Discussioni
Liberalismo vs costruttivismo
Il mio post sul rapporto tra liberalismo e costruttivismo (*) ha suscitato gli interessanti interventi di Aldo La Fata , Roberto Menardo, Alessandro Litta Modignani.
Tre interlocutori di riguardo, che mi leggono sempre con grande attenzione. E di questo sono loro grato.
Ritengo sia giusto far precedere la mia replica dalla pubblicazione dei commenti. Anche perché il lettore possa formarsi un quadro completo intorno a una discussione che tocca questioni nobili e difficili.
Carlo Gambescia
***
Caro Carlo,
Molto interessante la tua “autobiografia cognitiva”.
Il discorso al solito non fa una grinza, ma non di meno pone dei problemi,
problemi che potrebbero suscitare discussioni infinite.
Tu salvi il liberalismo
dal costruttivismo dicendo che in esso ci sarebbe qualcosa di originariamente
precostituito e spontaneo.
E’ senz’altro possibile e mi pare che a questo proposito
non manchino certe evidenze storiche. Tuttavia, credo che la questione si ponga
in termini analoghi a quella del “libero arbitrio”. Esiste davvero il “libero
arbitrio”? La religione dice che esiste, la scienza lo nega. Chi ha ragione?
Diciamo che hanno ragione e insieme torto entrambi, ma l’affermarlo o il
negarlo non è privo di conseguenze anche sul piano del comportamento
individuale. Quindi se è pur vero che il liberalismo ha qualcosa di spontaneo e
naturale e in questo senso è non ideologico e pragmatico, è altrettanto vero
che è solo in certe condizioni storiche, sociali e culturali che esso è
possibile. E sono quelle condizioni in cui all’uomo viene lasciato un certo
margine di manovra.
Il problema nasce quando a queste “normali” dinamiche sociali
diamo il nome di liberalismo e ne facciamo quindi un’idea, un’idea opposta ad
altre idee (processo inevitabile e direi fatale). Ed è qui che il liberalismo
rientra automaticamente nel “costruttivismo politico”. Se così non fosse come
si spiegherebbe la condanna del liberalismo da parte della Chiesa?
Il
liberalismo quindi a conti fatti (e i conti bisogna sempre farli fino in fondo
se si vuole arrivare ad un risultato pratico) è un’ideologia, un’ideologia che
ha trovato il suo humus soprattutto in ambiente protestantico e che da un punto
di vista filosofico ha la sua matrice nel razionalismo moderno. Per quanta
simpatia io abbia per i teorici del liberalismo e per quanto io goda per il
loro virtuoso realismo, non dimentico mai che i suoi principali maestri sono
stati e sono anticattolici. Quindi, caro Carlo, io credo che dal totalitarismo
delle idee non si esca tanto facilmente e che anche il “liberalismo triste” che
tu professi con tanta intelligenza e sensibilità, alla fine finisca suo
malgrado nel “costruttivismo”.
Certo, in un costruttivismo meno pernicioso sul
piano etico, meno nocivo sul piano umano e sociale, più light sul piano
ideologico di tutti gli altri, ma proprio per questo più facile a non resistere
a costruttivismi più forti e ideologicamente ben definiti. Il problema quindi è
antropologico: l’uomo è costituzionalmente portato ad assumere idee forti e ben
definite e a respingere e a stancarsi di quelle che non lo sono. Tant’è vero
che da sempre sono le idee forti che conquistano gli uomini e non il contrario.
A meno che noi non si diventi – se mi permetti il riferimento filmico – tutti
dei vulcaniani alla Star Trek. Una prospettiva che a me personalmente non
dispiace affatto, ma che temo sia pura fantascienza.
Aldo
La Fata
Buongiorno Carlo,
Molto interessante. Mi riallaccio all'ultima frase di Aldo. Un sistema liberale puro funzionerebbe se ogni individuo fosse dotato di un'etica tale da subordinare il proprio benessere al rispetto di ogni altro individuo. Avremmo una virtuosa anarchia e ogni forma di regolamentazione sociale sarebbe superflua. Con il costruttivismo facciamo i conti da trecentomila anni, più o meno. In questo ambito ogni posizione è lecita e discutibile, e articoli come questo aiutano a riflettere. Grazie.
Roberto Menardo
Caro Carlo,
Condivido nel complesso questo tuo punto di vista,
caro Carlo, come sempre molto interessante (fra l'altro, avendoti letto, già lo
conoscevo). Il punto debole, secondo me, è proprio nel giudizio su Gualtieri
(**). Che forse è stato comunista, in passato, ma che oggi è un democratico
come tanti altri. È un costruttivista, dunque un totalitario? Io respingo
questo assioma. Infatti nel tuo elenco dei Grandi Mali, tu metti nazismo
comunismo islamismo ecologismo e welfarismo tutti nello stesso calderone
costruttivista. Ma una politica riformatrice, in campo ambientale o sociale,
non è necessariamente totalitaria, e neanche costruttivista. Rientra nella
normale buona pratica di governo di qualunque democrazia liberale. Insomma
diffidiamo della mentalità costruttivista e statalista, con tutte le nostre
forze, ma non giudichiamola necessariamente totalitaria. Gualtieri si può
correggere, Stalin no. I liberali devono partire dalla consapevolezza di essere
una minoranza: se vogliono governare, devono scegliersi degli alleati.
Ho letto il bel contributo di La Fata , che però non condivido.
Mi permetto solo di aggiungere che il liberalismo è una ideologia, per i
liberali dogmatici; rimane un metodo, empirico e pragmatico, per i liberali che
amano misurarsi con la realtà storica. Non è vero che le idee forti conquistano
sempre gli uomini, qualche volta avviene il contrario: le democrazie liberali
hanno sconfitto i totalitarismi, la società aperta è spesso più forte dei suoi
nemici. (Non parlo di religione, per non allargare troppo il campo).
Alessandro Litta Modignani
Cari amici,
Vi ringrazio. Noto però che nei vostri commenti mi
si fanno dire parole che non ho mai pronunciato. Dove parlo di sistema liberale puro ( Roberto Menardo)? Oppure dove identifico - asserendo che sono perfettamente uguali - teoria sociale e liberale ( Aldo La Fata )? Dove scrivo che sono
un nemico del riformismo (Alessandro Litta Modignani)?
Osservo semplicemente che
l’agire umano, pur nella ripetitività delle forme (conflitto, cooperazione,
eccetera), proprio perché nasce e si esplica attraverso miliardi di interazioni
individuali, non è programmabile né prevedibile. Il costruttivismo, che ha
precise origini scientiste (ma anche romantico-utilitariste), ritiene invece che
l’agire umano sia programmabile e prevedibile. Si tratta di una forma mentis totalitaria, quanto meno dal punto di vista cognitivo (quindi anche in chiave potenziale), che abbraccia ideologie come il fascismo, il nazismo, il comunismo, il
welfarismo, l’ecologismo, il fondamentalismo, come del resto ho scritto.
Ma, ripeto, non ho asserito che sono contrario al riformismo. Certamente, Gualtieri non è Stalin, ma non è neppure
Einaudi (l’Einaudi che stabilizzò la lira). Si può correggere (Alessandro Litta Modigliani)? Mah... Il riformismo è una cosa, il migliorismo un'altra. Il primo implica la condivisione di una forma mentis, nel caso liberale, il secondo invece procede à la carte. Che c'è di liberale in Gualtieri? Nulla. Sarà pure un democratico, ma alla Rousseau, antiliberale. E qui penso a un vecchio saggio - rivelatore di certe genealogie spesso inavvertite - di Della Volpe sullo stretto rapporto tra Rousseau e Marx...
Torno invece sulla questione
della forma mentis, ma in senso più generale: sostenere che la
razza è tutto, che lo stato è tutto, che
il pianeta è tutto, che la salute è
tutto, che dio è tutto significa accettare - cognitivamente accettare - una visione potenzialmente totalitaria della realtà, basata per l'appunto sull'idea che il tutto (il totale) sia superiore alle parti (i singoli).
Per contro, sotto l’aspetto cognitivo, il liberalismo, che parte dall’interazione
individuale (tra individui), rappresenta la concezione
più vicina (non uguale…) alla dinamica sociale così come è, e non come dovrebbe essere dal punto di vista
dalle ideologie costruttiviste. E quanto più il liberalismo si allontana dalla
dinamica sociale reale, quanto più si snatura, trasformandosi in ideologia. E qui si
pensi alle incongrue sorti politiche del liberalismo nelle sue forme macro-archiche, micro-archiche an-archiche, sospese tra welfarismo e utopia.
Che poi, come giustamente
osserva, Roberto Menardo, il costruttivismo abbia trecentomila anni, significa semplicemente che una potente
sovrapposizione ideologica, dai devastanti contenuti culturali, sociali ed
economici, ha trecentomila anni. Tutto
qui. Siamo davanti a una norma culturale, non all’oggettiva dinamica sociale in quanto tale: ossia alla
libera, naturale, imprevedibile interazione tra individui che dà vita
inconsapevolmente alle istituzioni. Che, a loro volta, assumendo forza propria, si
propongono di incidere sulla vita sociale, autogiustificando esistenza e funzioni.
In ogni istituzione -
ecco il punto fondamentale - c’è una potente carica costruttivista, che sta
al sociologo liberale disattivare con
intelligenza, preparando la strada, in
senso cognitivo, a quel liberalismo archico, al quale ho dedicato un libro. Un liberalismo che non ha nulla a che vedere con il millenarismo gretino e con l’assistenzialismo à la
Gualtieri. Forme di costruttivismo, potenziale o meno, che chi scrive, da prudente liberale archico, si parva licet, della stessa "razza" dei Burke, dei Tocqueville, dei Pareto, dei
Mosca, dei Ferrero, dei Croce, dei Weber, eccetera, non può non contrastare. In modo cognitivo, però.
Da liberale triste, non credo in alcuna trasformazione vulcaniana del genere umano (Aldo La Fata ), né posso auspicarla. Come non credo nell’appeasement verso il costruttivismo e nella necessità di governare per forza, con qualcuno come da soli (Alessando Litta
Modignani).
Io, di mestiere, studio e analizzo la
società. Non sono un profeta né un politico. E neppure voglio dare consigli non richiesti. Espongo le cose così come sono. E sotto questo profilo, ripeto, il liberalismo, in particolare nella sua
versione archica, resta la teoria politica, sociologicamente parlando, che fornisce una visione della realtà sociale migliore di altre. O se
si vuole sociologicamente più corretta, o se si preferisce, la meno imperfetta.
Tutto qui.
Carlo Gambescia