi a onesti perché onoravano i valori antidemocristiani e antisocialisti  celebrati dalla sinistra  comunista.  

Che, poi la destra, abbia sostenuto le stesse tesi nei riguardi, dei magistrati di destra ( a dire il vero pochi, oggi come allora),  pronti da par loro a indagare i politici di sinistra,  rafforza l’idea che l’onestà non sia altro che  uno scatolone pieno di sabbia,  il cui colore cambia in base ai valori politici.
Ancora oggi,  non pochi studiosi presentano  Catilina e Nerone, solo per fare due esempi  tratti da periodi differenti della storia romana, come vittime non delle propria disonestà ma della disonestà altrui, a cominciare da quella tramandata  dagli storici del tempo, legati, si scrive, a fazioni politiche opposte  a quelle di Catilina e Nerone.
Il problema è che l’uomo è condizionato socialmente e politicamente.  Insomma, la carne è debole, e da sempre.  Certo, nessuno può negare, in parallelo,  l’esistenza di una letteratura morale, anche di altissimo livello, che però resta letteratura, nel senso che  rinvia non all’essere sociale, alla società come è, ma alla società come dovrebbe essere secondo un certo disegno politico.  
Pertanto va benissimo leggere e discutere di  filosofia morale, come pure dell'altissimo valore dei vangeli,  ma quel che alla fine  conta  è capire che i libroni etici, se presi alla lettera, implicano una radicale trasformazione morale dell’uomo, in realtà impossibile.  Perché, ripetiamo, la carne è debole, e non sempre  sa resistere alla tentazioni... Tentazioni che attraversano tutti i regimi politici  e che si chiamano  stile di vita,  deferenza sociale legata allo status e al ruolo, consumi socialmente vistosi eccetera, eccetera.
Sotto questo aspetto la storia delle istituzioni religiose resta molto istruttiva dal punto di vista degli alti e bassi morali e sul piano più generale - si pensi al povero Savonarola, tra gli altri -   indica l'inutilità delle morali pauperiste e delle leggi suntuarie.  Il che prova come sia impossibile mutare radicalmente  l’antropologica etica dell’uomo, anche quando ci si appelli ai valori più elevati.
L’impossibilità diretta di trasformazioni radicali,  non significa però che non si possa intervenire indirettamente, quanto meno per ridurre le tentazioni. 

Come? Si prenda quale  esempio, per venire agli stereotipi populisti, l’area grigia, tipica dei sistemi di economici misti  (pubblico-privato). Numerosi  studi (si veda per tutti, quelli di Colin Crouch) provano come concussione e corruzione siano maggiori dove pubblico e privato si intersecano,  e  come addirittura dilaghino dove il pubblico prevale in misura totalitaria  sul privato. E qui si pensi alla corruzione diffusa  che avvelenava i sistemi di socialismo reale.  Per dirla in termini giornalistici, lo statalismo è la causa  principale  dei fenomeni corruttivi e concussivi, soprattutto di natura politica. Non è insomma una questione di esempi in alto o in basso (di pesci che maleodorino o meno),  ma di  concreta  dislocazione delle strutture politiche  e sociali.
Pertanto, l’unico rimedio, concreto, consiste, non nella lettura obbligatoria dei manuali di etica, ma  nel ridurre, drasticamente,  le tentazioni, riducendo fin dove possibile il ruolo dello stato.
Il bello, anzi il brutto, è che i movimenti  populisti (di destra come di sinistra)  propongono  oltre all’uso massiccio delle manette    l’estensione  dei  poteri dello stato.  Cioè   favoriscono il fattore che è alle origini dei fenomeni concussivi e corruttivi. Si chiama avvitamento politico-sociale. Se ci si permette la battuta, un poco vecchiotta, i populisti -  ecco un altro pesante sintomo di totale ignoranza storica -  propongono di nominare il Conte Dracula presidente dell’Avis

In Unione Sovietica per  corrotti e  corruttori erano previste pene severissime, addirittura i lavori forzati in Siberia.  Tutti sappiamo come è andata.  Oggi,  con Putin, dove lo stato-padrone fa sentire ancora la sua voce,  l’accusa di corruzione viene usata, come nell’Italia di Tangentopoli, per eliminare gli avversari politici del regime, inevitabilmente retrocessi a disonesti… Un passo avanti?  Mah…
Ovviamente, considerata l’antropologia morale dell’uomo, ridurre il ruolo dello stato (il cosiddetto statalismo), non significa il ritorno a un mondo idilliaco. Nessuno è perfetto. I colpi bassi, i tradimenti, lo spionaggio  distinguono anche il mondo delle imprese private.  Però, se intanto  si sforbiciasse la sfera pubblica, le tentazioni  potrebbero diminuire, o comunque essere meglio contenute.
Il che sarebbe già qualcosa.  Anzi, visto il ruolo che tuttora esercita lo stato in economia,  forse   più di qualcosa...
 Carlo Gambescia