mercoledì 20 maggio 2020

Il mondo dello spettacolo e il Covid-19
Artisti di Regime?


Uno dei fenomeni culturalmente più interessanti di questi difficili mesi rimanda all’improvviso predominio  di  una cultura dell’autorità, subito largamente maggioritaria, che ha spinto nell’angolo  la   cultura della libertà.      
Un esempio?  Non si capisce perché molte figure pubbliche, le stesse che  prima dell’epidemia  difendevano qualsiasi causa (semplificando) “liberal”,  abbiano invece appoggiato, quasi a prescindere,  le misure autoritarie del Governo Populista.  Ovviamente, la versione più accreditata, veicolata dai  mass  media  resta  quella di un ammirevole impegno civile per difendere provvedimenti “presi per il nostro bene”.  
Insomma, nel giro di pochi giorni,   il massimo del libertarismo si è tramutato nel massimo dell’autoritarismo. Il fenomeno non ha riguardato solo l’Italia, ma l’intero Occidente, e i primi a scendere in campo, spendendosi  in favore del “confinamento”,  sono stati, attori, cantanti, artisti in genere:  le cosiddette élite prive però di un reale potere.  Che in qualche misura  hanno  obbedito, come colte da un riflesso pavloviano, agli ordini non scritti del potere politico. 
Hanno agito allora senza alcuna consapevolezza? In realtà alcuni giorni fa, non ricordiamo bene chi, comunque un noto  cantante italiano, chiedendo un occhio di riguardo, probabilmente fiscale,  per “la categoria”,  ha rivendicato il ruolo svolto, insieme ai suoi colleghi,  durante la crisi, nel  trasmettere un messaggio politico di coesione e collaborazione  a tutti gli italiani  confinati in casa: “Senza di noi   - queste le sue parole,  cito a memoria -  il Governo non ce l’avrebbe fatta”.  
Affermazione  che rimanda alla cosiddetta riscossione dei dividendi sociali. Dei sacrifici affrontati, durante la “guerra al virus”  presentanti  ufficialmente come patriottici, dietro i quali, come pare,  si nascondevano invece non poche  riserve mentali.
La metafora della guerra,  introdotta  dal governo, spiega, come per ogni conflitto,  quel criterio, una volta vinta la guerra, antichissimo criterio, della “spartizione del bottino”, alla quale evidentemente le “élite senza potere” degli artisti desiderano comunque partecipare.
Di qui, evidentemente, la rivendicazione dei meriti dal punto di vista della partecipazione  alla battaglie propagandistiche del  Governo Populista.  Artisti di Regime? Decida il lettore.
Comunque sia, il fatto che  la cultura della libertà, per l’artista contemporaneo valga così poco,  al punto di barattarla, per poche briciole,  lascia veramente perplessi.
Il libertarismo, o meglio pseudo-libertarismo, del mondo dello spettacolo, sempre pronto a firmare manifesti per le più astruse e pittoresche forme di libertà, ha dato prova di non essere assolutamente consapevole del valore della libertà che invece pretende di difendere.
Il che impone una riflessione su quanto le nostre società, a partire dalle élite,  siano realmente liberali. Se in occasione dell'epidemia,  la parte, per antonomasia, più libertaria, quella della cinema, della televisione, delle grandi arene, sembra essere stata  la prima a cedere,  figurarsi il resto...

Carlo Gambescia      
                 

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