Stereotipi populisti
"Onestà, onestà, onestà…"
Onesto,
secondo l’etimo latino, è colui che
è onorato. L’onore e l’onorare sono
valori e azioni che però variano nel
tempo e attraverso i luoghi, che, altrimenti detto, mutano politicamente e socialmente. Per
capirsi, esisteva, e per molti aspetti esiste ancora, perfino l’ “Onorata società”.
Nelle democrazie contemporanee, l’ascesa dei movimenti populisti di destra come di sinistra ha tramutato a furor di popolo l’onestà in stereotipo politico. Una specie di cavallo di battaglia: l’onestà è rappresentata come un valore politico imprescindibile. Dunque da
onorare.
Del
resto, come spesso si legge nelle letteratura populista, il politico onesto è colui che onora il cittadino,
il quale a sua volta onora il politico onesto.
In
realtà, però, molto dipende dai valori che sono in gioco. Durante Tangentopoli
alcuni magistrati, forzando se non violando
le regole del codice penale ( arresti preventivi e indiscriminati, carcere
duro, inaudite pressioni psicologiche), vennero
elevati dalla sinistra radicale (e protopopulista) a modelli aurei di onestà. Detto altrimenti: quei magistrati erano automaticamente giudicati e promossi a onesti perché onoravano
i valori antidemocristiani e antisocialisti celebrati dalla sinistra comunista.
Che,
poi la destra, abbia sostenuto le stesse tesi nei riguardi, dei magistrati di
destra ( a dire il vero pochi, oggi come allora), pronti da par loro a indagare i politici di sinistra, rafforza l’idea che l’onestà non sia altro che uno scatolone pieno di sabbia, il cui colore cambia in base ai valori
politici.
Ancora
oggi, non pochi studiosi presentano Catilina e Nerone, solo per fare due esempi tratti da periodi differenti della storia
romana, come vittime non delle propria disonestà ma della disonestà altrui, a
cominciare da quella tramandata dagli storici del tempo, legati, si scrive, a fazioni politiche
opposte a quelle di Catilina e Nerone.
Il
problema è che l’uomo è condizionato socialmente e politicamente. Insomma, la carne è debole, e da sempre. Certo, nessuno può negare, in parallelo, l’esistenza di una letteratura morale, anche di altissimo livello, che però
resta letteratura, nel senso che rinvia
non all’essere sociale, alla società come è, ma alla società come dovrebbe
essere secondo un certo disegno politico.
Pertanto
va benissimo leggere e discutere di
filosofia morale, come pure dell'altissimo valore dei vangeli, ma quel che alla fine conta è capire che i libroni etici, se presi alla
lettera, implicano una radicale trasformazione morale dell’uomo, in realtà
impossibile. Perché, ripetiamo, la carne è debole, e non sempre sa resistere alla tentazioni... Tentazioni che attraversano tutti i regimi politici e che si chiamano stile di vita, deferenza sociale legata allo status e al ruolo, consumi socialmente vistosi eccetera, eccetera.
Sotto questo aspetto la storia delle istituzioni religiose resta
molto istruttiva dal punto di vista degli alti e bassi morali e sul piano più generale - si pensi al povero Savonarola, tra gli altri - indica l'inutilità delle morali pauperiste e delle leggi suntuarie. Il che prova come sia impossibile mutare
radicalmente l’antropologica etica
dell’uomo, anche quando ci si appelli ai valori più elevati.
L’impossibilità
diretta di trasformazioni radicali, non
significa però che non si possa intervenire indirettamente, quanto meno per ridurre
le tentazioni.
Come?
Si prenda quale esempio, per venire agli
stereotipi populisti, l’area grigia, tipica dei sistemi di economici
misti (pubblico-privato). Numerosi studi (si veda per tutti, quelli di Colin
Crouch) provano come concussione e corruzione siano maggiori dove pubblico e
privato si intersecano, e come addirittura dilaghino
dove il pubblico prevale in misura
totalitaria sul privato. E qui si pensi
alla corruzione diffusa che avvelenava i
sistemi di socialismo reale. Per dirla
in termini giornalistici, lo statalismo è la causa principale
dei fenomeni corruttivi e concussivi, soprattutto di natura politica. Non è insomma una questione di esempi in alto o in basso (di pesci che maleodorino o meno), ma di concreta dislocazione delle strutture politiche e sociali.
Pertanto,
l’unico rimedio, concreto, consiste, non nella lettura obbligatoria dei manuali
di etica, ma nel ridurre, drasticamente,
le tentazioni, riducendo fin dove possibile
il ruolo dello stato.
Il
bello, anzi il brutto, è che i movimenti
populisti (di destra come di sinistra)
propongono oltre all’uso
massiccio delle manette l’estensione dei poteri
dello stato. Cioè favoriscono il fattore che è alle origini dei
fenomeni concussivi e corruttivi. Si chiama avvitamento politico-sociale. Se ci
si permette la battuta, un poco vecchiotta, i populisti - ecco un altro pesante sintomo
di totale ignoranza storica - propongono di nominare il Conte Dracula presidente
dell’Avis
In Unione Sovietica per corrotti e
corruttori erano previste pene severissime, addirittura i lavori forzati
in Siberia. Tutti sappiamo come è andata.
Oggi,
con Putin, dove lo stato-padrone fa sentire ancora la sua voce, l’accusa di corruzione viene usata, come nell’Italia di
Tangentopoli, per eliminare gli avversari politici del regime, inevitabilmente retrocessi a disonesti… Un passo avanti? Mah…
Ovviamente,
considerata l’antropologia morale dell’uomo, ridurre il ruolo dello stato (il
cosiddetto statalismo), non significa il ritorno a un mondo idilliaco. Nessuno
è perfetto. I colpi bassi, i tradimenti, lo spionaggio distinguono anche il mondo delle imprese
private. Però, se intanto si sforbiciasse la sfera pubblica, le
tentazioni potrebbero diminuire, o comunque essere meglio contenute.
Il che sarebbe già qualcosa. Anzi, visto il ruolo che tuttora esercita lo stato in economia, forse più di qualcosa...
Il che sarebbe già qualcosa. Anzi, visto il ruolo che tuttora esercita lo stato in economia, forse più di qualcosa...
Carlo Gambescia