domenica 26 gennaio 2020

Sociologia e  questione del male nel mondo
Uno scambio di idee tra Carlo Pompei, Aldo La Fata e Carlo Gambescia





Carlo Carlo,  
a proposito del tuo articolo (*), cosa dire?  Che si gioca tutto su attacco e difesa e se la miglior difesa sia l'attacco, ma ciò è in funzioneanche delle intenzioni del nemico, reale o presunto.
Non può non essere un approccio relativistico, data la variabilità di attori e, appunto, delle relative motivazioni.
Insomma, la "non belligeranza" potrebbe non bastare, come non bastò nello scriteriato approccio tentennante di Mussolini nei confronti dei desiderata di Hitler, per fare nomi non contemporanei.
Un caro saluto,
Carlo  Pompei (**)


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Caro Carlo,
Ho letto (*).
Esistono problemi che fuoriescono dalla competenza della sociologia: il problema del male ad esempio è uno di questi. Perché mai un sociologo dovrebbe preoccuparsi di definire il male o di definire il bene? Nel suo lessico tali parole o concetti dovrebbero proprio essere banditi. Quindi, chiedere ad un sociologo cosa sia per lui il male nel mondo non mi sembra avere molto senso. Ma comprendo che è tipico di chi ha una visione totalitaria della realtà cercare di trascinarvi dentro, magari senza tanti riguardi per la logica e per il pensiero coerente, tutto lo scibile umano. Ugualmente credo che non abbia molto senso accusare il sociologo di “relativismo” se accettiamo il fatto acquisito che tutte le scienza particolari sono “relativiste” per definizione. Ma perché mai occuparsi e preoccuparsi del relativismo delle scienze? Probabilmente perché molti scienziati hanno la tendenza a fare delle loro scienze particolari degli assoluti e a mettersi su un terreno di competizione e di scontro con altri assoluti magari ideologici o religiosi. E possono nascerne duelli all’ultimo sangue o all’ultimo concetto. Personalmente non ho mai capito perché  la Religione dovrebbe mettersi a dialogare con la Scienza e viceversa. Sono dialoghi infruttuosi, che non portano a nulla e che anzi generano solo confusione. Meglio tenere i due ambiti ben distinti e separati, se non altro per evitare sciocchezze del tipo “la particella di Dio” e simili.
Sto divagando, chiedo scusa. Il vero problema, caro Carlo, è che la Scienza oggi ha preso il posto della Religione e che il suo linguaggio si è fatto linguaggio prevalente. C’è da temere la sociologia quando scade nel sociologismo, come c’è da temere la scienza quando scade nello scientismo. Accetto che il “male” venga definito da un sociologo una “di-sfunzione”, ma non accetto né l’intercambiabilità dei termini, né l’integrazione dell’uno nell’altro, né la prevaricazione dell’uno sull’altro. Ma ovviamente non è il tuo caso. 
Un grande abbraccio,
Aldo La Fata

(*) http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2020/01/la-sociologia-e-la-questione-del.html
(**) Ricercatore di storia delle idee, studioso del pensiero tradizionalista, direttore della rivista " Il Corriere Metapolitico". 
   

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Cari amici,  Cosa aggiungere?   Che avete  ragione  tutti e due.
Il neutralismo affettivo, o se si vuole il relativismo, se gioca un ruolo importante sul piano analitico, su quello politico, inevitabilmente rischia di condurre alla paralisi.  La “non belligeranza”,  come tu, caro Carlo, asserisci  giustamente, non esiste. O comunque resta legata, quanto all’effettività politica,  alle dimensioni degli attori.  Più sono ridotte, più l’influenza si riduce. Serve dunque realismo e capacità di saper affrontare il male inevitabile  che può provenire dalle decisione. Prudenza politica consiglia di soppesare sempre male minore e maggiore.
Sotto questo aspetto,  come tu, caro Aldo,  altrettanto  giustamente, sottolinei, il sociologo non può, anzi  non deve pronunciarsi moralmente sulla natura del bene e del male, ma può,  sembra di capire, parlare correttamente di disfunzionalità sistemiche. Sarà poi compito dell’interlocutore fare le valutazioni del  caso,  morali, religiose, culturali, eccetera.  E comunque sia  - anche su questo  punto concordo -   mai  mettere in imbarazzo sociologo,  ponendo  domande  che egli  non può (e non deve) dare.
Quanto alle valutazioni del teologo, del moralista, eccetera,  esse, come impone norma prudenziale, non possono eludere soprattutto sul piano organizzativo, le costanti della politica, anzi della metapolitica.  Se non a rischio   - attenzione -  di sprofondare  in  pericolose utopie.
So benissimo che per voi cari amici  esistono forze superiori  -  dal disegno imperscrutabile  (la sulfurea dinamica  delle volontà umane  per Carlo; il  misterioso governo divino per Aldo) -   al puro e semplice piano sociologico  o meglio ancora,  metapolitico delle regolarità (per intendersi),
Ne prendo atto, laicamente. Anche perché, per parte mia,   non sono assolutamente nella condizione,  in primis come sociologo, in secundis come uomo, di formulare alcuna  teoria definitiva  sulla storia e sulla società. 
Vi abbraccio,
Carlo Gambescia 




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