La forza sociologica della mano
invisibile
Voglia di normalità
Le
città italiane stanno tornando a vivere. Le strade formicolano di persone, non proprio come prima,
ma i segni di ripresa e normalità sono più che evidenti. Come ieri, sui Navigli milanesi, città e soprattutto regione dove l’epidemia ha colpito duramente
(quasi i due terzi dei casi italiani).
Cosa
significa tutto questo? Che gli individui, senza prendere accordi con altri o ricevere ordini precisi dall’alto, in piena indipendenza, perseguono i propri interessi e affari: una boccata d’aria, un caffè, una chiacchierata,
un incontro d’amore, ma già si pensa anche a tornare al lavoro, a produrre, a
investire eccetera. I Navigli, pieni di gente - per non parlare del resto dell'Italia, in pratica sfiorato dal virus - indicano che ogni singola
persona sa perfettamente che cosa è bene per sé. O comunque, provano come gli uomini siano perfettamente capaci di ragionare sui rischi,
assumersi responsabilità, valutare, finalmente, per ciò che è, l’isterica pandemia psichica e istituzionale che ha tramutato in fiction hollywoodiana un’ influenza stagionale. Certo, di qualche pericolo per gli anziani, soprattutto se già sofferenti di altre patologie. Tutto qui però. E invece tutta l' Italia si è dovuta sorbire, rinchiusa per decreto in casa, un brutto filmaccio catastrofista dalle disastrose conseguenze reali. E con i suoi picchi di ridicolo. Come l'ordine di evitare
di ammalarsi per favorire il lavoro della sanità pubblica…
E ora che accade? C’è una giusta domanda individualizzata (dei singoli) di normalità. E invece che
succede? Ci si indigna. Invece di gioire della vitalità e
ragionevolezza degli italiani, che, tra l’altro, per due mesi hanno dovuto subire le isteriche e catastrofiche scelte politiche del governo populista.
Il fenomeno purtroppo non è solo
italiano. “Le Monde” ha pubblicato un Manifesto di duecento artisti, scienziati,
intellettuali e attori che non vogliono il ritorno alla normalità,
perché il lockdown, si legge, può essere lo
strumento giusto per combattere il consumismo e il capitalismo. Ovviamente puntando su una specie di oppressivo welfare state mondiale.
Un classico caso di presunzione
politica: abbiamo un gruppo persone che
pretende di sapere ciò che sia bene per l’intera umanità. Un esempio da manuale della sindrome totalitaria,
sindrome che abbraccia fenomeni politici come il comunismo, il nazismo, il
fascismo, il nazionalismo, l’ecologismo, il welfarismo. Abbiamo sotto gli occhi il prolungamento
sociale del costruttivismo cognitivo. La
forma mentis che distingue ogni fondamentalismo ideologico. Che, mai dimenticarlo, si regge su
un insieme di regole da imporre a tutti
gli uomini. E in nome di che cosa? Per il loro bene, of course... Che inevitabilmente consiste nell'epica costruzione di “un
mondo migliore”, dove finalmente non ci saranno plutocrati, ebrei, immigrati, inquinatori, evasori fiscali e contributivi. E,
da ultimi, i runner…
Si rifletta bene: da
un lato abbiamo l’ideologia costruttivista, fisicamente incarnata dalle istituzioni,
in particolare dalla mano visibile dello
stato e dei suoi esperti, dall’altro la mano invisibile, rappresentata dal prorompente libero agire di miliardi di uomini.
Chi
vincerà? Storia e sociologia finora hanno sottolineato due aspetti: uno, la capacità dell’uomo di resistere,
magari con perdite, a ogni virus, anche
in epoche igienicamente meno sicure; due,
i fallimenti, soprattutto negli ultimi due secoli, dei sistemi statolatrici, sistemi che però sono sempre in agguato, pronti ad allungare mani e
artigli sulle vite degli uomini.
Non
è perciò facile fare previsioni, anche perché la storia procede per cicli. Come insegnano Jacques Pirenne e Corrado Barbagallo, al momento autoritario succede quello libertario, e così via.
Oggi però abbiamo gli strumenti per individuare il nemico e contrastarlo. E non è poco. Serve però coraggio.
Individuale. Dopo di che, basterà affidarsi, come già sta avvenendo, alla forza
sociologica della mano invisibile.
Carlo Gambescia