Il nuovo mantra
"Imparare a convivere con il virus"
E' nota a storici, antropologi e sociologi la grandissima capacità di adattamento dell’uomo.
Che ne fanno un specie unica, anche perché all’adattamento, corrisponde una capacità di trasformazione dell’ambiente, almeno sul nostro pianeta, senza eguali.
A
proposito di virus, tutta la letteratura storica prova
che l’uomo è il più forte. Ha sempre battuto, magari con costi alti, soprattutto nella pre-modernità, le epidemie. Inoltre, stando agli
scienziati, l’uomo di norma
convive con numerosi virus, buoni e
cattivi. Questi ultimi talvolta si
diffondono, causando epidemie periodiche. Patologie
collettive, che però, secondo gli studiosi, aiutano l’uomo a sviluppare la cosiddetta immunità di gregge, quindi ad
adattarsi biologicamente al virus,
rendendolo inoffensivo o quasi. Il che spiega la straordinaria forza di adattamento dell'uomo.
Per contro, il
concetto di pandemia appartiene, non alla storia, ma alla
statistica sanitaria. Un’autentica sovrapposizione ideologica esito di un approccio burocratico e welfarista alle epidemie e perfino alla storia, che viene addirittura riscritta orwellianamente (si veda ad esempio, basta
andare su Wiki, la classificazione OMS, storicamente retroattiva) .
Ciò significa che il concetto di “adattamento al virus” nelle nostre società è totalmente cambiato:
non rimanda più allo sviluppo spontaneo, attraverso la mano invisibile
della biologia, dell’immunità di gregge, ma a quell’ “imparare a convivere con
il virus”, che rinvia al mantra governativo-mediatico di questi giorni. Mantra, nel senso di
una formula verbale veicolata dalle istituzioni
come strumento di controllo e conformità sociale.
Si
tratta, riassumendo, di un adattamento imposto dalla visione welfarista, che come noto rinvia a un sistema falansteriano rivolto alla miracolistica protezione del cittadino dalla
culla alla tomba. Di uno stato paternalista che pretende, presuntuosamente, di saper quel che sia bene per ogni singolo cittadino.
Adattamento
a che cosa? Adattamento alle misure varate dal potere pubblico. E in che modo?
Obbedendo. Siamo davanti a uno schema di
comportamento politico, da parte delle istituzioni, apertamente in contrasto con il naturale sviluppo dell’immunità
di gregge: dal momento che ne ritarda i
progressi, con misure di "segregazione", che sulla carta dovrebbero invece impedire la
diffusione del virus.
L’uso
del condizionale è d’obbligo, perché i virologi sostengono che i virus avendo ciclo proprio, di circa sessanta-settanta
giorni, seguono un loro corso, a prescindere dall’intervento o meno dell’uomo.
Ovviamente,
quanto più una società è imbevuta di principi e pratiche welfariste, tanto più
le misure segregative saranno dure. Poiché il welfare state si fa punto d’onore di proteggere il cittadino. Che poi, come
insegnano sociologia e storia, il welfarismo sia costoso, impraticabile e
limitativo della libertà individuale, al “welfarista tipo” non interessa…
Il welfarismo, come
ogni ideologia totalitaria, impregnata di fumo teorico, non presta alcuna attenzione ai fatti. Anzi li
irride. Il che è un altro aspetto pericoloso: quello di un welfarismo che si ritiene infallibile. Un infallibilismo che, come sta accadendo in
questi giorni, una volta sommatosi all’infallibilismo di certa scienza burocratizzata,
tipo OMS e istituzioni simili a livello nazionale, si trasforma in una concezione
ultratotalitaria che non ammette
critiche di nessun tipo, condannando sessanta milioni di persone agli arresti domiciliari. Ovviamente, per il loro bene...
Concludendo,
quanto più si sosterrà che “dovremo imparare a convivere con il virus”,
introducendo regole cervellotiche e ridicole, tanto
più si prolungherà il cammino verso l’immunità
di gregge.
Purtroppo,
siamo davanti a un classico caso di
eterogenesi dei fini. Detto altrimenti, di effetti perversi delle azioni
sociali. Insomma, si vuole il bene, si ottiene il male.
Carlo Gambescia